giovedì 1 marzo 2018

Il filo nascosto (Anderson 2017)

Paul Thomas Anderson ai confini del capolavoro! Torna a dirigere Daniel Day Lewis dai tempi de Il petroliere (2007) e il risultato è ancora una volta di altissimo profilo (trailer).
Il filo nascosto, libera traduzione di quello 'fantasma' del titolo originale, Phantom Thread appunto, è un film esteticamente perfetto, sia dal punto di vista registico che scenografico, ed è recitato in maniera sublime da uno dei più grandi attori viventi, al cui fianco brillano anche gli altri interpreti.
La vicenda ruota attorno ad un grande stilista londinese, ispirato alla figura dello spagnolo Cristobal Balenciaga (1895-1972), che negli anni Cinquanta determina il gusto dell'alta società britannica ed europea, arrivando a disegnare abiti per le corti reali.
Evocando l'affettazione sociale e, a tratti, porcellanosa di James Ivory, stemperata nella tinte fosche e ossessive degne del cinema di Alfred Hitchcock, la pellicola racconta una storia d'amore che per eleganza, complice la presenza dello stesso protagonista, ricorda L'età dell'innocenza (Scorsese 1993) e per gli squilibri Eyes wide shut (Kubrick 1999).
Reynolds Woodcock (Daniel Day Lewis) disegna e produce abiti coadiuvato dall'onnipresente sorella Cyril (una strepitosa Lesley Manville), che lui chiama "la vecchia tale e quale" (in originale "my old so and so"), che cura l'intera gestione dell'attività, lasciando al fratello la sola parte creativa. L'indissolubile legame tra i due non viene mai scalfito dalle relazioni di Reynolds, che ama le donne, meglio se insicure e inconsapevoli della loro bellezza, le affascina con la sua capacità di guardarle e apprezzarle nei più reconditi dettagli fisici, le rende modelle privilegiate delle sue creazioni, ma una volta rese incantevoli perde l'interesse per loro,  diventa insofferente alla loro presenza, al loro più piccolo movimento, le vede come un ostacolo alla propria concentrazione e creatività, evitando persino di litigare ("non mi avanza tempo per le discussioni"). Anche per scaricare le sue donne ha bisogno della collaborazione della sorella Cyril, che dona loro abiti come "liquidazione" e le mette alla porta. Con Alma (Vicky Krieps) le cose saranno più complesse, poiché l'amore in certi casi può diventare un pericolo o addirittura una malattia...

