Cinquant'anni
e non sentirli… o meglio sì, forse ora si iniziano a sentire. Il film di
fantascienza per antonomasia, inizialmente accolto come "lento e
noioso" e poi sistematicamente considerato il più bello e rilevante del
suo genere, è stato restaurato analogicamente e rimasterizzato dalla Warner
Bros ed è tornato nelle sale per il suo cinquantesimo anniversario, per
un'emozionante visione su grande schermo, ora possibile a chi era troppo
giovane o nemmeno nato nel 1968.
2001. Odissea nello spazio venne letteralmente "costruito" insieme al romanzo del britannico Arthur C. Clarke, uscito nello stesso anno e ispirato al suo racconto La sentinella, a cui lo scrittore, a differenza del regista, diede un seguito con altri tre romanzi, 2010: Odissea due (1982), 2061: Odissea tre (1987); 3001: Odissea finale (1997).Dal 2 aprile del 1968, giorno in cui a Washington ci fu l'anteprima mondiale del capolavoro kubrickiano, dal punto di vista tecnologico sono passate ere geologiche, eppure il film per decenni è riuscito a non mostrare eccessivamente i segni del tempo, ma ora la distanza tra il futuro vagheggiato nella pellicola e il presente che viviamo è evidente.
2001. Odissea nello spazio venne letteralmente "costruito" insieme al romanzo del britannico Arthur C. Clarke, uscito nello stesso anno e ispirato al suo racconto La sentinella, a cui lo scrittore, a differenza del regista, diede un seguito con altri tre romanzi, 2010: Odissea due (1982), 2061: Odissea tre (1987); 3001: Odissea finale (1997).Dal 2 aprile del 1968, giorno in cui a Washington ci fu l'anteprima mondiale del capolavoro kubrickiano, dal punto di vista tecnologico sono passate ere geologiche, eppure il film per decenni è riuscito a non mostrare eccessivamente i segni del tempo, ma ora la distanza tra il futuro vagheggiato nella pellicola e il presente che viviamo è evidente.
Da una
parte, infatti, siamo ancora lontani da appuntamenti su basi spaziali
perfettamente abitabili, come accade ad Heywood Floyd (William Sylvester),
presidente del Comitato Nazionale per l'Astronautica statunitense, che
incontra per caso colleghi russi in attesa del proprio volo come in un
semplice aeroporto, ma dall'altra macchinari e dispositivi elettronici ormai
sono ben più avanzati di quelli che si vedono nel film.
E lo stesso
si dica per i monitor analogici e dagli schermi convessi che si vedono nel
film, di cui ormai non c'è traccia nella nostra realtà da tempo, o quei grandi
pulsanti con cui i personaggi di 2001 governano macchine,
computer e astronavi, tanto lontani dalla micro e nanotecnologia imperante
oggi. Al contrario, i primi a "cedere", quei costumi e quelle
acconciature così anni sessanta-settanta da risultare anacronistici già negli
anni ottanta, oggi tornano paradossalmente di moda nell'ottica del recupero e
riuso vintage. Risulta invece particolarmente
"profetico" l'utilizzo di pad per leggere e seguire le
notizie, come fanno gli astronauti nelle scene in cui mangiano (vedi).
Ciò che non accenna a diminuire è la magnifica forma di una pellicola intramontabile per la splendida regia, per il fascino imperscrutabile del soggetto, per l'associazione delle immagini ad una colonna sonora costituita da brani non certo composti per l'occasione - gran parte delle musiche sono quelle di Strauss -, ma che nonostante questo sono indissolubilmente collegate al film nell'immaginario collettivo.
Ciò che non accenna a diminuire è la magnifica forma di una pellicola intramontabile per la splendida regia, per il fascino imperscrutabile del soggetto, per l'associazione delle immagini ad una colonna sonora costituita da brani non certo composti per l'occasione - gran parte delle musiche sono quelle di Strauss -, ma che nonostante questo sono indissolubilmente collegate al film nell'immaginario collettivo.
