Nella sua splendida perfezione, il capolavoro di Francis Ford Coppola è tornato al cinema nella sua terza edizione: dopo l'originale del 1979 (153') e la versione Redux del 2001 (202'), con l'aggiunta di quanto il regista era stato costretto a tagliare, è arrivato nelle sale il Final cut (183'; trailer).
È lo stesso Coppola ad introdurla con poche parole in cui spiega che la pellicola presentata diciotto anni fa era forse diventata troppo lunga, nell'entusiasmo di montare troppo di quanto eliminato nel 1979, ma soprattutto che ora i grandi mezzi tecnici a disposizione hanno permesso di migliorare sonoro e immagine.
Lo si percepisce subito, all'inizio del film, quando il rumore delle eliche degli elicotteri si aggirano nella sala cinematografica, grazie al surround, circondando gli spettatori, per poi fondersi con le note di The End dei Doors, mentre sullo schermo trovano il loro contrappunto nelle pale del ventilatore della stanza di Saigon in cui il capitano Willard (Martin Sheen) sta aspettando una nuova missione. Al primo segno di guerra, con gli alberi di una foresta vietnamita in fiamme, la voce di Jim Morrison si diffonde nello spazio... lo spettacolo è iniziato (vedi).
La disperazione e l'isolamento che soli tre anni prima avevano caratterizzato il Travis Bickle di Taxi Driver (Scorsese 1976), anche lui reduce dal Vietnam, stavolta identificano Benjamin L. Willard, esemplato sul personaggio di Marlow di Cuore di tenebra (1924), in cui Joseph Conrad raccontò la risalita del fiume Congo. In questo caso il fiume è il Nung (nome di fantasia al posto del Mekong) e il suo corso d'acqua, metaforizzato dal filo del telefono della stanza di Willard seguito dalla mdp e da cui arriverà la chiamata che avvierà la storia, sarà la costante di questo road (forse meglio river) movie entrato nella storia del Novecento anche più del racconto di Conrad.
Il commercio dell'avorio nell'adattamento di Coppola viene sostituito dalla guerra in Vietnam, ma come nel racconto, il lungo viaggio porterà a Walter E. Kurtz (Marlon Brando) - il nome viene lasciato lo stesso nel film - l'uomo bianco adorato come un dio da una comunità di autoctoni. Nel mezzo una serie di tappe che rappresentano una discesa agli inferi attraverso delitti atroci, morti dei membri dell'equipaggio e tanto altro, in cui il male diventa sempre più concreto fino alla sua personificazione umana.
Sono tanti i capolavori del cinema sulla guerra in Vietnam che si sono susseguiti in poco più di un decennio e tutti di altissimo livello: Il cacciatore (Cimino 1978), Full Metal Jacket (Kubrick 1987), Vittime di guerra (De Palma 1989), e poi c'è Apocalypse Now, non solo un film, ma un progetto utopico, un'odissea, una pellicola dell'anima. Nell'utopia rientrava anche l'American Zoetrope, l'idea coppoliana di una comunità di addetti ai lavori che, collaborando, impedisse ai produttori di avere le decisioni finali sui film realizzati, unendo la forza. degli studios all'indipendenza creativa degli autori. Quell'idea naufragò, ma regista e film rimasero anti-estabilishment: alla United Artists spettò solo la distribuzione nelle sale, mentre la pellicola era letteralmente di proprietà di Coppola.
Ci vollero quattro anni per realizzarlo. Francis Ford Coppola ereditò il progetto iniziato dal duo John Milius - George Lucas, che proprio lui aveva consigliato di arricchire utilizzando come fonte narrativa Cuore di tenebra. Milius rimase comunque lo sceneggiatore, insieme allo stesso Coppola e a Michael Herr, che anni dopo collaborerà anche con Kubrick per Full Metal Jacket.