Il film è strutturato come un lungo flashback a cui fanno da cornice narrativa le parole di Alma che risponde a delle domande sul tempo passato con Reynolds. Seguiamo la loro storia sin da quando i due si incontrano nel ristorante dove Alma lavora come cameriera e Reynolds la seduce facendola arrossire.
Reynolds, che Alma definisce "l'uomo più esigente al mondo", ostenta grandissima sicurezza e consapevolezza di sé, sembra sapere sempre cosa vuole, non concede alcuna deroga alla propria disciplina e al proprio cinismo. Al primo appuntamento toglie il rossetto dalle labbra di Alma, "mi piace vedere con chi parlo", e rivela la propria indole senza tralasciare nulla, "sono uno scapolo impenitente", precisa sin da subito e, sul matrimonio, aggiunge "finirei per essere un marito infedele"; è certo, infine, che "siano le aspettative e le congetture degli altri a farci soffrire". 
La sua volontà di essere un pigmalione lo spinge a scegliere Alma che le piace anche e soprattutto perché ha un po' di pancia, poco seno, fianchi un po' larghi, braccia robuste: è lui a doverla rendere perfetta nonostante i difetti e, quando la ragazza prova a dare un proprio parere su una stoffa che non le piace, Reynolds la incenerisce con un perentorio "non hai gusto".
Reynolds, oltre al fortissimo legame con Cyril, sempre presente in casa e nell'atelier, cinica quanto e più di lui, anaffettiva e incapace di mostrare alcun sentimento (durante un litigio in pieno stile british gli risponde con voce piana e senza degnarlo di uno sguardo "non ti conviene provocarmi, miro dritto al cuore e tu vai a terra"), ha un rapporto morboso anche con la madre defunta, di cui conserva gelosamente una foto in abito da sposa con il quale gli appare in stanza durante un delirio causato dalla febbre.
Inevitabile il confronto con Rebecca la prima moglie (1940), per il disagio che vivono le nuove donne di Reynolds, come chi si avvicinava a Maximilian de Winter nel capolavoro hitchcockiano. In qualche modo, parafrasando l'illustre precedente, il film di Anderson potrebbe avere come secondo titolo Alma l'ultima compagna.
Come nell'illustre precedente, Alma (nome della moglie di Hitchcock, Alma Reville), al pari del personaggio interpretato da Joan Fontaine (significativamente privo di nome), è una donna costretta ad accettare le assurdità di quella casa e di quelle relazioni. Come con la governante in Rebecca, Alma deve costantemente confrontarsi con Cyril, che deve vagliare ogni sua proposta o idea, persino organizzare una cena a due può "destabilizzare" il metodico equilibrio di Reynolds, un passo sconsiderato all'interno di uno schema immutabile e solidissimo. Alma si sente una comparsa e il suo stato di incertezza è sintetizzato da un eloquente "aspetto il momento che ti sbarazzerai di me", ma poi trova il modo tutto hitchcockiano (come non pensare a Notorious?) di togliere a Reynolds le sue sicurezze e il suo cinismo, rendendolo letteralmente bisognoso di lei.
La morbosità è un tema portante, tutto lo è in Reynolds: il rapporto con il lavoro, con le donne, l'amore per madre e sorella, il legame con i suoi vestiti che investe la sfera del feticismo. Di conseguenza solo un amore altrettanto morboso e malato potrà attecchire su di lui...
Una delle sue clienti più ricche, Barbara Rose, al suo secondo matrimonio, si ubriaca durante i festeggiamenti: Reynolds, spinto anche dalla gelosia di Alma, va a recuperare il suo vestito, poiché per indossarne uno bisogna anche avere una condotta irreprensibile. Siamo agli albori del concetto di testimonial. Proprio la sequenza in cui la donna ubriaca e priva di conoscenza viene portata via a braccia ricorda l'immagine di disfacimento che caratterizzava Redmond nel Barry Lyndon di Kubrick (1976), a sua volta ripreso dal personaggio che affonda nella poltrona in uno dei dipinti di Marriage a la mode di Hogarth (1743-45).
Che Anderson abbia presente il cinema di Kubrick risulta palese in diversi casi e l'insana relazione tra Reynolds e Alma può facilmente far pensare all'atmosfera che si respira in Eyes wide shut (1999), soprattutto nella sequenza del veglione di capodanno, girata senza l'ausilio delle parole e con Woodcock che cerca affannosamente la giovane donna.
La qualità della regia e i movimenti della mdp sono indubbiamente un altro dei punti di forza del film: le inquadrature non sono mai banali e in alcuni casi valgono il prezzo del biglietto. Penso ad uno splendido surcadrage ricavato tra lo stipite di una porta e il braccio di Daniel Day Lewis che tiene la borsetta di Alma mentre questa spoglia Barbara Rose dell'abito "indegnamente" indossato; ad un'altra sequenza che sfrutta la griglia di una finestra inglesina per l'inquadratura nell'inquadratura; ad una ripresa dal pavimento, sotto ad un tavolo, con cui Anderson ci mostra un'intera stanza vetrata e il sofà su cui dorme distesa Alma; una soggettiva dall'interno della pentola che Alma mette sul fuoco; le numerose panoramiche verticali che si soffermano lentamente sui dettagli delle creazioni di Woodcock.
Una splendida carrellata in avanti, dall'alto al basso e dal generale al particolare dell'abito danneggiato della principessa del Belgio è l'ennesimo omaggio ad Alfred Hitchcock e alla sua mdp narrativa, nonché al celeberrimo identico movimento di macchina di Notorious (1946) che raggiungeva il dettaglio della chiave stretta nella mano di Ingrid Bergman (vedi), così come un'altra ripresa a 360° dello stesso abito è un panoramica circolare ormai frequentemente usata, ma che origina dal bacio circolare di Vertigo (1958).
Tanto cinema, tanto Hitchcock, tanto Daniel Day Lewis. Un film bellissimo e mai chic, espressione che per dirla con lo stesso Woodcock "chi l'ha inventata dovrebbe essere sventrato [...] non so neanche che vuol dire". Magnifico.

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