sabato 18 aprile 2015

Goltzius e la compagnia del Pellicano (Greenaway 2012)

Visionario come non mai, l'ultimo film di Peter Greenaway è stato distribuito in Italia davvero per pochi intimi, a ottobre e novembre 2014 in alcuni teatri, e ora in poche sale selezionate, grazie a distributori come Lo Scrittoio e Maremosso, che ringraziamo sin da subito, altrimenti lo avremmo avuto solo per l'home video.

Si tratta del secondo episodio di una trilogia dedicata ai pittori olandesi: dopo Nightwatching (2007), incentrato sulla figura di Rembrandt, e prima di quello previsto per il 2016, che avrà come protagonista Hyeronimus Bosch. 
Esteticamente la pellicola del regista gallese è un'opera imperdibile, intrisa di pittura, di ironia e di un'immancabile provocatorietà, tutti elementi che rendono immediatamente riconoscibile la sua paternità, già dai primissimi fotogrammi. Il tema? Difficile condensarlo in poche parole, ma di certo Eros e Tanathos sono i motori di questo film, non a caso definiti dal regista "gli unici temi di cui vale la pena parlare", e ad essi si aggiungono arte e religione, il cui ruolo è stato sintetizzato dallo stesso Greenaway: "l’arte si occupa della vita, la religione si occupa della morte"...

Siamo a Colmar e Hendrik Goltzius (Ramsey Nasr), con la sua Compagnia del Pellicano ("incisori, tipografi, uno scrittore, uno o due attori. Tutti specializzati in parole. Commerciavamo in parole. Parole nei libri, parole sul palcoscenico"), cerca di ottenere dal margravio d’Alsazia (Fahrid Murray Abraham) la committenza di importanti edizioni della Bibbia e delle Metamorfosi di Ovidio. Per convincerlo gli ospiti sono disposti a inscenare davanti a lui e alla sua corte una serie di episodi dell'Antico Testamento, che abbiano come tema centrale i principali tabù biblici: fornicazione, incesto, adulterio, pedofilia, prostituzione e necrofilia. Si parte, così, dal Peccato originale, e si prosegue con Lot e le figlie, David e Betsabea, Giuseppe e la moglie di Putifarre, Sansone e Dalila e, infine, Giovanni Battista e Salomè, in un gioco che attraversa continuamente il confine tra rappresentazione e realtà.
Il margravio, che senza troppi giri di parole considera quei due libri "libri sporchi", alla fine cederà, anche perché, come dice lo stesso Goltzius nel bel prologo che apre il film, "l’insoddisfazione erotica, prima o poi, fa sì che l'uomo si privi del suo denaro e della dignità".

L'unico e molto blando riferimento storico, su cui poggia la vicenda che fa da sfondo alla pellicola, è fornito dalla biografia di Goltzius, l'artista olandese che fu tra i primi a dipingere ed incidere soggetti erotici e licenziosi nel tardo Cinquecento, seppur dopo il binomio Giulio Romano - Marco Antonio Raimondi con I Modi (sedici posizioni sessuali) del 1524, bruciati su ordine di Clemente VII Medici.
La consueta messa in scena teatrale di Peter Greenaway, in cui la mdp è sostanzialmente fissa, con il dinamismo garantito dal continuo ricorso a lenti grandangolari che destabilizzano le inquadrature, chiude lo spettatore e la storia in un'ambientazione claustrofobica, priva di alcun tentativo di ricostruzione dell'interno di un palazzo cinque-seicentesco. Gli unici contrappunti sono rappresentati dai primi piani del narratore, lo stesso Goltzius, e dalla serie di dipinti, sculture e incisioni che proprio lui ci mostra mentre spiega e narra i diversi soggetti narrati, trasformando il film in un vero e proprio saggio di iconografia che alterna capolavori di Dürer, Cranach, Van Eyck, ecc. Ma la storia dell'arte è continuamente presente anche in molte delle inquadrature dei tableaux vivants inscenati dagli attori della compagnia.
Bellissimi i titoli di testa, che ruotano insieme ai musicisti e ad alcuni personaggi, tutti in abiti rinascimentali, posti su una piattaforma girevole.
La corte di Colmar nel film e l'affresco di Giulio
Romano (Banchetto degli dei, Mantova, Palazzo Te)
L'irriverenza di Greenaway è palese sin dall'inizio della storia, che si apre con una defecazione in pubblico del margravio, consuetudine che sembra ripetersi puntualmente ogni giorno con l'intera corte riunita ad assistere. Si tratta di una rappresentazione scenica anche questa, d'altronde, come tutte quelle che seguono nel corso del film e che vedono gli astanti divisi in due ali, proprio come in alcune scene di banchetti rinascimentali che il regista non manca di mostrare attraverso i puntuali e sagaci intermezzi di Goltzius.

