domenica 8 luglio 2018

Il sacrificio del cervo sacro (Lanthimos 2017)

Thriller psicologico, tragedia classica, horror. Yorgos Lanthimos fonde questi generi, prende a piene mani da Kubrick, Von Trier, Haneke e Cronenberg e realizza un film di grande interesse, formalmente impeccabile, angosciante nella trama e nel cinismo dei suoi personaggi (trailer).
Steven Murphy (Colin Farrell) è un affermato cardiochirurgo che ha visto morire un uomo durante un'operazione. Proprio per questo ha mantenuto i contatti con il figlio, Martin (Barry Keoghan), rimasto solo con la madre (Alicia Silverstone). Di questa "amicizia" Steven non ha detto nulla né alla moglie Anna (Nicole Kidman), oftalmologa, né ai due figli Kim (Raffey Cassidy) e Bob (Sunny Suljic). Di questi ultimi sappiamo poco, la prima studia canto - la vediamo solfeggiare sul mi e cantare il brano pop di Ellie Goulding Burn (1 e 2) -, il secondo, invece, sogna di fare il lavoro della mamma e ha come unico vezzo dei lunghi capelli (come quelli di Danny in Shining o di Bryan, il figlio di Redmond in Barry Lyndon) che il padre vorrebbe fargli tagliare.


In questa cornice di perfezione lavorativa, morale e familiare, qualche dettaglio rende i Murphy, altoborghesi dell'Ohio, un po' più terreni: sul capo di Steven incombe la responsabilità della morte del suo paziente (?); in camera da letto, l'eccitazione prevede che sua moglie "giochi" all'anestesia generale, fingendosi priva di vita, una pratica "a tema" che sarebbe piaciuta ad Alfred Hitchcock, che amava contestualizzare le logiche dei propri personaggi, ma che non avrebbe potuto spingersi così tanto ai suoi tempi.
Con le debite differenze, complice anche la presenza della stessa attrice, il rapporto di coppia tra Steven e Anna rimanda a quello di Bill e Alice di Eyes Wide Shut (Kubrick 1999), un'analogia che appare evidenziata ancor di più dalle inquadrature dal basso con i soffitti incombenti, che rendono la casa dei Murphy un luogo angusto, nonostante l'ampiezza degli spazi.
I sensi di colpa non permettono a Steven di frenare il rapporto con Martin che si insinua sempre di più nella sua vita, andando prima a cena in casa Murphy dove conosce l'intera famiglia, e poi invitando Steven a casa sua, dove sua madre si lascia andare ad esplicite avance nei confronti del dottore.
Martin palesa sempre più il suo temperamento ossessivo: si mostra ipocondriaco, si fa visitare al cuore più per rimanere a contatto con Steven che per reale necessità, sponsorizza la madre evidenziandone le grazie, corteggia Kim. I primi rifiuti di Steven causeranno la maledizione con cui Martin gli predice la morte dei suoi familiari, che arriverà attraverso tre stadi: la paralisi agli arti inferiori, l'inappetenza e infine il sangue dagli occhi.
Quella che sembra la battuta detta da un ragazzo indispettito avrà invece i primi segni di veridicità nei sintomi accusati da Bob e da Kim, spingendo Steven e Anna a fare i conti con una realtà così incredibile, vivendo un'esperienza dopo la quale nulla potrà più essere come prima...

