domenica 2 febbraio 2020

1917 (Mendes 2019)

Partiamo da Nodo alla gola (1948), perché con lo sperimentale film di Hitchcock, il britannico Sam Mendes ha un'idea basilare in comune, quella di girare un'intera pellicola come se fosse un unico piano sequenza (trailer).
Il maestro del brivido ci riusciva grazie a un film teatrale e a degli stacchi, determinati dalla fine dei rulli, ottenuti con particolari inquadrature, altrimenti ingiustificate, che affondavano nelle giacche scure degli attori.
Sam Mendes, oltre settant'anni dopo, non ha il problema dei rulli, gira all'aperto e con grandi scene d'azione e di massa: il risultato è vincente, la mdp sembra non abbandonare mai i due protagonisti, tranne in pochi frangenti, ben celati oppure, talvolta, palesemente evidenti, perché intenzionale e significante, come quello plateale che ci mostra dopo 1h10' dall'inizio.
La storia, per cui Mendes ha dichiarato di essersi ispirato ai racconti del nonno Alfred H. Mendes, che combatté durante la Prima guerra mondiale, inizia la mattina di venerdì 6 aprile 1917 e finisce ventiquattro ore dopo, una rigorosa unità di tempo che fa il paio con il rigore del piano sequenza e con la circolarità della composizione filmica: la pellicola si apre all'alba di quel giorno, su un paesaggio erboso sterminato, con due soldati dell'esercito inglese ai piedi di un albero e si chiuderà in maniera del tutto simile un giorno dopo.
In mezzo, una splendida maniera, tra Malick, Kubrick, Coppola, indubbiamente autori dei massimi capolavori del cinema bellico degli ultimi sessant'anni, e l'estetica più moderna dei videogiochi. Dopo il momento naturalistico che non può non far pensare al vento tra i fili d'erba de La sottile linea rossa (Malick 1998), i due protagonisti, i caporali William Schofield (George MacKay) e Tom Blake (Dean-Charles Chapman), sono chiamati a raggiungere il generale Erinmore (Colin Firth) per ricevere un ordine. La mdp li accompagna con un bellissimo carrello all'indietro, passando in una lunga trincea, proprio come accadeva al colonnello Dax-Kirk Douglas in Orizzonti di gloria (Kubrick 1957): nel cammino, Mendes ci racconta la guerra, fatta di dettagli, con i commilitoni dei due ragazzi seduti ai bordi della trincea, colti mentre mangiano, leggono e scrivono lettere, sistemano il proprio fucile, fumano, ecc. Uno dei soldati che incontrano ha persino un cagnolino in braccio (sì, proprio come Lance in Apocalypse Now - Coppola 1979).
Tom e William dovranno camminare lungo il fronte occidentale, dove i tedeschi sembrano essere in ritirata, per raggiungere una zona di conflitto, dove i nemici stanno tendendo una trappola a due battaglioni inglesi, e fermare l'attacco già programmato sotto la guida del colonnello MacKenzie (Benedict Cumberbatch). Ad animare questo macguffin hitchcockiano - perché la vicenda è nel viaggio e non nel punto d'arrivo - un ulteriore artificio drammatico: la presenza del fratello di Tom tra quei 1600 uomini ad un passo dall'attacco.
La missione dei due protagonisti sarà un'avventura incredibile, a partire dall'attraversamento della trincea di fronte a quella da cui partono, che i tedeschi hanno appena lasciato: un panorama di desolazione, tra cadaveri umani e cavalli atterrati - la Battaglia di san Romano di Paolo Uccello aggiornata alla Prima guerra mondiale -, topi che scorrazzano ("perfino i topi sono più grandi dei nostri") e trappole da evitare.
Nei lunghi piani sequenza la mdp talvolta lascia i due compagni e passa con un carrello dietro cumuli di terra e ammassi di rottami, per poi riprenderli subito dopo, senza mai rinunciare alla continuità della ripresa ma indugiando, nel frattempo, su dettagli macabri.
Non mancano momenti di tensione e di supereroismo, con sequenze degne dello spielberghiano Indiana Jones, così come non manca la lezione su quanto possa essere controproducente essere umani durante una guerra.
