Rupert Goold adatta la pièce teatrale End of the Rainbow di Peter Quilter e gira un melodramma incentrato sulla biografia degli ultimi mesi di vita di Judy Garland. La pellicola, per dare un po' di dinamismo alla vicenda, si avvale di frequenti flashback che rimandano all'inizio della carriera della grande attrice e cantante del Minnesota.
Judy è interpretata da un'ottima Renée Zellweger, Oscar annunciato e tutto sommato ruolo perfetto per raggiungerlo (trailer).
La pellicola, però, oltre l'interpretazione della protagonista, qualche buon movimento della mdp e alcune battute della sceneggiatura, non va oltre il prodotto seriale hollywoodiano, con una superficiale condanna dello starsystem e un continuo indugiare sul tema del declino.
In apertura, la Judy adolescente è sul set de Il mago di Oz (Fleming 1939), che ammiriamo grazie a un bel dolly che sale riprendendo la scenografia dall'alto. È a colloquio con il potente Louis B. Mayer, capo della Metro Goldwyn Mayer. Tutto, in base a una elementare lettura psicologica della vita della Garland, parte da lì: il talento messo al servizio dell'azienda cinematografica, qui visto come un gigante che stritola chiunque, tanto più una ragazzina della sua età, che nella pellicola appare ancora più piccola.
Mayer, tra i colori pastello e l'ambientazione campestre della scenografia celebre musical, incombe su di lei come il cattivo della fiabe, come il lupo di fronte a una spaurita Cappuccetto Rosso, maniera allegorica, forse utilizzata per edulcorare le molestie citate da Gerald Clarke nella sua biografia dell'attrice (Get Happy: The Life of Judy Garland, 2000). Il suo discorso sul successo e sulla necessità di emergere per non essere seconda a nessuno, nemmeno a Shirley Temple (!), segue la morale protestante e si chiude con un significativo e sprezzante "il resto dell'America è lì fuori".
La vita di Judy al tramonto della sua carriera - morì a soli 47 anni - è completamente instabile. Liza, la figlia avuta dal suo primo matrimonio con Vincente Minnelli, è ormai grande e autonoma, quasi un'amica più giovane, mentre i due bambini più piccoli sono con lei, ma fa fatica ad occuparsene.
Judy non è soddisfatta di nulla e, anche se felice di essere madre, non sembra del tutto convinta di quanto fatto, tanto da consigliare a Liza "non fare figli: è come vivere col cuore fuori dal corpo". In questo stato di cose, a cui si aggiungono le difficoltà economiche, la cantante si trasferirà in Europa, a Londra, dove il suo nome le garantirà serate e concerti ben pagati con un pubblico, almeno inizialmente, adorante.
La separazione dai bambini è dura, ma inevitabile, poiché Judy non può portarli con sé e, con tono fiabesco, si accomiata da loro spiegando che "al momento non un caminetto da cui far scendere Babbo Natale".
I flashback continuano a raccontare che l'ansia e la pressione su di lei sono state una costante biografica: le subisce da sempre e, sin da bambina, ha avuto necessità di assumere sonniferi per dormire. E la conferma arriva anche quando, in una surreale serata con due fan - una coppia omosessuale che banalizza ancora il ruolo della Garland come icona gay -, riesce a rilassarsi e a confidarsi con dei perfetti sconosciuti: "voglio quello che vogliono tutti, ma sembra che io faccia più fatica ad ottenerlo".
Per il resto, nonostante l'ennesimo marito che potrà darle solo un po' di amore fugace, Judy passerà grandi momenti di depressione, tra pasticche, alcool e bizze da diva. Dal medico, che le chiede se prende qualcosa per la depressione, risponde in maniera folgorante quanto amara: "quattro mariti, ma non sono serviti".
Sulla tematica matrimoniale, le linee della sceneggiatura tornano spesso, facendo dire a Judy, da un lato, che "ogni ora non sposati è tempo sprecato", e, dall'altro, davanti a una torta, "no, è meglio la tagliate voi. Ogni volta che taglio una torta mi ritrovo sposata con un idiota".
Eppure uno dei momenti più sereni è proprio il primo amore, narrato in uno dei flashback: Goold rimette filologicamente in scena una delle famose sequenze di Judy e Mickey Rooney, giovani fidanzati sul set di Piccoli attori (Berkeley 1939), che dialogano mentre bevono dalle cannucce, il tutto però traslato in un fast food, con un tocco di realismo in più.
