Mike Milo (Clint Eastwood) è una vecchia gloria del rodeo e Clint Eastwood ce lo racconta come solo i grandi registi sanno fare, senza il minimo ausilio della parola: una serie di fotografie del passato appese ad una parete, una delle quali si anima improvvisamente e vediamo il nostro eroe in gioventù disarcionato da cavallo e con la schiena rotta, come dice il ritaglio di giornale incorniciato.
Basterebbe questo a ricordarci che Clint Eastwood è un grande autore, ma a prescindere dai giudizi sul film, piacevole, narrativo, edificante, al cui contesto western contribuiscono in maniera determinante la fotografia di Ben Davis e la colonna sonora di Mark Marcina, la notizia è che lui sia lì, dietro e davanti la mdp, senza cedere di un passo, inossidabile come sempre, alla veneranda età di 91 anni (trailer).
Stavolta affronta una storia di formazione ambientata sul confine più battuto del west, quello tra Texas e Messico, e, come era stato per Gran Torino (2008) e in tanti altre pellicole in cui il personaggio Clint Eastwood prendeva sotto la sua ala qualcuno, si ritrova a fare da nonno di un minore, allora Sue, ora il tredicenne Rafael (Eduardo Minetti), conteso tra la madre messicana, la ricca possidente Leta (Fernanda Urrejola), e il padre texano, Howard Polk (Dwight Yoakam), ricco anche lui, proprietario di un ranch e datore di lavoro di Mike, nonché suo amico dai tempi del grave infortunio, delle sue gravi perdite e della sua depressione annaffiata in fiumi di alcol.
È proprio Howard che gli affida l'incarico di recuperare "Rafo", ma, naturalmente, non tutto è esattamente come gli viene raccontato e la storia, nel complicarsi, si trasforma in un road movie, in cui bisogna evitare i federali, ma anche Aurelio (Horacio Garcia-Rojas), uno degli scagnozzi di Leta, nel quale Mike e Rafo, oltre a prendere "in prestito" diverse auto, impareranno a conoscersi, si legheranno in un rapporto vero e incontreranno altre persone che diventeranno importanti per loro, soprattutto Marta (Natalia Traven), locandiera, vedova, con le sue piccole nipoti... Mike diventerà il punto di riferimento della piccola comunità, per addestrare cavalli mustang, allevare e curare capre e maiali ("la vecchiaia non la so curare"), aggiustare oggetti; sa persino usare la lingua dei segni ("sono cose che si imparano nella vita").
In Cry Macho c'è il viaggio, c'è il confine, c'è il confronto tra Stati Uniti e Messico, quello tra le generazioni, i sentimenti, il dovere, l'etica, l'amicizia, territori in cui Eastwood si muove completamente a suo agio e, forse, per farlo meglio, è per questo che la vicenda si svolge tra il 1979 e il 1980.
Nella sceneggiatura, infine, c'è anche quello che non ti aspetti dall'Eastwood repubblicano, ma che evidentemente è nell'Eastwood grande uomo, la comprensione dei tempi. Nonostante la storia sia ambientata quarant'anni fa, infatti, è figlia di questa realtà, e Mike, che sa persino cucinare ("visto che cucini sempre te" dice a Marta) e si lascia andare a un lento con Marta (sulle note di Sabor a mi di Eydie Gormé & i Los Panchos), ironizza su quanto sia sopravvalutato il concetto di "macho".
A suggerire la riflessione, il gallo che Rafael si porta sempre dietro, Macho appunto, un nome che fa sorridere Mike: "se uno vuole chiamare il suo uccello Macho, va bene per me [...] devi badare a queste stronzate sul Macho lassù in Texas". Sulla questione, però, i due torneranno più seriamente nel corso della storia e, durante un litigio, Rafo provocherà Mike, "un tempo tu eri un duro, ora sei debole, un tempo eri forte, macho", e si sentirà rispondere "un tempo ero un sacco di cose, ma ora non più [...] e poi dammi retta, questa storia del macho è sopravvalutata, è solo qualcuno che vuole fare il macho per dimostrare che ha fegato, ma rimane con un pugno di mosche. È come per tutto, nella vita, pensi di avere le risposte, poi invecchiando ti rendi conto che non ne hai nessuna".
E poi diversi i momenti che si ricordano, come il divertente contrasto sull'alcol messicano, che per Mike è "acqua sporca", ma che per Rafael è solo debolezza di stomaco dei gringo; oppure le battute contro i poliziotti ("se avessero il cervello sarebbero pericolosi"), o quelle a tema religioso, che trovano sfogo in un dialogo tra i due protagonisti, quando Mike, per passare la notte, sceglie una piccola cappella dedicata alla Virgen Maria e, alle proteste del giovanissimo compagno di viaggio, "siamo tutti figli di Dio", risponde "bè, in fondo, siamo tutti figli di qualcuno", che fa subito pensare al Sergio Leone de Il buono il brutto e il cattivo, dove il celebre "lo sai di chi sei figlio tu?" era rivolto da Eli Wallach proprio a Eastwood nei panni dell'indimenticabile Biondo.
La regia e i movimenti della mdp non sono moltissimi, ma si fanno apprezzare un bel surcadrage alla John Ford, con Mike che emerge dall'ombra di un interno e si staglia con la sua iconica silhouette con il cappello sulla porta invasa di luce; e un momento lirico, in cui Mike accarezza un cavallo in uno splendido paesaggio al tramonto.
Clint sa di essere un'icona con quel cappello a larghe tese, e quando schiaccia un pisolino e lo abbassa sugli occhi, l'emozione arriva forte, fortissima! Modernità sì, nei pensieri e nei concetti, ma in quell'immagine c'è tutta la tradizione di uno dei suoi personaggi più famosi, in un film che in fondo è incentrato sul rapporto tra il passato e il presente, tra ciò che si era e ciò che si è.
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