E sarebbe molto lungo l'elenco dei momenti indimenticabili, tra i quali vanno citati l'inquadratura dal basso che mostra l'allineamento in asse del monolito con il sole e con la luna (un'inquadratura con un sottinsù così scorciato tornerà in Arancia meccanica, quando Alex viene "educato" a non toccare un corpo nudo femminile); le passeggiate circolari in astronave delle hostess (che indossano scarpe gravitazionali, le "grip shoes" griffate Panam) sulle note del Bel Danubio blu di Strauss, con il bellissimo momento del recupero della penna di Floyd che volteggia nell'abitacolo, poiché il suo proprietario è caduto in un sonno profondo (vedi); o quella dell'astronauta Frank Poole (Gary Lockwood) che corre e si allena tra i "loculi" dei tre colleghi ibernati dell'equipaggio, stavolta accompagnato dalla musica armena di Gayane di Khachaturian (vedi), tutte realizzate con l'ausilio di filtri girevoli sulla mdp o con scenografie rotanti (vedi); il viaggio alla velocità della luce di Dave Bowman (Keir Dullea), reso in maniera lisergica, quello che Enrico Ghezzi ha paragonato al ritorno di Ulisse a Itaca, dopo il quale l'astronauta "ha ritrovato nella casa il suo letto saldamente piantato al suo posto", in uno spazio kubrickianamente asettico e settecentesco (Barry Lyndon arriverà nel 1975). Anche qui c'è un'ellissi, che da quel bianco totale raggiunge il suo esatto opposto, attraverso un carrello in avanti in direzione del monolito nero, che alla fine occuperà l'intera inquadratura permettendo alla pellicola di tornare al buio dello spazio extraterreste.
Le due missioni della NASA, rispettivamente guidate da Heywood Floyd e Dave Bowman e Frank Poole, si svolgono a 18 mesi di distanza, la prima ufficialmente organizzata per debellare un'epidemia sul pianeta Clavius, ma in realtà copertura per il misterioso ritrovamento di un grande monolito nel cratere Tycho sulla luna, risalente a quattro milioni di anni prima; la seconda per raggiungere Giove con l'astronave Discovery, poi dirottata verso Saturno. Esse diventano il pretesto per raccontare il limite del progresso tecnologico, tema sempre attuale oggi, e la rivolta della macchina, diventata troppo intelligente, in grado di mettere sotto scacco l'uomo (in maniera letterale, dato che batte agevolmente Frank durante una partita del gioco di strategia e intelligenza per antonomasia), capace di leggere il labiale e di smettere di seguire gli ordini. Si tratta ovviamente del computer di bordo HAL 9000, omaggio di Kubrick all'IBM (il regista scelse HAL, che sta per Heuristic ALgorithmic, ma che sono anche le tre lettere subito precedenti l'acronimo dell'azienda statunitense), secondo la sceneggiatura entrato in funzione ad Urbana, Illinois, il 12 gennaio 1992. Anche lui è uno dei protagonisti della storia, con le sue risposte disarmanti e l'ormai "mitologica" filastrocca del giro girotondo, durante la quale la sua voce pian piano rallenta deformandosi fino alla disinstallazione da parte di Dave (in originale canta il ritornello della canzone del 1892 Daisy Bell, scritta da Harry Dacre).
E poi il monolito, altro protagonista indiscusso, misterioso
parallelepipedo, prima forma di vita conosciuta, che vediamo nelle scene
preistoriche e poi nella stanza settecentesca, in cui finisce Dave dopo aver
compiuto il suo viaggio spazio-temporale in seguito allo scontro con HAL 9000.
Il monolito - la sentinella del racconto di Clarke, posta a guardia degli
uomini - viene toccato con timore, quasi venerato come un dio sia dalla
scimmia, all'inizio del film, sia da Floyd nella prima missione, sia da Dave, l'uomo che ha il privilegio di
assistere alla propria vecchiaia e alla propria morte, fino alla visione del
neonato, che appare prima nella camera senza finestre e poi nello spazio.
