Si è spento ieri, nella sua casa di Oporto, Manoel de Oliveira. Nel salutarlo, non si può prescindere da un pensiero alla sua incredibile età di 106 anni, che gli hanno permesso di vivere due guerre mondiali, il regime di Salazar, che dal 1932 al 1968 ha fagocitato la ripresa economica degli anni '50 e le rivolte studentesche degli anni '60; e poi la vera ripresa portoghese, ma anche l'esplosione dell'era tecnologica, il fatidico 2000 e ancora oltre, rimanendo lucido e produttivo dietro la mdp fino alla fine.
Se ne va l'uomo che ci ha saputo raccontare la nazione lusitana con poesia, malinconia e tanta cultura, grazie a pellicole intrise di storia, letteratura e filosofia (“senza i libri, senza gli storici, senza la memoria non resterebbe alcuna traccia [...] il cinema fissa le cose"), attraverso una regia essenziale, fatta di movimenti minimi, che ha di fatto procrastinato l'era della Nouvelle Vague fino a ieri...
L'attività cinematografica era iniziata già in precedenza, da attore, con Fátima Milagrosa (Lupo 1928) e altri film, ma da regista dopo alcuni corti l'esordio fu nel 1942, con Aniki Bóbó, dopo il quale seguì un lungo silenzio, interrotto da Atto di primavera (1963), per poi intensificare quella che diventerà la professione che lo ha reso uno dei più grandi cineasti di sempre dagli anni Settanta, cioè dalla caduta di Salazar, ma anche dal sodalizio con la scrittrice Agustina Bessa-Luis e il produttore Paulo Branco.
Difficile da questo momento in poi ripercorrere un excursus dei suoi numerosi film, spesso indimenticabili, da Il passato e il presente (1971), che apriva la cosiddetta "tetralogia degli amori frustrati", a Francisca (1981), che la chiudeva; da La divina commedia (1991), che raccontava le fantasie religiose e letterarie di alcuni pazienti di un manicomio (leone d'argento a Venezia), ai Misteri del convento (1995), con Catherine Deneuve e John Malkovich; da Party (1996) con Irene Papas e Michel Piccoli, a La lettera (1999), che gli valse il premio della giuria a Cannes; da Palabras y utopia a Un film parlato (2001), fino agli ultimi Gebo e l'ombra (2012) e La Chiesa del Diavolo (2014), che a questo punto aspettiamo con un'attesa diversa dal solito.
Due premi alla carriera: a Venezia nel 2004, a Cannes nel 2008, Hollywood, come di consueto nella suo universo troppo spesso richiuso su se stesso, lo ha dimenticato...
Penso naturalmente ai tanti celebri attori che hanno avuto la fortuna di lavorare con il maestro portoghese: oltre ai già citati, va aggiunta ovviamente Leonor Silveira, l'attrice-musa che da appena diciottenne ne I cannibali (1988), ha praticamente recitato in tutti i film successivi di de Oliveira, ma anche Luís Miguel Cintra, Maria de Medeiros, Miguel Guilherme, fino agli italiani Marcello Mastroianni, la figlia Chiara (scoperta come attrice proprio dal regista lusitano) e Stefania Sandrelli.
Se ne va l'uomo che ci ha saputo raccontare la nazione lusitana con poesia, malinconia e tanta cultura, grazie a pellicole intrise di storia, letteratura e filosofia (“senza i libri, senza gli storici, senza la memoria non resterebbe alcuna traccia [...] il cinema fissa le cose"), attraverso una regia essenziale, fatta di movimenti minimi, che ha di fatto procrastinato l'era della Nouvelle Vague fino a ieri...
Una carriera costituita da 33 lungometraggi, 4 documentari e diversi corti, questi ultimi realizzati non solo all'inizio della sua attività, come sarebbe lecito supporre, ma portati avanti fino al 2014 con O Velho do Restelo (Il vecchio del Restelo), dedicato al personaggio pessimista creato da Luis de Camões nel Cinquecento nei suoi Os Lusiadas, e riflessione sulla storia del Portogallo, attraverso altri riferimenti letterari, quali Camilo de Castelo Branco e Miguel de Cervantes.
E pensare che dopo gli studi dai gesuiti in Galizia, Manoel Cândido Pinto de Oliveira, era diventato celebre in patria come pilota di automobili fino al 1940, per poi passare a lavorare nell'azienda paterna di passamanerie e, quindi, in Germania dal 1955 all'AGFA.L'attività cinematografica era iniziata già in precedenza, da attore, con Fátima Milagrosa (Lupo 1928) e altri film, ma da regista dopo alcuni corti l'esordio fu nel 1942, con Aniki Bóbó, dopo il quale seguì un lungo silenzio, interrotto da Atto di primavera (1963), per poi intensificare quella che diventerà la professione che lo ha reso uno dei più grandi cineasti di sempre dagli anni Settanta, cioè dalla caduta di Salazar, ma anche dal sodalizio con la scrittrice Agustina Bessa-Luis e il produttore Paulo Branco.
Difficile da questo momento in poi ripercorrere un excursus dei suoi numerosi film, spesso indimenticabili, da Il passato e il presente (1971), che apriva la cosiddetta "tetralogia degli amori frustrati", a Francisca (1981), che la chiudeva; da La divina commedia (1991), che raccontava le fantasie religiose e letterarie di alcuni pazienti di un manicomio (leone d'argento a Venezia), ai Misteri del convento (1995), con Catherine Deneuve e John Malkovich; da Party (1996) con Irene Papas e Michel Piccoli, a La lettera (1999), che gli valse il premio della giuria a Cannes; da Palabras y utopia a Un film parlato (2001), fino agli ultimi Gebo e l'ombra (2012) e La Chiesa del Diavolo (2014), che a questo punto aspettiamo con un'attesa diversa dal solito.
Manoel de Oliveira con Leonor Silveira e Maria de Medeiros |
Penso naturalmente ai tanti celebri attori che hanno avuto la fortuna di lavorare con il maestro portoghese: oltre ai già citati, va aggiunta ovviamente Leonor Silveira, l'attrice-musa che da appena diciottenne ne I cannibali (1988), ha praticamente recitato in tutti i film successivi di de Oliveira, ma anche Luís Miguel Cintra, Maria de Medeiros, Miguel Guilherme, fino agli italiani Marcello Mastroianni, la figlia Chiara (scoperta come attrice proprio dal regista lusitano) e Stefania Sandrelli.
Eu sou o Pedro Macau
Que às costas tenho um pau
Passa por aqui muito patego
Uns de focinho branco
Outros de focinho negro
E ninguém me tira desse degredo
Io sono Pedro Macau
Che sulle spalle tiene un palo
Da qui passa tanta gente
Alcuni col musetto bianco
Altri col musetto nero
E nessuno mi toglie da questo tormento
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