martedì 25 gennaio 2022

West Side Story (Spielberg 2021)

Rigorosamente per amanti della storia del cinema! Sedetevi in sala solo se siete pronti a emozionarvi dall'inizio alla fine e ad uscire dal cinema cantando.
Quasi mai un remake riesce ad appassionare quanto l'originale, ma nel caso di restituzioni filologiche e ben curate - si pensi al puntualissimo Psycho di Gus Van Sant (1998) - l'amore per una pellicola cult e la possibilità di riviverne a pieno le emozioni possono scatenare una virtuosa reazione a catena (trailer). 

È il caso di West Side Story di Steven Spielberg, da cui traspare tutta la passione cinefila del regista, che peraltro dedica l'opera al padre ("to dad" compare sullo schermo subito dopo il film), per uno dei più grandi classici del musical statunitense, liberamente ispirato a Romeo e Giulietta, che nel 1961, nella versione di Jerome Robbins e Robert Wise, spopolò sul grande schermo dopo anni di successo a Broadway (1957).
Inutile celebrare quel capolavoro acclarato, passato alla storia per l'uso del technicolor, per la colonna sonora di Leonard Bernstein (musiche) e Stephen Sondheim (canzoni) - oggi adattata e arrangiata da David Newman (ascolta) - ma anche per la tematica antirazziale che contrapponeva statunitensi bianchi a statunitensi portoricani. Va detto, però, che il film di Spielberg, per alcuni versi, supera persino la versione del 1961, rispetto alla quale è indubbiamente più progressista, più corretto e meno insultante per i portoricani (gli attori che li interpretano non sono stati costretti, come allora, a truccarsi con uno spesso strato di colore bruno) e, soprattutto, ha molti più esterni che lo distanziano maggiormente dall'inevitabile taglio teatrale del suo precedente.
Non si tratta di politically correct, ma ancora una volta di filologia, la figura di Anybodys, interpretato dall'attore non binario Iris Menas, che ha causato l'embargo del film in molti paesi del Golfo, Arabia Saudita, Emirati e Qatar in testa (e bene che la Disney si sia rifiutata di censurare le sue parti pur di riuscire a distribuirlo). Tra i Jets anche nella pellicola del 1961, infatti, c'era lo stesso personaggio, nei cui panni recitava una ragazza (Susan Oakes), che cercava di mettersi in mostra con i membri della banda, che lo ignoravano perché considerato troppo poco virile.
E poi c'è il cinema, sempre e comunque, a partire dalla prima sequenza, che guarda New York dall'alto, ma a differenza del film originale, quando la mdp volava fino a trovare il quartiere in cui è ambientata la storia, tra palazzoni in cortina e campi da basket in cemento recintati da alte reti, qui la camera passa più in basso, tra palazzi demoliti e oggetti di appartamenti smantellati. È una carrellata che ricorda moltissimo quella che Orson Welles girò tra le casse ricolme delle collezioni di Charles Forster Kane in Quarto Potere (1941), e non è un caso che si concluda davanti ad una rete con un cartello, che qui recita Lincoln Center ma che, vista l'associazione visiva con il capolavoro wellesiano, fa subito pensare al "no trespassing" sul cancello della residenza di Kane in quello.
La scomparsa del quartiere povero e malfamato, che ispirò l'ambientazione del musical, e che poi divenne il grande centro culturale grazie al denaro di un gruppo di imprenditori guidati da John D. Rockfeller III, per Spielberg è il luogo in cui lavorano i portoricani (gli Sharks), operai e muratori che cantano persino alzando il pugno chiuso, una differenza sensibile rispetto al film di Robbins e Wise, che contrapponeva i due gruppi in maniera molto più piatta e sicuramente meno politica. Qui, infatti, anche i bianchi (i Jets), sono rappresentati da ragazzi americani figli di europei con immigrati italiani, irlandesi, polacchi, tra gli altri, cosicché il tenente Schrank (Corey Stoll), che interrompe lo scontro iniziale, sottolinea proprio l'aspetto del melting pot statunitense per evidenziare l'assurdità delle fazioni: i Jets però chiosano con un laconico "loro non sono noi", che abbatte ogni discorso razionale.