La non verbalità del film - 45 minuti di dialoghi su 140 totali - ha sicuramente contribuito al suo fascino ipnotico, anche se non inizialmente, quando fu considerato da alcuni una "noia abissale". E tante, di conseguenza, sono state le interpretazioni date ad una pellicola filosoficamente complessa, in cui l'idea di morte e rinascita è certamente centrale, insieme a quella della morte di Dio, direttamente mutuata da Così parlò Zarathustra di Nietzsche (1883), come visto citato anche nella versione musicale di Strauss. Eppure Stanley Kubrick disse del film "ho cercato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio".
La non verbalità del film - 45 minuti di dialoghi su 140 totali - ha sicuramente contribuito al suo fascino ipnotico, anche se non inizialmente, quando fu considerato da alcuni una "noia abissale". E tante, di conseguenza, sono state le interpretazioni date ad una pellicola filosoficamente complessa, in cui l'idea di morte e rinascita è certamente centrale, insieme a quella della morte di Dio, direttamente mutuata da Così parlò Zarathustra di Nietzsche (1883), come visto citato anche nella versione musicale di Strauss. Eppure Stanley Kubrick disse del film "ho cercato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio".
Il disegno di Bonestell per von Braun e la base spaziale di Kubrick |
Kubrick, come sempre, non lascia nulla al caso, e le ricostruzioni
scenografiche si basano su un grande studio delle idee della NASA, una
collaborazione che nel tempo ha scatenato le teorie complottistiche secondo le
quali l'allunaggio del 1969 non fu altro che una grande messa in scena curata
dallo stesso regista britannico, ma che invece dimostrano semplicemente la
grande accuratezza del cineasta.
Lo sfruttamento dello spazio a 360°, invece, e l'idea stessa della base
spaziale derivano direttamente dalle teorie dell'ingegnere tedesco
naturalizzato statunitense Wernher von Braun - in forza nell'esercito e poi
nella stessa NASA, fondata nel 1958 -, che nel 1952 aveva scritto diversi
articoli sul Collier's Weekly, illustrati da Chesley Bonestell. Per
constatare le analogie tra gli studi di von Braun e i modellini di 2001,
basta confrontare l'immagine della base realizzata per il film e uno dei
disegni di Bonestell.
Stanley Kubrick "arreda" con attenzione anche le sue scene, come
accade nella sala della base orbitante disseminata di Dijnn chair rosse,
le poltrone moderniste create dal francese Oliver Mourgue intorno al 1964-65.
In questo senso, però, merita un'ulteriore analisi la scenografia della stanza
rococò alla fine del film. Nella boiserie alle pareti, infatti, compaiono tra gli
altri oggetti artistici, statuette in marmo e porcellana posizionate nelle
nicchie e sulle consolle che contestualizzano l'epoca, anche quattro dipinti
pastorali, due sulla parete sinistra e due su quella destra.
Tra questi, che vedono protagoniste coppie che amoreggiano in paesaggi
campestri, si riconosce, nel primo di sinistra, La tendre
pastorale di François Boucher (1734), tela passata da Christie's a New York, poi
copiata da Charles-Dominique-Joseph Eisen e intitolata Bergeret Bergère (oggi Bordeaux, Musée des Beaux Arts), ma partendo dall'incisione di
Gabriel Huquier, naturalmente in controparte. Appare verosimile che fu proprio
questa seconda versione ad essere copiata per il film, in cui la composizione è
infatti in controparte, come dimostrano i protagonisti che si prendono la mano
sinistra e non la destra come nell'originale. Lo stesso dipinto di scena,
peraltro, venne utilizzato dalla MGM anni dopo per 007 - Bersaglio
mobile (Glen 1985; ringrazio per la segnalazione Simone Odino e Franco Bernardini).
Le
Djinn
chair di Olivier Mourgue nella base orbitante
|
Il dipinto di Boucher, la copia di Eisen, quella di 2001 e il suo riutilizzo in 007 - Bersaglio mobile (1983) |
Lo Star Child nella scena finale |
Lo story board e il modellino utilizzato |
I quattro dipinti della stanza settecentesca |
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