Il film di Alexander Sokurov è una di quelle opere che non può lasciare indifferenti, che affronta una tematica che rappresenta uno dei peggiori momenti della vita umana, quello della perdita di una madre.
Il regista russo racconta gli ultimi momenti vissuti da una donna malata (Gudrun Geyer) assistita dal figlio (Aleksei Ananishnov) con una messa in scena dal rigore davvero profondo ma allo stesso tempo capace di una poesia sconfinata.
Il regista russo racconta gli ultimi momenti vissuti da una donna malata (Gudrun Geyer) assistita dal figlio (Aleksei Ananishnov) con una messa in scena dal rigore davvero profondo ma allo stesso tempo capace di una poesia sconfinata.
La storia, parte di una trilogia costituita anche da Padre e figlio (2003) e da Fratello e sorella (non ancora realizzato), mostra per tutta la sua pur breve durata (poco più di un'ora) i soli due protagonisti che rivelano una rara sintonia raccontandosi di aver fatto lo stesso sogno. Il giovane asseconda la volontà della madre, che nonostante le condizioni gravissime in cui versa chiede di uscire; così la porta in braccio fuori dalla casa, adagiandola prima su una panchina dove le legge una serie di cartoline inviatele dai suoi studenti di un tempo, e poi lungo un sentiero che attraversa distese erbose e zone alberate.
Rientrati in casa, la madre rivela la sua paura di morire, a cui il figlio risponde con una delle frasi più belle della sceneggiatura "e allora vivi! [...] Si vive senza motivo e si muore sempre per un motivo", aggiungendo anche che "io vivo razionalmente altrimenti il cuore mi si spezza". Il dialogo tra i due prosegue con l'amore della madre per il figlio a cui dice chiaramente "io per te ho una pena infinita [...] tu anche se non vuoi devi sopportare il mio dolore e questo non è giusto". Il giovane capisce che in realtà la paura della madre è quella di tutte le madri, lasciare solo il proprio figlio, ma poco dopo questo scambio di battute, sopraggiunge la morte, che lo spettatore deduce dalla fuga del ragazzo dalla casa per iniziare una corsa negli stessi luoghi percorsi precedentemente con la madre per poi fermarsi a piangere disperatamente su un albero. Dopo questo sfogo è tempo di tornare in casa e avvicinarsi al corpo senza vita della madre, accarezzandole la mano col proprio volto prima di dirle: "noi ci incontreremo dove sai, dove avevamo detto, ricordati, aspettami".
Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare, 1808-10, Berlino, Alte Pinakothek |
Il film, dalla trama a dir poco essenziale, ha una sceneggiatura minimalista ma di altissimo livello filosofico-letterario. È il dolore il vero protagonista, un dolore senza speranza ("chi c'è lassù?" chiede la madre, "non c'è nessuno lassù" risponde il figlio), come sembrano confermare i campi lunghi in cui il figlio tiene in braccio la madre, in una sorta di iconografia della Pietà ribaltata. I due sono immersi in una natura avvolgente che rende la presenza umana del tutto insignificante. Non a caso Sokurov ha rivelato come propria immagine d'ispirazione la tela Monaco in riva al mare, celebre opera del tedesco Caspar David Friedrich, che incentrò la sua arte proprio sul rapporto di sottomissione dell'uomo rispetto alla natura, secondo una tipica tematica romantica. A tal proposito segnalo un altro splendido scambio di battute tra i due personaggi, che conferma ancora una volta quanto in questo film la qualità della sceneggiatura sia inversamente proporzionale al numero di parole che la compongono: "È bello vivere qui, non è vero?", dice il figlio alla madre, che prontamente risponde "Sì, è vero... però c'è qualcosa che mi opprime sempre".
Sokurov, peraltro, non sembra limitarsi all'evidente e dichiarata influenza romantica, poiché in maniera pienamente espressionista deforma molte inquadrature, attraverso l'utilizzo di lenti, specchi e filtri, che possono essere lette come conseguenza del dolore che cambia la percezione delle cose.
Alla fine, quindi, filosofia, letteratura, storia dell'arte, sono tutte componenti fondamentali di un film di grandissima intensità, che però forse trova nell'immagine poetica della farfalla stretta tra le dita della donna morente il suo punto più alto.
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