La ricostruzione dell'intera zona è filologica: ritroviamo non solo i campi da basket, le reti da scavalcare, il cemento, ma anche l'enorme gazometro che si vedeva in tutta la sua grandezza anche nelle prime scene del film del 1961. Spielberg, inoltre, aggiunge l'offesa alla bandiera portoricana, dipinta su un muro che i jets imbrattano con la pittura: è l'inizio dell'esplosione di colori, con cui il remake si mette in scia dell'originale. E, a proposito di cinefilia, come per l'inizio stile Welles, le due fazioni che si rincorrono sotto le arcate della sopraelevata della metropolitana rimandano subito alla "mitologica" scena dell'inseguimento de Il braccio violento della legge (Frankenheimer 1971); senza dimenticare che un altro riferimento alla storia del cinema è nella Sfida all'O.K. Corral (Sturges 1957), citata come allusione di scontro per antonomasia dai ragazzi.
Il Bernardo di George Chakiris e quello di David Alvarez
Tutta questa parte iniziale, inoltre, a conferma della volontà di ritorno al cinema classico, è farcita di alcuni movimenti della mdp verso l'alto, realizzati tramite il dolly: con uno di essi si chiude l'intera sezione con la camera che sale e mostra gli attori in piedi su un cumulo di terra.
I personaggi principali restano gli stessi: a guidare i Jets c'è Riff (Mike Faist), il cui antagonista è il portoricano Bernardo (David Alvarez), pugile e fidanzato con la sensuale Anita (Ariana DeBose). La coppia vive con la giovane sorella di Bernardo, Maria (Rachel Zegler), da poco arrivata negli Stati Uniti, che al ballo della scuola, il prom della tradizione statunitense, pur se accompagnata dallo studente in medicina Chino (Josh Andrés Rivera), si innamorerà di Tony (Ansel Elgort), amico di Riff, ma da qualche tempo fuori dal giro e garzone della drogheria gestita da Valentina (Rita Moreno).
Rita Moreno nel 1961 come Anita e oggi come Valentina
La scelta di Rita Moreno è un altro degli aspetti che rimandano alla pellicola originale, poiché l'attrice portoricana in quella versione interpretava Anita, ed è significativo che qui sia lei la datrice di lavoro a Tony, laddove nel film del 1961 era un uomo, Doc, con l'ulteriore differenza che nel remake il loro rapporto è ben più importante e intimo, paragonabile a quello di una nonna con un nipote. Spielberg e lo sceneggiatore Tony Kushner, non a caso, aggiungono dialoghi tra i due, che recuperano il passato di Valentina, vedova portoricana di un gringo e, per questo, considerata statunitense da tutti, oltre a mostrarla mentre insegna un po' di spagnolo a Tony ormai innamorato di Maria, lì a chiederle qualche parola per far colpo sulla ragazza. 
Il colpo di fulmine dei due protagonisti, che nel 1961 veniva isolato sfocando il resto delle inquadrature ed evidenziando in un bel campo e controcampo le figure di Nathalie Wood e Richard Beymer (che, ricordiamolo, poi sarebbe stato il futuro Benjamin Horne in Twin Peaks), qui viene semplificato, facendo camminare Maria e Tony, che si fissano l'un l'altro ignorando le coppie che ballano Mambo tutt'intorno a loro. Anche la passeggiata serale di Tony, in cui ripete il nome e canta la celeberrima Maria, e che culmina nell'incontro con la ragazza tra i palazzi in cortina del quartiere, è  filologica e non solo per i mattoni rossi che caratterizzano gli edifici, ma anche per i panni stesi coloratissimi, oltre i quali compare Maria affacciata, novella Giulietta che invece del balcone veronese ha le scale antincendio su cui si arrampica Tony-Romeo per raggiungerla e baciarla, per poi intonare la bella Tonight.
Tony, di cui la sceneggiatura precisa l'origine polacca, confermando l'attenzione del remake su questi aspetti, ha l'aspirazione di essere accettato dalla fazione opposta, e al suo "piacerò a tutti" fa da contraltare il pragmatismo femminile di Maria, "nessuno piace a tutti".
