venerdì 16 marzo 2018

Lady Bird (Gerwig 2017)

È una bella storia di formazione (autobiografica) quella messa su grande schermo dalla statunitense Greta Gerwig che, dopo oltre dieci anni di carriera da attrice e sceneggiatrice, è al suo primo film in solitaria, caratterizzato da una regia essenziale - eccessiva la nomination ricevuta per questa categoria -, ma scritto splendidamente e che avrebbe meritato almeno l'ex aequo con Tre manifesti ad Ebbing, Missouri per la sceneggiatura originale... ma è andata diversamente, poiché la statuetta non è andata a nessuno dei due (trailer). 
Christine (Saoirse Ronan) è un'adolescente in contrasto con la famiglia, con la scuola e soprattutto con il luogo in cui vive: "Chi parla di edonismo in California non ha mai passato un Natale a Sacramento" è la frase della scrittrice Joan Didion usata a mo' di esergo e che si adatta perfettamente alla prima sequenza che vede Christine e sua madre Marion (Laurie Metcalf) in auto tra le lande desolate nel circondario della città.
Lady Bird, questo il soprannome che si è autoaffibbiata in un ennesimo atto di protesta contro le sue origini, è nata in questa città, ma la odia e la combatte per il suo provincialismo sognando di andare a studiare in una delle università dell'East Coast, magari a New York.
Anche il rapporto con la religione non è dei migliori: Christine e Julie (Beanie Feldstein), la sua migliore amica ridono, scherzano e parlano di autoerotismo in sacrestia mangiando ostie "non consacrate". Eppure questa carica ribelle si stempera nella scelta del primo ragazzo: Danny (Lucas Hedges) appartiene ad una famiglia di irlandesi cattolici e, alla domanda di Christine sul grande numero di parenti, risponde "non riesco a uscire con una ragazza che non sia mia cugina".
Le feste all'interno della scuola gestita da suore non rappresentano una miglioria per la libertà della protagonista: persino un casto ballo è bacchettato da una delle monache che chiede più distanza tra i due corpi ("15 cm per lo Spirito Santo").
In questa quotidianità risulta pienamente comprensibile l'urlo liberatorio della ragazza al primo bacio, che fa passare in secondo piano anche le difficoltà familiari e il lavoro perso dal padre.
Gli amori adolescenziali sono una continua scoperta e, dopo Danny, con cui la storia finisce per divergenze sostanziali, il fidanzato successivo, Kyle (Timothée Chalamet), è quanto di più lontano dal primo, un chitarrista che si dà precoci arie da intellettuale leggendo La storia del popolo americano di Howard Zinn, bello, tenebroso e irrimediabilmente bugiardo.
Anche le amicizie fanno parte degli esperimenti che permettono la crescita della protagonista: se Julie è l'amica di sempre, quella da cui non si separerà mai, la voglia di prendere le distanze da una certa monotonia, porterà Christine ad allontanarla per avvicinare la ragazza più popolare della classe, la ricca e bella Jenna (Odeya Rush). Per farlo si fingerà benestante indicando come casa propria la villa più grande del circondario e all'interno della quale campeggia persino un nostalgico poster di Ronald Reagan. Ben presto, però, Christine capirà chi è e cosa preferisce, anche perché, come le ricorda Marion, difendendo il marito, "i soldi non sono la pagella della vita".
Proprio il rapporto con i genitori è un altro elemento fondamentale tema del film. Christine ama il padre, Larry (Tracy Letts), in maniera incondizionata e serena, con lui si confida e condivide segreti, mentre il rapporto con la madre è sempre conflittuale, ma non per questo meno intenso: "avete entrambe una forte personalità" sintetizza lo stesso Larry. Marion è una madre dura e rigida, persino leggere un libro a letto, come vorrebbe la figlia, le sembra qualcosa da ricchi che loro non possono permettersi ("quello lo fanno i ricchi, noi non siamo ricchi), e raramente si lascia andare ad esplicite manifestazioni d'affetto, come dimostra in almeno due delle sequenze più significative dell'intera pellicola. Nella prima accompagna Christine a scegliere il vestito per il ballo di fine anno, il classico prom della tradizione scolastica statunitense, e il consueto scontro tra le due, qui palesato dai gusti differenti in fatto di abiti, si chiude con una frase sincera e piena di consapevolezza da parte di Marion, che rivela alla figlia come quella che lei ritiene essere la migliore versione di se stessa, non coincide con la sua idea.
La seconda è la scena più emozionante del film: Christine parte per il primo anno di università, ma all'aeroporto Marion la lascia scendere con Larry perché il parcheggio lì costerebbe troppo, un evidente pretesto per non farsi vedere dalla figlia commossa, preoccupata, ad un passo dal pianto in cui prorompe appena si allontana da lì alla guida dell'auto. Lady Bird non può capire l'atteggiamento della madre, ma nella valigia troverà le bozze di una lettera mai copiata in bella da Marion e recuperate da Larry, in cui sono raccolti i pensieri, le paure, ma anche l'orgoglio nei confronti della figlia.
Queste certezze familiari e il contemporaneo allontanamento da casa, paradossalmente, permetteranno a Christine di trovare un equilibrio, di rendersi conto quanto sia forte il legame con le sue origini, con quella gente e con quella terra che aveva sempre contrastato.
Il bel film di Gewig tocca senza dubbio le corde di molti di noi, dimostrando quanto sia facile identificarsi in certi atteggiamenti nonostante le distanze geografiche e culturali. Christine, Marion, Larry, Julie e gli altri si comportano come  noi, come i nostri genitori, come quelli dei nostri amici, e vedere in sala alcune dinamiche così personali dà la sensazione di essere nudi davanti al grande schermo, non certo un risultato da poco per un film indipendente come questo... potere del cinema!

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