Le difficoltà esistenziali, però, ricordi a parte, accompagneranno Judy fino alla fine, ma la sequenza sul palco londinese in cui canta Somewhere over the Rainbow (vedi), nonostante la prevedibilità, è un bell'omaggio ad una straordinaria interprete e a una delle canzoni più cantate di sempre.
La pellicola, però, oltre l'interpretazione della protagonista, qualche buon movimento della mdp e alcune battute della sceneggiatura, non va oltre il prodotto seriale hollywoodiano, con una superficiale condanna dello starsystem e un continuo indugiare sul tema del declino.
In apertura, la Judy adolescente è sul set de Il mago di Oz (Fleming 1939), che ammiriamo grazie a un bel dolly che sale riprendendo la scenografia dall'alto. È a colloquio con il potente Louis B. Mayer, capo della Metro Goldwyn Mayer. Tutto, in base a una elementare lettura psicologica della vita della Garland, parte da lì: il talento messo al servizio dell'azienda cinematografica, qui visto come un gigante che stritola chiunque, tanto più una ragazzina della sua età, che nella pellicola appare ancora più piccola.
Mayer, tra i colori pastello e l'ambientazione campestre della scenografia celebre musical, incombe su di lei come il cattivo della fiabe, come il lupo di fronte a una spaurita Cappuccetto Rosso, maniera allegorica, forse utilizzata per edulcorare le molestie citate da Gerald Clarke nella sua biografia dell'attrice (Get Happy: The Life of Judy Garland, 2000). Il suo discorso sul successo e sulla necessità di emergere per non essere seconda a nessuno, nemmeno a Shirley Temple (!), segue la morale protestante e si chiude con un significativo e sprezzante "il resto dell'America è lì fuori".
La vita di Judy al tramonto della sua carriera - morì a soli 47 anni - è completamente instabile. Liza, la figlia avuta dal suo primo matrimonio con Vincente Minnelli, è ormai grande e autonoma, quasi un'amica più giovane, mentre i due bambini più piccoli sono con lei, ma fa fatica ad occuparsene.
Judy non è soddisfatta di nulla e, anche se felice di essere madre, non sembra del tutto convinta di quanto fatto, tanto da consigliare a Liza "non fare figli: è come vivere col cuore fuori dal corpo". In questo stato di cose, a cui si aggiungono le difficoltà economiche, la cantante si trasferirà in Europa, a Londra, dove il suo nome le garantirà serate e concerti ben pagati con un pubblico, almeno inizialmente, adorante.
La separazione dai bambini è dura, ma inevitabile, poiché Judy non può portarli con sé e, con tono fiabesco, si accomiata da loro spiegando che "al momento non un caminetto da cui far scendere Babbo Natale".
I flashback continuano a raccontare che l'ansia e la pressione su di lei sono state una costante biografica: le subisce da sempre e, sin da bambina, ha avuto necessità di assumere sonniferi per dormire. E la conferma arriva anche quando, in una surreale serata con due fan - una coppia omosessuale che banalizza ancora il ruolo della Garland come icona gay -, riesce a rilassarsi e a confidarsi con dei perfetti sconosciuti: "voglio quello che vogliono tutti, ma sembra che io faccia più fatica ad ottenerlo".
Per il resto, nonostante l'ennesimo marito che potrà darle solo un po' di amore fugace, Judy passerà grandi momenti di depressione, tra pasticche, alcool e bizze da diva. Dal medico, che le chiede se prende qualcosa per la depressione, risponde in maniera folgorante quanto amara: "quattro mariti, ma non sono serviti".
Sulla tematica matrimoniale, le linee della sceneggiatura tornano spesso, facendo dire a Judy, da un lato, che "ogni ora non sposati è tempo sprecato", e, dall'altro, davanti a una torta, "no, è meglio la tagliate voi. Ogni volta che taglio una torta mi ritrovo sposata con un idiota".
Eppure uno dei momenti più sereni è proprio il primo amore, narrato in uno dei flashback: Goold rimette filologicamente in scena una delle famose sequenze di Judy e Mickey Rooney, giovani fidanzati sul set di Piccoli attori (Berkeley 1939), che dialogano mentre bevono dalle cannucce, il tutto però traslato in un fast food, con un tocco di realismo in più.
Le difficoltà esistenziali, però, ricordi a parte, accompagneranno Judy fino alla fine, ma la sequenza sul palco londinese in cui canta Somewhere over the Rainbow (vedi), nonostante la prevedibilità, è un bell'omaggio ad una straordinaria interprete e a una delle canzoni più cantate di sempre.
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