Per riuscire a raccogliere il denaro necessario (30 milioni di dollari), Coppola si avvalse soprattutto del precedente capolavoro: i primi due episodi de Il Padrino (1972 e 1974), infatti, vennero uniti in The Godfather: 1901-1959, uscito in tv e vhs con un'addizione di circa un'ora rispetto agli originali ed ebbero un successo straordinario.
La pellicola vincerà li 32° Festival di Cannes ma, l'anno seguente, conquisterà "solo" l'Oscar per la fotografia di Vittorio Storaro e per il sonoro di Walter Murch. Le statuette per il miglior film, miglior regia e miglior attore andranno al più convenzionale Kramer contro Kramer (Benton 1979). Impossibile non pensare che la motivazione avesse poco a che vedere con questioni cinematografiche e che, in realtà, l'ideologia retrostante la pellicola del cineasta di Detroit fosse la vera responsabile di quell'ostracismo verso uno dei massimi capolavori della settima arte.
Il commercio dell'avorio nell'adattamento di Coppola viene sostituito dalla guerra in Vietnam, ma come nel racconto, il lungo viaggio porterà a Walter E. Kurtz (Marlon Brando) - il nome viene lasciato lo stesso nel film - l'uomo bianco adorato come un dio da una comunità di autoctoni. Nel mezzo una serie di tappe che rappresentano una discesa agli inferi attraverso delitti atroci, morti dei membri dell'equipaggio e tanto altro, in cui il male diventa sempre più concreto fino alla sua personificazione umana.
Sono tanti i capolavori del cinema sulla guerra in Vietnam che si sono susseguiti in poco più di un decennio e tutti di altissimo livello: Il cacciatore (Cimino 1978), Full Metal Jacket (Kubrick 1987), Vittime di guerra (De Palma 1989), e poi c'è Apocalypse Now, non solo un film, ma un progetto utopico, un'odissea, una pellicola dell'anima. Nell'utopia rientrava anche l'American Zoetrope, l'idea coppoliana di una comunità di addetti ai lavori che, collaborando, impedisse ai produttori di avere le decisioni finali sui film realizzati, unendo la forza. degli studios all'indipendenza creativa degli autori. Quell'idea naufragò, ma regista e film rimasero anti-estabilishment: alla United Artists spettò solo la distribuzione nelle sale, mentre la pellicola era letteralmente di proprietà di Coppola.
Ci vollero quattro anni per realizzarlo. Francis Ford Coppola ereditò il progetto iniziato dal duo John Milius - George Lucas, che proprio lui aveva consigliato di arricchire utilizzando come fonte narrativa Cuore di tenebra. Milius rimase comunque lo sceneggiatore, insieme allo stesso Coppola e a Michael Herr, che anni dopo collaborerà anche con Kubrick per Full Metal Jacket.
Per riuscire a raccogliere il denaro necessario (30 milioni di dollari), Coppola si avvalse soprattutto del precedente capolavoro: i primi due episodi de Il Padrino (1972 e 1974), infatti, vennero uniti in The Godfather: 1901-1959, uscito in tv e vhs con un'addizione di circa un'ora rispetto agli originali ed ebbero un successo straordinario.
La pellicola vincerà li 32° Festival di Cannes ma, l'anno seguente, conquisterà "solo" l'Oscar per la fotografia di Vittorio Storaro e per il sonoro di Walter Murch. Le statuette per il miglior film, miglior regia e miglior attore andranno al più convenzionale Kramer contro Kramer (Benton 1979). Impossibile non pensare che la motivazione avesse poco a che vedere con questioni cinematografiche e che, in realtà, l'ideologia retrostante la pellicola del cineasta di Detroit fosse la vera responsabile di quell'ostracismo verso uno dei massimi capolavori della settima arte.