Il teatro è l'unico luogo dove viene permesso di essere voyeur (e naturalmente quando si parla di teatro si parla anche di cinema): è così che la sceneggiatura introduce la prima iconografia rappresentata, quella di Adamo, Eduard (Flavio Parenti), che mangia il frutto del peccato, definito "il piacere che porta al sovrappopolamento". È chiara la provocazione di Greenaway, che rincara la dose facendo fare sesso sulla scena ai due progenitori biblici, in una posizione "proibita", che gli permette il calembour blasfemo in cui si fa notare che la parola 'dog' non è altro che l'inverso di 'God'...
Senza appello è anche la riduzione dell'adulterio, nella scena di David e Betsabea, impersonati da Portia (Halina Rejin) e Quadfrey (Lars Eidinger), ad un fatto semplicemente fisiologico, condensato nell'espressione "la natura se ne frega", e ancora più avanti, la moglie di Putifarre interpretata da Susannah (Anne Louise Hassing), critica gli ebrei perché si circoncidono, a suo avviso evidente segno di una bassa considerazione di Dio, perché altrimenti dovrebbero perfezionare la sua creazione?
Goltzius, e quindi Greenaway, inoltre, colpisce anche i drammaturghi, che reputa saccenti ("c'erano loro ai piedi della Croce"), cosicché il personaggio di Thomas Boethius (Giulio Berruti), lo scrittore della compagnia, viene imprigionato in un'immaginifica gabbia-cella sospesa, accusato di eresia. Proprio sotto la cella, in un continuo horror vacui di sensualità, vediamo far sesso Isadora (Maaike Neuville), incinta del margravio, con il già citato Quadfrey, che non resiste ai perfetti seni della donna.
Con Salomè (Adaela, interpretata da Kate Moran) che invece della testa di Giovanni Battista chiede la liberazione del suo amante Boethius all'Erode interpretato dal margravio, la realtà (della finzione) scavalca la rappresentazione, la metafora recitata diventa reale. La spiegazione razionale è data dalla trasgressione tematica di Goltzius, che con quell'episodio è passato dal Vecchio al Nuovo Testamento, ma il parallelo tra Giovanni Battista come "profeta della certezza", contrapposto a Boethius "profeta del dubbio", è uno degli elementi più significanti dell'intera sceneggiatura.
Il progetto di Goltzius andrà a buon fine e la ricchezza gli permetterà di coronare il sogno di andare a dipingere in Italia, da cui dovrà tornare per realizzare gli amori di Giove tratti da Ovidio, come da contratto... ma Greenaway ci lascia con l'ennesima provocazione: il pittore fiammingo, infatti, lo rivela allo spettatore mentre guarda un uomo nudo al suo fianco e precisa che sarà un piacere tornare in quella "corte lasciva gaia e malsana...".
Tanti gli altri attori presenti nel cast, tra cui spicca il ligure Pippo Delbono (Samuel von Gouda, che nella finzione interpreta sia la figura di Dio Padre che quella di Satana), uno dei grandi autori del teatro contemporaneo, nonché di una compagnia che porta il suo nome, non meno dissacrante di quella del Pellicano protagonista del film; ma anche Francesco De Vito (Rabbi Moab), Vincent Riotta (Ricardo del Monte), e soprattutto l'inquietante Lisette Malidor (Ebola Goyal), vicina al margravio e che tra i tanti panni veste anche quelli di Erodiade.
A 70 anni (oggi ne ha 72), il regista de I misteri del giardino di Compton House (1982) ha realizzato un altro gran bel film, con i suoi difetti, certo, ma il suo cinema è una perla nel panorama mondiale, per diversità e fascino puramente visivo, e bisogna sperare che possa farne ancora tanti altri, anche oltre gli 80, età alla quale, in pieno stile Greenaway, tempo fa ha dichiarato "ricorrerò all'eutanasia".

Nessun commento:

Posta un commento