La mdp di Lanthimos non si ferma mai e, anche quando sembra farlo, in realtà si muove con inesorabile lentezza.
Il regista greco, infatti, usa carrelli in avanti e indietro all'interno di corridoi che ricordano molto quelli di Shining (Kubrick 1980); mostra personaggi guidati da una logica lontana dal comune raziocinio, ma che ha incidenza sulla realtà, come in Melancholia (Von Trier 2011), e con una freddezza e totale insensibilità molto vicina ai "drughi" di Funny games (Haneke 1997 e 2007), raggiungendo toni disturbanti paragonabili a quelli di Cronenberg. Dalla prima versione del film di Haneke, inoltre, sembra derivare la sequenza in cui Steven incappuccia i familiari con le federe, proprio come facevano i due protagonisti di Funny games con il figlio delle loro vittime.
L'ossessione cronenberghiana per il corpo e l'organismo caratterizza anche in uno dei primi dialoghi tra Martin e i figli di Steven a tema pubertà, incentrati sulla crescita dei peli e l'arrivo del ciclo mestruale. A questo si aggiunga il tema della masturbazione, che affiorerà tra i segreti di Steven nella maniera più disturbante possibile e nel presente di Anna, che invece la userà come "ricompensa" per ottenere le confessioni dell'amico e anestesista del marito Matthew (Bill Camp), proprio in auto, come nel sesso di Crash (Cronenberg 1996).
A rendere tutto ancora più angosciante contribuisce la regia che, oltre i lenti movimenti già sottolineati, riprende spesso gli ambienti dall'esterno, in una sorta di effetto "casa di bambola" che rende la scena un luogo in cui i personaggi sono imprigionati.
Più di tutto il resto, però, l'atmosfera orrorifica è data dalla figura di Martin, a cui la sceneggiatura premiata a Cannes riserva le battute e i comportamenti più determinanti per classificare il film in questo genere. Il suo volto, la sua impassibilità mentre dice ad Anna "è l'unica cosa che mi viene in mente che sia vicina alla giustizia", riferendosi alla futura morte dei suoi familiari per pareggiare i conti della scomparsa di suo padre, sono davvero agghiaccianti. Tutto viene distrutto dal suo intervento: amore, amicizia, fiducia, in una parola l'equilibrio dei Murphy.
Il rapporto tra Steven e Anna viene completamente destabilizzato, proprio come accadeva ai personaggi interpretati da Tom Cruise e dalla stessa Nicole Kidman in Eyes Wide Shut, e una delle scene migliori della pellicola è quella in cui i due si scontrano con forza, dopo le accuse della donna al marito di aver causato quanto sta avvenendo alla loro famiglia (la Kidman è ormai perfetta in ruoli come questo, interpretati non solo per Kubrick, ma anche ad esempio per Amenabar in The others, per Sofia Coppola ne L'inganno o nella recente serie tv Big little lies).
La pellicola è arricchita di alcuni riferimenti culturali che vale la pena ricordare, a partire dal titolo che rimanda inequivocabilmente ad Ifigenia in Aulide, la tragedia di Euripide che fa da canovaccio della vicenda filmata da Lanthimos. Fu proprio una cerva, infatti, quella che Artemide fece morire al posto della figlia di Agamennone, costretto per il bene dei più ad essere pronto a sacrificare Ifigenia. Proprio come questa, anche Kim, una volta accettata la situazione, parla con i genitori chiedendo di essere uccisa pur di liberare la propria famiglia dalla maledizione; ed è sempre lei ad aver scritto un saggio su Ifigenia per la scuola, come rivela il preside ai due genitori.
Nella stanza del preside, inoltre, campeggia, appesa alla parete, una riproduzione del Gesù che cammina sulle acque di Tintoretto, mentre Anna si trasforma in una novella Maddalena, quando in preda alla disperazione si inginocchia e bacia i piedi di Martin sanguinante come Cristo.
E, infine, la musica, altro elemento imprescindibile del film di Lanthimos, utilizzata per aumentare la tensione attraverso i brani atonali contemporanei che disorientano lo spettatore. Per l'ennesima volta un omaggio a Kubrick, dato che il compositore più presente è György Ligeti, le cui note compaiono in 2001: Odissea nello spazio, in Shining, e in Eyes Wide Shut. Del musicista ungherese naturalizzato austriaco, durante Il sacrificio del cervo sacro ascoltiamo Il lento e deserto. Nell'articolata colonna sonora del film, però, si aggiungono le altrettanto dissonanti melodie della compositrice russa Sofia Gubaidulina suonate da diversi interpreti (Et Expecto, De Profundis, Fachwerk, Rejoice!), ma anche brani come lo Stabat mater di Schubert e il San Giovanni Battista di Bach, che certificano il senso di tragedia classica che si respira durante la pellicola.
Rispetto a The lobster (2015), che appariva ancora un film con diverse sbavature nonostante le idee geniali, il cinema di Lanthimos ha compiuto un deciso passo in avanti!

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