Che Apocalypse Now sia un film politico e che la posizione di Coppola sia chiara, non ci sono dubbi: Kurtz ironizza sul fatto che i vertici militari statunitensi gli diano dell'assassino ("come si dice quando gli assassini accusano altri assassini? Mentono [...] quei nababbi li odio, li odio profondamente"); Willard, dopo aver accettato la missione, pronuncia una delle frasi più definitive in tal senso, dicendo che "accusare un uomo di omicidio quaggiù era come fare multe per eccesso di velocità a Indianapolis". Più avanti, ancora Willard, riflettendo sulla contraddittoria e ipocrita condotta dei militari in Vietnam, commenterà "qui avevamo un modo strano di vivere: li facevamo a brandelli e gli un cerotto. Era una menzogna".
Per questo netto schieramento antimilitarista, la produzione fu ostacolata dal governo statunitense e le continue difficoltà - tra cui un infarto che colpì Martin Sheen e il tifone Olga che distrusse le attrezzature -, tennero la troupe per mesi nelle Filippine, arrivando a totalizzare 238 giorni di riprese. Tutto questo condusse Coppola alla depressione e al tentato suicidio. La storia di quanto avvenne fu messa nera su bianco nel diario tenuto e poi pubblicato dalla moglie del regista, Eleanor (Notes on the Making of Apocalypse Now, 1979; ed. it. Diario dall'Apocalisse. Dietro le quinte del capolavoro di Francis Ford Coppola, 2006). Grazie a lei sappiamo che prima di Martin Sheen rifiutarono la parte del capitano Willard Steve McQueen, Al Pacino, Robert Redford, Jack Nicholson e Marlon Brando, che poi scelse Kurtz, per il quale le settimane di presenza sul set erano solo tre.
Tutti aspettavano da anni Apocalypse Now, che nel frattempo avevano preso a chiamare Apocalypse When? o Apocalypse Tomorrow, ma alla fine giunse sorprendentemente a Cannes 1979.
Tra i personaggi indimenticabili, un posto di rilievo è indubbiamente occupato dall'eccezionale colonnello Bill Kilgore (Robert Duvall), totalmente sopra le righe, ai limiti della pazzia: lancia carte da gioco sui cadaveri vietnamiti e si esalta all'idea che nel piccolo e sgangherato manipolo di soldati al seguito di Willard ci sia un campione di surf, Lance Johnson (Sam Bottoms). Non solo gli troverà una tavola, ma vorrebbe vedergliela usare sulle onde durante un bombardamento, in una sequenza epica, resa tale anche dal sottofondo della Cavalcata delle valchirie di Wagner, e condita da un paio di battute che sono rimaste nella storia del cinema e che testimoniano il suo delirio: "Charlie non fa surf" urla agli altri, per giustificare l'idea di cavalcare le onde in quel contesto (e alla frase di rifanno prima i Clash e poi Maurizio Cattelan) e, soprattutto, "mi piace l'odore di Napalm di mattina" (vedi in originale).
Nell'equipaggio destinato a Willard, oltre a Lance, totalmente inadatto alla guerra e abituato a ben altro tipo di vita (durante il viaggio pensa a prendere il sole e più avanti "adotterà" un cucciolo di cane), ci sono anche il baffuto cuoco Jay "Chef" Hicks (Frederic Forrest), protagonista di un fantastico tete a tete con una tigre nella foresta; George Phillips (Albert Hall), che guida la barca e, soprattutto, Tyrone "Mr. Clean" Miller, interpretato da un giovanissimo Laurence Fishburne, che per ottenere la parte mentì sulla sua età, dichiarando diciassette anni invece dei quattordici effettivi al momento dell'inizio delle riprese, nel 1976.
Due piccoli ruoli, infine, sono interpretati da altri grandi attori: Harrison Ford nei panni del colonnello Lucas, che all'inizio della storia è tra coloro che affidano e illustrano la missione al capitano Willard, e Dennis Hopper, che invece è il fotoreporter che fotografa il villaggio guidato da Kurtz e cita Kipling.