Anche la figura di Anita è molto ben delineata: come nel 1961 è più convinta di vivere negli Stati Uniti del suo fidanzato Bernardo, che già allora si lamentava dei salari più bassi per i portoricani. Lei, invece, è per il bicchiere mezzo pieno e vede le tante possibilità riservate a chi arriva: il brano America è forse il più corale dell'intera pellicola, come nell'originale, ma qui esonda nelle strade, tra negozi e bancarelle in un crescendo incredibile e forse persino più entusiasmante e si chiude ancora con un dolly onnicomprensivo.
Come allora, Anita lavora alla macchina da cucire (una Singer d'epoca) ed espone spesso le sue idee progressiste, finalizzate all'appianamento delle differenze, chiedendo costantemente a Bernardo e a Maria, in quella che diventa una gag, di parlare inglese e non spagnolo, ma con l'avanzare del dramma, fatalmente, diventerà intransigente e si arroccherà su posizioni conservatrici e di chiusura molto simili a quelle del fidanzato. La sostituzione di Doc con Valentina, inoltre, porta proprio Rita Moreno a interrompere le molestie dei Jets contro Anita, di fatto il momento in cui la donna cambia le sue posizioni e pronuncia la bugia che trasforma il dramma in una tragedia shakespeariana. E sarà proprio Valentina, poco prima di un bellissimo carrello all'indietro che riproduce l'allontanamento di Tony, a pronunciare una delle frasi più "la vita conta persino più dell'amore".
Il momento di massimo romanticismo tra Maria e Tony, in cui i due innamorati si promettono amore eterno, che nell'originale si svolgeva tra manichini e abiti da sposa nel negozio in cui lavorava Maria, stavolta ha una location magnifica: i Cloisters di New York, la sezione distaccata del Metropolitan Museum destinata al Medioevo dal 1927, con la ricostruzione di cinque chiostri francesi e spagnoli. Nella fattispecie vediamo i due attori camminare nel chiostro di Cuxa e celebrare le improvvisate "nozze private" (The secret marriage per rimanere in ambito musicale e dirla con Sting) davanti ad una vetrata medievaleggiante policroma che aumenta il fascino e la suggestività della sequenza. 
Tante altre scene meriterebbero degli approfondimenti, ma tra queste vale la pena ricordare lo spostamento di Gee, Officer Krupke, il brano con cui i Jets scherzano sui loro "disturbi sociali", che nell'originale veniva cantato in strada (vedi), in questura; Maria che canta con le altre ragazze I feel pretty, anche se in questa versione non è più impiegata in un negozio di vestiti da sposa (vedi), ma fa le pulizie notturne in un grande magazzino; l'acquisto di una pistola da parte di Riff, assente nella versione del 1961, e, ovviamente, lo scontro ("the rumble") tra le due fazioni che determina il passaggio della storia dai toni della commedia romantica a quelli della tragedia. Spielberg e lo scenografo Adam Stockhausen scelgono di ambientarla in un capannone-deposito di sale e l'immagine delle ombre lunghe dei due gruppi che, inquadrate dall'alto, invadono lo spazio come i triangoli della tavola del bakgammon, preludio della battaglia dei coltelli, è davvero sensazionale.
Difficile smettere di scrivere su un film così ricolmo di suggestioni, di immagini e di costanti confronti con il suo modello. Tutto è in stile, e il classico è girato davvero come un classico, con la fotografia in Technicolor di Janusz Kaminski e anche con l'utilizzo dei mezzi del cinema di un tempo, come dimostrano i frequenti e già citati dolly, riprese circolari, carrelli e piani sequenza. Persino i titoli di coda, che scorrono tra ombre, mattoni, tubi, tombini, lamiere, ci dicono molto di quella New York...
Hollywood celebra se stessa, è vero, ma qui lo fa in maniera superlativa, non c'è dubbio. Il nuovo West Side Story è un capolavoro all'altezza della leggenda che lo ha preceduto!

1 commento:

  1. Le tue "revisioni" sono sempre puntualissime e ricchi di ulteriori spunti. Davvero bravissimo. Complimenti!

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