venerdì 14 febbraio 2020

La ragazza d'autunno (Balagov 2019)

Kantemir Balagov, ventotenne allievo di Alexsandr Sokurov, racconta una storia di donne nel secondo dopoguerra russo e lo fa con un uso pittorico della mdp, tra scene di genere, realismo e grande sensibilità artistica.
Leningrado, autunno 1945. Ija (Viktorija Mirošničenko), la spilungona, "giraffa" o "quella alta un chilometro", come viene apostrofata durante il film, cui fa riferimento il titolo originale (Dylda), è una ragazza che lavora come infermiera nell'ospedale della città e accudisce il piccolo Paska (Timofej Glazkov), un bimbo che tratta come figlio, e che tutti credono tale, ma in realtà dell'amica Maša (Vasilisa Perelygina), sua compagna rimasta al fronte (trailer).
Le due si riabbracceranno, ma nel frattempo Paska è morto e Maša, senza scomporsi più di tanto, non vuole smettere di essere mamma e vuole uscire per cercare i potenziali padri del suo prossimo figlio. Scoprirà presto, però, che il primo parto ha causato danni irreversibili al suo apparato riproduttivo... di conseguenza, con la consueta razionalità da automa, chiede a Ija di farlo per lei, puntando anche sul suo inevitabile senso di colpa.
Anche il linguaggio in Maša è razionale ed esprime il suo obiettivo con un chiarissimo "voglio un'altra vita dentro per sostenermi". La sua, dopo gli anni di guerra e dopo il terribile lutto vissuto solo apparentemente senza conseguenze, diventerà una vera ossessione e, persino quando vedrà la foto di due bambini sulla scrivania del dottor Nikolaj Ivanovic (Andrej Bykov), non potrà fare a meno di chiedere "sono vivi?"
Molto belle le diverse sequenze che potrebbero essere delle scene di genere tout court. All'inizio del film un gruppo di donne lava i panni, così come altre lavorano in cucina; più avanti, invece, ne vediamo altre, comprese le protagoniste, nude in un bagno pubblico: impossibile non pensare prima ai fiamminghi e poi al Bagno turco di Ingres, ma in versione decisamente più realistica.
Bagalov cita Gerrit Van Honthorst?
E di storia dell'arte e di pittura ce n'è molta nella pellicola, oltre quanto già evidenziato. Ogni inquadratura appare organizzata come in un dipinto e il ruolo dei colori riveste un peso determinante. Su tutte, vale la pena citarne almeno altre due: nella prima una piccola fonte di luce interna, tenuta in mano da Maša, illumina i volti delle due protagoniste come in un dipinto di Gerrit Van Honthorst o di altri pittori seicenteschi che indugiarono spesso su effetti luministici simili; la seconda è una bella inquadratura del volto di Ija stagliato sulla parete di fondo, all'interno di un riquadro creato dai diversi livelli di carta da parati scrostata, che tanto ricordano quei dipinti ancora di XVII secolo in cui i busti dei personaggi sono inseriti in ghirlande fiorite, come nel caso di Jan Jiri Hering, pittore tedesco molto attivo a Praga. Sembra una buffa curiosità, o forse qualcosa di più, che l'Infanzia di Cristo del primo, davvero simile all'inquadratura del film, e alcuni disegni del secondo siano conservati proprio all'Ermitage di San Pietroburgo...
La regia di Balagov è attenta ai dettagli e spesso posiziona anche i volti di Ija e Maša uno dietro l'altro, frontalmente e di profilo, come Ingmar Bergman fece con Bibi Andersson e Liv Ullmann in Persona (1966), pellicola imprescindibile per comprendere questo Ragazza d'autunno, in cui si racconta, come in quel caso, un rapporto totalizzante tra due donne, tra intimismo e incomunicabilità.
Ija incorniciata e un sant'Agostino di Hering
Gli uomini che entrano all'interno della loro relazione sono meramente funzionali: lo sono i due ragazzi incontrati per caso, con i quali Ija e Maša consumano degli scomodi e necessari rapporti sessuali; lo è Nikolaj Ivanovic, dottore che non può risolvere chirurgicamente il problema di Maša e che verrà coinvolto diversamente nel loro progetto (l'inquadratura dei tre sul letto fa pensare, a ruoli invertiti, a simili momenti di Inseparabili di David Cronenberg, in cui i gemelli Beverly-Irons erano con Geevieve Bujold). Anche Saša (Igor' Širokov), che si innamora di Maša, soccombe irrimediabilmente, per la gelosia di Ija, che non lo tollera in casa, ma anche a causa di sua madre, che si oppone in maniera risoluta alla loro unione.
L'arrivo di Maša in casa della famiglia di Saša è una delle sequenze più significative dell'intera pellicola: si tratta di uno scontro di affetti ma soprattutto di uno scontro di classi sociali, poiché il ragazzo appartiene ad una famiglia dell'alta borghesia, un dettaglio fino a quel momento mai esplicitato dalla sceneggiatura. Sua madre (Ksenija Kutepova) è la ricca benefattrice dell'ospedale in cui lavorano Ija e Nikolaj, ma accettare che suo figlio sposi una donna come Maša va oltre i suoi limiti. Cane, villa, servitù sono i dettagli con cui Balagov ci spiega la situazione, senza la necessità di una parola, cinema puro, ma poi gli scambi di battute sono ancora più taglienti e, alle accuse di essersi prostituita in guerra per sopravvivere, Maša risponderà alla sedicente signora, convinta che suo figlio si stancherà di lei e la getterà come dei rifiuti, "voi non sareste durata molto tempo, perché nessuno vi avrebbe voluta".
Ancora una volta il ruolo maschile è quello di comparsa piuttosto insignificante: Saša non può far altro che sbattere i pugni sul tavolo, segno della sua impotenza, così come suo padre, presenza di contorno al pari del mobilio, rivolge senza piglio alle due donne "avete un caratteraccio", che gli dà una semplice parvenza di superiorità priva di sostanza.
Ija e Maša sono destinate a non separarsi, quasi ad accontentare il desiderio che Ija, in uno dei suoi momenti più difficili, rivela a Nikolaj - "voglio avere un legame con Maša -, ma il bel finale, che riprende Il dottor Zivago (Lean 1965), sembra mettere tutto a repentaglio... o forse no?

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