La follia della guerra, però, non è evidenziata solamente nelle sequenze con Kilgore e in quelle con Kurtz, poiché tutto è volutamente eccessivo, come la scena dello spettacolo di Playboy organizzato per le truppe, con le pin up delle celebre rivista che vengono portate dagli elicotteri su un palco galleggiante; o quella in cui la paura attanaglia Jay che mitraglia l'intero equipaggio di una piccola barca di commercianti; o ancora quella in cui, al suono di Satisfaction dei Rolling Stones, Lance fa sci nautico, Mr Clean balla, gli altri cantano, in uno dei rarissimi momenti di felicità e sorrisi dell'intero film.
Un po' slegata dal climax verso la Cambogia e, quindi, verso Kurtz, a cui si arriva accompagnati anche dalle inquietanti musiche d'atmosfera di Carmine Coppola, la sezione in cui Willard e gli altri incontrano un gruppo di francesi che vivono in Vietnam come coloni, gestendo una piantagione. È l'occasione per parlare del senso della disfatta che Lemarais avverte per il suo paese, che perde guerre sin dal secondo conflitto mondiale; ma anche di fare filosofia, con Roxanne Serrault che cita Eraclito chiedendo a Willard "lo sa perché non può buttarsi due volte nello stesso fiume?" Ed è in questo frangente che il protagonista interpretato da Martin Sheen, sui cui occhi la mdp indugia spesso con degli stretti close up alla Sergio Leone, si ritroverà a fumare oppio, in una sequenza che deve essere rimasta nella memoria del regista romano per il suo C'era una volta in America (1984), dove a farlo è De Niro-Noodles, vittima della stessa necessità di stordirsi del capitano Willard.
Nonostante la quotidianità della morte e la convivenza con essa, c'è spazio per la sua ritualità: all'inizio, un sacerdote accompagna liturgicamente il trapasso di un soldato mentre la battaglia infuria tutt'intorno; più avanti, il funerale di Tyrone viene celebrato con il gruppo di francesi, con tanto di inno statunitense suonato attraverso un piccolo mangianastri; infine, il corpo senza di vita di George, viene cullato sul fiume da Lance, ormai trasformatosi dal superficiale surfista iniziale a uomo sensibile e riflessivo.
Tra le curiosità, va ricordato che Coppola riserva a se stesso un cameo da regista di un documentario sul campo di battaglia, con a fianco Vittorio Storaro e lo scenografo Dean Tavoularis; su un muro davanti al quale appare il personaggio interpretato da Dennis Hopper, con le sue macchine fotografiche, si legge la scritta "Apocalypse Now"; e così, tra i pochi giornali che arrivano al fronte, sulla barca dei protagonisti viene letta la notizia dell'omicidio di Cielo Drive e dell'arresto di Charles Manson, segno che la follia non è solo in Vietnam.
Kurtz accoglierà Willard, ormai disilluso da quella missione, tanto da aver distrutto il dossier che riguarda il suo obiettivo, in semiombra, una condizione in cui viene costantemente inquadrato, fin troppo chiara metafora visiva della doppia natura del personaggio. Kurtz legge Il ramo d'oro (The golden Bough, 1915), fondamentale studio dell'antropologo James Frazer su magia e religione nei culti primitivi; parla di libertà dalle opinioni e dà a Willard del garzone del droghiere, poiché comandato da un potere che lui non riconosce più.
Ancora una volta la ritualità sarà basilare e, attraverso un montaggio alternato e sviluppato al ralenti, Coppola metterà a confronto l'uccisione del toro, evento a cui tutta la comunità partecipa con emozione, con l'omicidio finale, per poi sovrapporre il volto di Willard, che nel frattempo viene idolatrato come Kurtz dagli autoctoni, a quello di una grande statua del villaggio. La perfetta circolarità di Apocalypse now si è compiuta, poiché all'inizio avevamo visto il volto rivoltato a testa in giù di Willard affiancarsi senza potersi sovrapporre a quell'immagine.
