lunedì 12 ottobre 2015

Banat - Il viaggio (Valerio 2015)

Co-prodotto tra Italia, Romania, Bulgaria e Macedonia, e girato nei primi due paesi, il film d'esordio di Adriano Valerio, presentato a Venezia nella Settimana Internazionale della Critica, non lo vedremo prima di gennaio-febbraio nelle sale italiane. "È sempre più difficile trovare il periodo giusto per distribuire una pellicola come questa, che avrà quindici copie in giro per l'Italia, ma per un film che è prima di tutto un film d'amore il momento migliore potrebbe essere quello", precisa uno dei produttori italiani, Emanuele Nespeca, intervenuto alla proiezione romana del film, grazie all'invito di Francesco Crispino e Anna Maria Pasetti che hanno portato a Roma la Settimana Internazionale della Critica nello storico Cinema Garbatella (Innocenzo Sabbatini 1926-27), da anni meglio noto come Teatro Palladium.

La storia è una storia di "spaesamento" continuo, come dimostrano le vicende dei protagonisti: Ivo (Edoardo Gabbriellini), giovane agronomo toscano, trasferitosi a Bari per poi partire alla volta della Romania, dove trova un lavoro nella regione del Banat, e Clara (Elena Radonicich), la ragazza che abiterà l'appartamento del capoluogo pugliese appena lasciato libero dallo stesso Ivo.
Se per quest'ultimo lo spaesamento è letterale, geografico, nel caso di Clara è più generalizzato: ha appena chiuso una lunga relazione, è incinta, e come se non bastasse pochi giorni dopo perde anche il lavoro da restauratrice di barche al porto.
I due si incontrano per caso proprio nell'appartamento in cui si avvicendano e trovano un'immediata intesa già prima della partenza di Ivo. Una volta distanti si scriveranno e, più avanti, Clara deciderà di andare in Romania, dove però il lavoro di Ivo non è più così saldo... 

La confusione vissuta dai personaggi è la stessa che vive lo spettatore, come ha sottolineato Ezio Abbate, co-sceneggiatore del film insieme allo stesso Adriano Valerio, intervenuto anche lui al Palladium, il cui obiettivo è stato quello di lasciare lo spettatore nell'incertezza, nella confusione, procedendo "per via di levare" e dando pochissimi informazioni sulla precedente vita dei personaggi. Non sappiamo praticamente nulla di Ivo e nemmeno di Clara, che nell'unico momento di confessione dice di essere abituata a scappare dalle storie senza troppe spiegazioni.
A questo straniamento, che fatalmente però allontana lo spettatore dalla storia, contribuiscono prima una Bari grigia, umida, e poi, soprattutto, la campagna rumena che la fotografia di Jonathan Ricquebourg immortala nelle nebbie e nelle brume, dove il freddo non permette di salvare ciò che è stato piantato: "senza antigelo le piante muoiono qui, non siamo in Italia", dice amaramente Ion a Ivo che vorrebbe ancora poter far qualcosa.
Oltre ai due protagonisti, c'è poco spazio per altri personaggi, ma due ruoli meritano di essere menzionati: quello di Ion (Ștefan Velniciuc), il datore di lavoro di Ivo in Romania, che ha ereditato dal padre quel mestiere di cui ora percepisce con chiarezza le difficoltà segnate dal passaggio storico dei tempi ("il regime metteva tutti insieme per forza, dopo la rivoluzione tutti vogliono stare da soli"); e la signora Nitti (Piera degli Esposti), la padrona dell'appartamento in cui si incontrano Ivo e Clara, alla quale tra le varie battute viene riservato un bel monologo sul suo fallimentare matrimonio.
Ad incorniciare la storia, infine, due parabole calcistiche legate ai due luoghi principali del film: il gol di Cassano in un famoso Bari-Inter del 18 dicembre 1999, che la sceneggiatura fa coincidere con l'arrivo di Ivo nella città pugliese, e la vicenda del mitico portiere rumeno del Siviglia, Helmuth Robert Duckadam, capace di parare quattro rigori al Barcellona nella finale di Coppa Campioni del 1986 e che, omaggiato dall'allora presidente del Real Madrid con una Mercedes per aver sconfitto gli acerrimi rivali azul-grana, si vide spezzare le mani per ordine di Valentin Ceauşescu, figlio del dittatore rumeno (la versione ufficiale del regime parlò di una trombosi).
Pur se affascinanti, i due racconti appaiono un po' troppo forzati, cosicché il primo, narrato da Ivo, viene connesso ad una spasmodica attesa di una nevicata che a Bari mancava dal 1963 e mostrato nei filmati di repertorio (anche la prima immagine del film è rappresentata dallo stadio San Nicola di Bari), mentre il secondo, sicuramente meglio raccontato anche perché privo di immagini, è lasciato alle parole di Ion, ma diventa poco credibile quando scopriamo che il mitico portiere rumeno sarebbe proprio lo stesso Ion che tra un raccolto e un altro ancora oggi allena giovani ragazzi tra i pali.
In compenso Adriano Valerio gira bene e alterna carrelli, sfocature e una bella ripresa circolare su Ivo nei campi, che aumentano il senso di disorientamento che è alla base del film; inquadra frontalmente, alla Spike Lee, gruppi di persone delineati rapidamente dalla sceneggiatura, come nel caso degli indiani che gestiscono un ristorante ("mi piacciono i negozi che non chiudono mai" dice Clara); dimostra una sapiente messa in scena, quando riprende il primo incontro di Ivo e Clara nell'appartamento che fa da ambiente di partenza per una storia che a ben vedere non trova mai un luogo certo, stabile, proprio come accade ai suoi personaggi, con uno split screen naturale ricavato da una parete di tramezzo... si pensa subito alla sequenza del furto in ufficio in Marnie (Hitchcock 1964), e anche se ovviamente qui non c'è suspense, l'inquadratura è davvero bella! 

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