giovedì 3 aprile 2014

Ida (Pawlikowski 2013)

Anni '60, Polonia: la giovane Ida Lebenstein (Agata Trzebuchowska), cresciuta in convento, a pochi giorni dai voti, viene messa in contatto con l'unica parente rimastale, la zia Wanda Gruz (Agata Kulesza), sorella della madre Ruja, morta durante la Seconda guerra mondiale. Le due si conoscono velocemente e, dopo un inizio freddo e imbarazzante - anche perché Ida raggiunge casa di Wanda a Lodz subito dopo un pomeriggio di sesso occasionale della zia, primo di tanti momenti che segnano la netta distanza di condotta delle due donne -, le loro differenze vengono abbattute dalla voglia di scoprire dove siano sepolti i corpi dei genitori della giovane comunicanda, uccisi poiché ebrei.
Questa rivelazione genera una sorta di ossimoro vivente nel personaggio di Ida, trasformata improvvisamente in una "suora ebrea", come sottolinea la sardonica Wanda che, durante il viaggio, non perde mai l'occasione di provocare la nipote chiedendole se abbia mai avuto pensieri peccaminosi ("dovresti provare, altrimenti che sacrificio è il tuo?"), così come, dopo aver dato un passaggio ad un bel musicista, celebra la virilità del sassofono che porta con sé.
Sarà proprio questo ragazzo a generare qualche turbamento in Ida, che lo osserva con occhi diversi e inizia a scoprire la propria femminilità, guardandosi allo specchio e liberando i capelli dalla cuffia dell'abito monacale, proprio dopo essersi sentita dire "tu non hai idea dell'effetto che fai, vero?"
È sempre alla zia Wanda, giudice nella Polonia comunista di quegli anni, che vengono riservate le battute migliori della sceneggiatura, tra cui quella pronunciata alla nipote quando ritorna in stanza mezza ubriaca e dopo l'ennesimo incontro con l'altro sesso: "questo tuo Gesù amava la gente come me!".
Dopo aver chiesto informazioni sulla casa in cui si erano rifugiati i Lebenstein durante la guerra, Ida e Wanda riusciranno a dissotterrare i resti dei corpi dei loro cari per poi dirigersi a Lublino per seppellirli nel cimitero ebraico. La sorpresa per Ida è che tra i resti si trovino anche quelli di un bambino, che nelle foto di famiglia aveva creduto essere suo fratello e che invece era il figlio di Wanda, Tadeusz, ucciso insieme agli zii. 
Terminata "l'impresa", Ida tornerà in convento ma, mentre i suoi dubbi sui voti aumenteranno, Wanda si suicida e al funerale, corredato da frasi ufficiali sul suo ruolo di giudice e dal suono dell'internazionale socialista, incontrerà di nuovo il giovane sassofonista. I due vivranno una bella e intensa notte d'amore, ma al mattino seguente Ida rimetterà le vesti da suora e tornerà in convento, evidentemente conscia di quale sarà ora il suo sacrificio...

Questo affascinante e atipico road-movie, che affronta il dramma degli eccidi ebraici in Polonia con una leggerezza davvero inusuale, è interpretato in maniera magistrale dalle due protagoniste e girato con incredibile consapevolezza dei mezzi a disposizione dal poalcco Paweł Pawlikowski, che riesce sempre a posizionare la mdp nella maniera migliore. Valga come caso esemplare la bellissima inquadratura con Wanda seduta al bar incorniciata da una parete e con una finestra al suo fianco che a sua volta incornicia una vera e propria "scena di genere" all'esterno con un venditore ambulante. Ma l'elenco potrebbe essere molto lungo e contemplare la scena in cui Ida sì ferma a pregare ad un altarolo di un crocevia immerso nelle lande semideserte percorse con Wanda, ed enumerare le tante inquadrature che mostrano poco più dei volti dei personaggi sovrastati dal resto del campo di ripresa, dimostrando un'incredibile attenzione alla resa della composizione, e gli interni saturi improvvisamente illuminati dalla luce dell'esterno. Tra questi giochi luministici non si possono dimenticare quelli creati dai raggi solari che entrano nella stalla delle mucche attraverso la finestra colorata realizzata da Ruja quando Ida ancora non era nata, bellissimo contrasto di un'opera d'arte voluta per un luogo così poco "artistico".
Un accenno meritano anche la sequenza del suicidio di Wanda, narrato in maniera fredda nonostante giunga tutto sommato inaspettatamente, dopo che la donna si è accesa una sigaretta e sta ascoltando un disco di Bach, e il conseguente arrivo di Ida nella casa della zia, dove indosserà i suoi vestiti femminili, proverà a camminare per la prima volta sui tacchi, fumerà e berrà alcool proprio come Wanda.
Diversi, infine, i rimandi e le influenze cinematografiche: su tutti quello di Carl Theodor Dreyer, il cineasta maggiormente evocato da questo film, con il suo bianco e nero, i suoi tagli diagonali e i densissimi silenzi (la musica è sempre e solo intradiegetica), nonché, ma è una sensazione puramente soggettiva, la già citata cuffietta di Ida, che fa pensare al personaggio di Anne Pedersdotter del Dies Irae; ma sembra esserci anche più dell'Aki Kaurismaki di Leningrad cowboys go to America che appare rievocato dalle sequenze delle serate musicali nel locale in cui suona il giovane sassofonista.

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