Willard, come dimostra un'inquadratura che lo vede a metà tra ombra e luce, è definitivamente entrato nell'inferno e quell'esperienza lo segnerà per sempre, e poco conta che stia facendo ritorno in barca con Lance, ridiscendendo il fiume Nung.... una non scelta sul doppio finale lasciato ad uso degli spettatori.
Il silenzio della sala mai come questa volta risulta totale, non un commento, non una parola, solo il nulla, il vuoto lasciato da un'opera enorme, in grado di far riflettere tutti sul senso della vita e della morte che conosce pochi eguali. D'altronde, come lo stesso Coppola disse a Storaro, poco convinto di essere il direttore della fotografia di un film di guerra, "questo non è un film di guerra, ma sul senso della civilizzazione".
Per questo netto schieramento antimilitarista, la produzione fu ostacolata dal governo statunitense e le continue difficoltà - tra cui un infarto che colpì Martin Sheen e il tifone Olga che distrusse le attrezzature -, tennero la troupe per mesi nelle Filippine, arrivando a totalizzare 238 giorni di riprese. Tutto questo condusse Coppola alla depressione e al tentato suicidio. La storia di quanto avvenne fu messa nera su bianco nel diario tenuto e poi pubblicato dalla moglie del regista, Eleanor (Notes on the Making of Apocalypse Now, 1979; ed. it. Diario dall'Apocalisse. Dietro le quinte del capolavoro di Francis Ford Coppola, 2006). Grazie a lei sappiamo che prima di Martin Sheen rifiutarono la parte del capitano Willard Steve McQueen, Al Pacino, Robert Redford, Jack Nicholson e Marlon Brando, che poi scelse Kurtz, per il quale le settimane di presenza sul set erano solo tre.
Tutti aspettavano da anni Apocalypse Now, che nel frattempo avevano preso a chiamare Apocalypse When? o Apocalypse Tomorrow, ma alla fine giunse sorprendentemente a Cannes 1979.
Tra i personaggi indimenticabili, un posto di rilievo è indubbiamente occupato dall'eccezionale colonnello Bill Kilgore (Robert Duvall), totalmente sopra le righe, ai limiti della pazzia: lancia carte da gioco sui cadaveri vietnamiti e si esalta all'idea che nel piccolo e sgangherato manipolo di soldati al seguito di Willard ci sia un campione di surf, Lance Johnson (Sam Bottoms). Non solo gli troverà una tavola, ma vorrebbe vedergliela usare sulle onde durante un bombardamento, in una sequenza epica, resa tale anche dal sottofondo della Cavalcata delle valchirie di Wagner, e condita da un paio di battute che sono rimaste nella storia del cinema e che testimoniano il suo delirio: "Charlie non fa surf" urla agli altri, per giustificare l'idea di cavalcare le onde in quel contesto (e alla frase di rifanno prima i Clash e poi Maurizio Cattelan) e, soprattutto, "mi piace l'odore di Napalm di mattina" (vedi in originale).
Nell'equipaggio destinato a Willard, oltre a Lance, totalmente inadatto alla guerra e abituato a ben altro tipo di vita (durante il viaggio pensa a prendere il sole e più avanti "adotterà" un cucciolo di cane), ci sono anche il baffuto cuoco Jay "Chef" Hicks (Frederic Forrest), protagonista di un fantastico tete a tete con una tigre nella foresta; George Phillips (Albert Hall), che guida la barca e, soprattutto, Tyrone "Mr. Clean" Miller, interpretato da un giovanissimo Laurence Fishburne, che per ottenere la parte mentì sulla sua età, dichiarando diciassette anni invece dei quattordici effettivi al momento dell'inizio delle riprese, nel 1976.
Due piccoli ruoli, infine, sono interpretati da altri grandi attori: Harrison Ford nei panni del colonnello Lucas, che all'inizio della storia è tra coloro che affidano e illustrano la missione al capitano Willard, e Dennis Hopper, che invece è il fotoreporter che fotografa il villaggio guidato da Kurtz e cita Kipling.
