domenica 6 aprile 2014

Primo amore (Garrone 2004)

Vittorio è un orafo che realizza piccoli gioielli antropomorfi dalla magrezza giacomettiana, un dettaglio che rivela non solo le sue preferenze artistiche... Le sue difficoltà di relazione con l'altro sesso vengono subito evidenziate dal ricorso ad annunci per appuntamenti al buio. È proprio così che conosce la venticinquenne Sonia, ragazza che lo interessa pur non rappresentando il suo ideale di donna, così preoccupantemente vicino alle sue statuette.
La loro relazione inizia su basi a dir poco traballanti, fondate sull'obiettivo dichiarato di Vittorio di far scendere di peso Sonia dai suoi 55-57 chili fino ai 40. L'orafo vicentino verbalizza la sua mania manipolatrice al suo psicanalista, meravigliandosi di come sia difficile trovare una persona che lo soddisfi per "testa" e "corpo", lasciando intuire che di solito sia attratto principalmente dal corpo e che poi, in seconda battuta, sia deluso dalla testa. Questa volta, invece, è tutto il contrario ma, va da sé, questa situazione non può comunque soddisfarlo pur se non sembra dare ascolto alle reprimende dell'analista, che gli farà presente quanto sia scorretto vivere un rapporto col fine di modificare una persona come se fosse una sua proprietà.
In questa continua follia, Vittorio arriverà ad acquistare una bellissima casa in un bosco, sorprendendo Sonia che solo sul posto capisce le reali intenzioni di quello che ormai è il suo fidanzato, che vuole vivere lì con lei, pur se solo per controllarne meglio i pasti. 
La solitudine vissuta dai due protagonisti fino al loro primo incontro, inoltre, determina non solo il reciproco bisogno di compagnia, ma anche un isolamento sociale che si traduce nella grave assenza di un confronto con altre persone che possano dare consigli, soprattutto a Sonia - solo suo fratello avanza qualche dubbio su Vittorio - per allontanarla da un uomo che non potrà mai renderla felice, perché troppo attento a modellarla secondo i suoi folli schemi, spesso rivelati in parallelo dall'approccio al suo mestiere. L'uomo, infatti, che vorrebbe produrre gioielli con le figurine emaciate già descritte, si scontrerà con un produttore che gli spiegherà che per fare affari insieme bisogna essere felici in due (proprio come in una coppia), mentre, d'altro canto, dichiarerà a Sonia quanto sia affascinato dalle caratteristiche dell'oro che, una volta fuso e fatto raffreddare, è quello che finisce in fondo e che si distingue dagli altri elementi perché più pesante e più prezioso, in una preoccupante metafora del dimagrimento: "alla fine resta solo quello che conta veramente".
Il controllo diverrà sempre più pressante, raggiungendo punte massime quando Vittorio arriverà a non fidarsi della bilancia in casa, a suo avviso tarata male o, peggio, manomessa da Sonia per dimostrargli di aver perso più chili di quanto abbia fatto in realtà, e la porterà da un bilanciaio che però lo rassicurerà sul suo corretto funzionamento; oppure quando Vittorio le strapperà un biscotto mangiato a colazione senza il suo permesso o la porterà a comprare dei vestiti che possano "esaltarne" le sue nuove non-forme. In quest'ultimo caso la sequenza ricorda quella analoga della Donna che visse due volte in cui James Stewart fa lo stesso con Kim Novak, ma declinata in una versione molto più disturbata e disturbante e che infatti fa crollare Sonia in un pianto dirotto.
Dopo uno svenimento conseguente alla denutrizione e le allucinazioni culinarie della donna, che di fronte a tre cipolle vedrà altrettante cosce di pollo, la situazione degenera. In una cena a due, in cui tutto il romanticismo dell'occasione è cancellato dall'attenzione morbosa di Vittorio alle ordinazioni di Sonia, limitate ad un'insalata verde scondita, la ragazza approfitterà di un momento d'assenza del compagno per mangiare tutto ciò che le sarà possibile, finendo persino nella cucina del ristorante per scappare al controllo e continuare a mangiare compulsivamente qualunque cosa veda. Conseguenza della serata sarà la furia di Vittorio, che reagirà da uomo tradito, divenendo definitivamente il carceriere di Sonia, condotta nella legnaia, denudata, costretta a veder bruciare i propri vestiti ("tanto qua non ci entrerai mai") e ad essere minacciata, fino all'inevitabile e catartica reazione...

Ispirandosi al romanzo Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini, Matteo Garrone ci mostra una Vicenza di cui vediamo pochissima città, realizzando un film claustrofobico, fatto di inquadrature "spiate", che sembrano adeguarsi alla deviazione mentale di Vittorio, anche quando non rappresentano i suoi sguardi in soggettiva. Il regista napoletano, tra i migliori autori italiani degli ultimi anni, anche così riesce a comunicare l'atmosfera di inquietudine e morbosità che pervade l'intera vicenda. In tal senso, che la storia d'amore dei due protagonisti sia priva di scampo è simbolicamente rappresentato dall'esemplare scena del dialogo dal balcone della casa nel bosco che, come per i più celebri amanti veneti della storia, sarà l'inizio della fine anche per i due di oggi, vicentini e non veronesi come Romeo e Giulietta.
Trevisan-Vittorio così simile al De Niro-Noodles
di C'era una volta in America. Solo un caso?
Ottime le musiche dei Banda Osiris e molto bella la fotografia di Marco Onorato che esalta i colori acidi, degni di Pontormo, che dominano quasi costantemente la scena.
Un ultimo e fondamentale pregio della pellicola è l'interpretazione di Michela Cescon e soprattutto di Vitaliano Trevisan, ancora più sorprendente perché il suo mestiere, almeno fino a questo film, è stato solo quello di scrittore (dopo questa ottima prova ha naturalmente recitato ancora), ma i suoi ghigni e il suo volto inquietante in alcuni frangenti sono davvero degni del Max Schreck del Nosferatu di Murnau. Inoltre, la si prenda col beneficio dell'inventario, segno di una palese ossessione di chi scrive, in una delle scene in cui spia Sonia, non può non ricordare il Noodles che ricorda quando spiava Deborah in C'era una volta in America (vedi immagine)...

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