Siamo in Francia e tra i momenti più sensazionali della pellicola c'è l'arrivo di William ad Écoust-Saint-Mein, poco a sud di Calais e a ridosso del confine con il Belgio ad est. Qui il giovane caporale sembra davvero il protagonista di un videogioco - forse troppo -, dall'incontro con una donna francese che vorrebbe rimanesse con lei per aiutarlo con una bambina, alla fuga dai nemici che gli sparano, lo rincorrono, mentre lui raggiunge la salvezza come farebbe un personaggio di Tomb Raider o, meglio, data la caratterizzazione storica, di Assassin's Creed.
La sequenza Écoust-Saint-Mein
La scenografia e l'ambientazione notturna di questa sequenza sono magnifiche: i resti della cittadina distrutta sono quelli attorno ai quali si aggira e corre William, che passa anche a fianco ad un manifesto circense (si legge Cirque de Louis), segno di un tempo recente in cui quel luogo è stato vivo, sereno e persino festante; e, inoltre, un edificio in fiamme che il soldato inglese guarda dal basso, così come l'episodio di un cecchino che prova ad ucciderlo da una finestra sembrano perfettamente ripresi dalle analoghe sequenze di Full Metal Jacket (Kubrick 1987).
Mendes si lascia andare anche a notevoli momenti lirici, che fanno di nuovo pensare al cinema di Terrence Malick. Tra questi c'è sicuramente il passaggio di Tom e William attraverso un campo di ciliegi in fiore, con il primo che si dilunga sulla loro coltivazione, modo per raccontarci parte della sua vita in tempo di pace, ma ancor di più con l'incontro con il battaglione Devonshire Regiment, i cui membri sono tutti seduti in un bosco attorno ad un commilitone che sta cantando una toccante Wayfaring Stranger. Il brano, un classico folk-bellico che compare come tale già nel 1858, nella raccolta di testi di inni, spirituals e canzoni inglesi The Christian Songster di Joseph Bever, venne più volte inciso da diversi artisti e in diversi stili, come ad esempio dai Limeliters, da Jack White e da Johnny Cash. Non a caso, inserito nella colonna sonora di Thomas Newman, è anch'esso un racconto di viaggio, che narra il ritorno a casa di un soldato dalla propria famiglia al di là del fiume Giordano... anche William supera un fiume nella sua impresa, ma per lui è solo una tappa, la guerra non sarà ancora finita dopo questa missione, anche se le foto di moglie e figli, sul retro, gli ricordano costantemente "come back to us".
Che 1917 sia un gran bel film non c'è dubbio, a conferma che spesso non serva una trama o un soggetto irresistibili se chi tiene in mano la mdp sa usarla con grande capacità; che vada visto in sala è quasi una condicio sine qua non, come ha precisato il regista stesso, poiché altrimenti si perderebbe gran parte del suo valore e del piacere estetico che ne può derivare; che, invece, sia una rivoluzione all'interno della storia del cinema appare decisamente più difficile affermarlo, nonostante gli entusiasmi del momento.
Sarà il favorito ai prossimi Oscar di febbraio, questo è certo, anche partendo dalle 10 nomination ricevute (ovviamente non c'è il montaggio), ma la sensazione è che lo sia più per ciò che racconta, oltre all'indubbio valore tecnico e di progetto corale che esalta la macchina cinema in tutte le sue sfaccettature e competenze, che per la reale superiorità rispetto ad altre pellicole, tra cui ce n'è una che non solo narra di Hollywood, ma che la storia la cambia davvero. Vedremo fra una settimana, anche se l'Academy Awards in certi casi è facilmente prevedibile...

1 commento:

  1. Giusto non aver premiato questo film con gli Oscar (eccetto qualcuno minore), perché non scalda il cuore degli spettatori. Le novità stilistiche proposte sono più adatte ai videogames che al cinema propriamente detto. Inoltre l'edizione italiana è impoverita dal solito brutto doppiaggio che sta diventando un grande problema a cui si deve porre rimedio.

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