La follia della guerra, però, non è evidenziata solamente nelle sequenze con Kilgore e in quelle con Kurtz, poiché tutto è volutamente eccessivo, come la scena dello spettacolo di Playboy organizzato per le truppe, con le pin up delle celebre rivista che vengono portate dagli elicotteri su un palco galleggiante; o quella in cui la paura attanaglia Jay che mitraglia l'intero equipaggio di una piccola barca di commercianti; o ancora quella in cui, al suono di Satisfaction dei Rolling Stones, Lance fa sci nautico, Mr Clean balla, gli altri cantano, in uno dei rarissimi momenti di felicità e sorrisi dell'intero film.
Un po' slegata dal climax verso la Cambogia e, quindi, verso Kurtz, a cui si arriva accompagnati anche dalle inquietanti musiche d'atmosfera di Carmine Coppola, la sezione in cui Willard e gli altri incontrano un gruppo di francesi che vivono in Vietnam come coloni, gestendo una piantagione. È l'occasione per parlare del senso della disfatta che Lemarais avverte per il suo paese, che perde guerre sin dal secondo conflitto mondiale; ma anche di fare filosofia, con Roxanne Serrault che cita Eraclito chiedendo a Willard "lo sa perché non può buttarsi due volte nello stesso fiume?" Ed è in questo frangente che il protagonista interpretato da Martin Sheen, sui cui occhi la mdp indugia spesso con degli stretti close up alla Sergio Leone, si ritroverà a fumare oppio, in una sequenza che deve essere rimasta nella memoria del regista romano per il suo C'era una volta in America (1984), dove a farlo è De Niro-Noodles, vittima della stessa necessità di stordirsi del capitano Willard.
Nonostante la quotidianità della morte e la convivenza con essa, c'è spazio per la sua ritualità: all'inizio, un sacerdote accompagna liturgicamente il trapasso di un soldato mentre la battaglia infuria tutt'intorno; più avanti, il funerale di Tyrone viene celebrato con il gruppo di francesi, con tanto di inno statunitense suonato attraverso un piccolo mangianastri; infine, il corpo senza di vita di George, viene cullato sul fiume da Lance, ormai trasformatosi dal superficiale surfista iniziale a uomo sensibile e riflessivo.
Coppola, Storaro e Tavoularis |
Kurtz accoglierà Willard, ormai disilluso da quella missione, tanto da aver distrutto il dossier che riguarda il suo obiettivo, in semiombra, una condizione in cui viene costantemente inquadrato, fin troppo chiara metafora visiva della doppia natura del personaggio. Kurtz legge Il ramo d'oro (The golden Bough, 1915), fondamentale studio dell'antropologo James Frazer su magia e religione nei culti primitivi; parla di libertà dalle opinioni e dà a Willard del garzone del droghiere, poiché comandato da un potere che lui non riconosce più.
Ancora una volta la ritualità sarà basilare e, attraverso un montaggio alternato e sviluppato al ralenti, Coppola metterà a confronto l'uccisione del toro, evento a cui tutta la comunità partecipa con emozione, con l'omicidio finale, per poi sovrapporre il volto di Willard, che nel frattempo viene idolatrato come Kurtz dagli autoctoni, a quello di una grande statua del villaggio. La perfetta circolarità di Apocalypse now si è compiuta, poiché all'inizio avevamo visto il volto rivoltato a testa in giù di Willard affiancarsi senza potersi sovrapporre a quell'immagine.
Il silenzio della sala mai come questa volta risulta totale, non un commento, non una parola, solo il nulla, il vuoto lasciato da un'opera enorme, in grado di far riflettere tutti sul senso della vita e della morte che conosce pochi eguali. D'altronde, come lo stesso Coppola disse a Storaro, poco convinto di essere il direttore della fotografia di un film di guerra, "questo non è un film di guerra, ma sul senso della civilizzazione".
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