domenica 15 gennaio 2017

Les amours imaginaires (Dolan 2010)

Noto anche con il titolo inglese, Heartbeats, il secondo film dell'enfant prodige canadese, allora appena ventunenne, segue di un solo anno il folgorante esordio di J'ai tue ma mere (2009). Stavolta il tema portante non è quello del rapporto madre-figlio, sempre centrale nel regista, ma l'amore, affrontato attraverso la storia principale, quella di Marie (Monia Chokri) e Francis (Xavier Dolan), amici e confidenti, ma entrambi innamorati di Nicolas (Niels Schneider), e le interviste ad altri ragazzi che raccontano le proprie esperienze e soprattutto i propri fallimenti, mentre uno di loro cita i sette gradini della scala di Alfred Kinsey sull'orientamento sessuale (Il comportamento sessuale dell'uomo, 1948).
Come spesso capita, soprattutto in giovane età, l'amore arriva dopo un apparente disprezzo, dopo aver constatato quanto alcuni difetti dell'oggetto del proprio amore siano incompatibili con il proprio modo d'essere, come dimostrano non solo le interviste iniziali, ma anche Marie e Francis che, durante la festa in cui conoscono Nicolas, non fanno che parlarne negativamente a causa del suo egocentrismo che trovano davvero intollerabile...
Dolan mette in scena l'abusato schema del triangolo amoroso, ma i gusti sessuali dei tre componenti lo trasformano in qualcosa di inevitabilmente molto meno frequentato dalla cinematografia del passato. Si respira nouvelle vague per tutto il film e, naturalmente, non si può non pensare prima degli altri a Jules et Jim (Truffaut 1962), imprescindibile caposaldo delle triangolazioni amorose, ma appunto con i ruoli non più tradizionali, Nicolas al posto di Catherine e Marie e Francis di Jules e Jim. 
Truffaut sembra tornare, in maniera molto più prosaica, quando Marie usa, per stemperare la tensione, la ripetizione ossessiva della frase Je m'en fous, non proprio come faceva Antoine Doinel in Baci rubati (1968), ripetendo allo specchio il nome delle donne amate e il proprio (vedi), ma ci si avvicina molto. 
E cosa dire della bella sequenza virata in rosso in cui un amante di Marie, a letto con lei, le chiede "pensi mai alle star del cinema quando scopi? Marlon Brando, James Dean, Paul Newman?" Forse a questi no, ma subito dopo, complici anche le note di Bach (suite n.1 per violoncello in sol maggiore) - più avanti usate anche per sequenze gemelle virate in verde e in blu con Francis protagonista, e in giallo ancora con Marie -, gli amanti del cinema pensano sicuramente a Michel Piccoli e Brigitte Bardot nella splendida scena, tagliata nella scriteriata edizione italiana, che dà inizio a Il disprezzo (Godard 1963), alla quale invece fa da sottofondo il magnifico tema di Camille composto da Georges Delerue (vedi).
Eppure, un attimo prima, Marie aveva raffreddato l'atmosfera con una battuta divertente ma cinica, rispondendo al complimento ricevuto sui suoi occhi castani con assoluta disistima nei confronti del suo partner e come se gli occhi avessero nel colore il loro unico interesse: "un'iride che più banale non si può. Un QI alto è una controparte essenziale per occhi marroni".
Dolan gira bene e usa consapevolmente la mdp: durante le interviste che si alternano alla vicenda principale gioca spesso con la camera, avvicinandola e allontanandola continuamente e a scatti dal volto di chi parla; nel resto del film, in almeno un caso, sovverte persino la legge dei 180° portando la mdp aldilà di quel piano ideale che viene considerato invalicabile, ribaltando così il punto di vista dello spettatore, e molto spesso si avvale del ralenti dando molto spazio alla musica, in uno stile da videoclip che manterrà anche nei film successivi. In alcune di queste occasioni la colonna sonora prevede Bang bang, ma non nella versione cantata da Nancy Sinatra, tornata celebre grazie a Kill Bill - volume 1 (Tarantino 2002), bensì, sorprendentemente, in quella italiana di Dalida!  
Il citazionismo dolaniano invade anche il campo storico-artistico, cosicché, nei pensieri erotici di Francis su Nicolas, compaiono il Bacco e il David michelangioleschi, nonché i disegni di Jean Cocteau, mentre più avanti ci viene mostrato un catalogo Bauhaus e una sedia Wassily di Marcel Breuer.
La sceneggiatura è ben scritta e alcune battute restano nella memoria: oltre quelle già evidenziate, Marie, descrive la madre di Nicolas, Desirée (la dolanianissima Anne Dorval), che indossa una parrucca azzurra, "la balia asciutta di capitan Spock o forse una prostituta di Blade Runner"; e così subito dopo, in una serata difficile per entrambi, Francis gela Marie, colpevole di aver scelto di indossare un abbigliamento un po' retro, con un eloquente "non tutto il vintage dovrebbe tornare". 
Marie, in effetti, sceglie spesso abiti vintage ed è eccezionale nel suo cappotto anni sessanta al riparo di un ombrello orientale. Fa, inoltre, ostinatamente ricorso al tabacco come rabbioso antidepressivo - "il fumo nasconde la merda" e "le sigarette mi mantengono viva fino a quando muoio" - e non è certo un caso che nel suo momento più difficile non riesca nemmeno ad accendersi una sigaretta...
È ancora lei, infine, ad invitare Francis a vedere My fair lady (Cukor 1964), chiamando in causa il mito di Audrey Hepburn che già aleggia in un'altra sequenza, in cui la stessa Marie cita una battuta di Colazione da Tiffany (Edwards 1961).
Non poco per un regista che continua a ripetere di non avere una grande conoscenza del cinema del passato... 

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