giovedì 3 novembre 2016

La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler (Hirschbiegel 2004)

Strutturato come un lungo flashback rappresentato dal racconto dell'anziana Traudl, pentita di essere stata una giovane segretaria di Adolf Hitler ai tempi della morte del dittatore, il film del tedesco Oliver Hirschbiegel si concentra sui lunghissimi giorni che hanno determinato la storia della seconda metà del XX secolo, tra follie, insofferenze, progetti di suicidio e deliri di onnipotenza (guarda il film).
Gran parte del film è ambientata nel bunker di Hitler e quest'atmosfera claustrofobica, interrotta da qualche sequenza di bombardamenti su Berlino, durante i quali sono ormai i bambini a difendere una posizione priva di speranza, è la vera protagonista della pellicola.

La caduta, proprio per questa sua caratteristica, è soprattutto un film d'impianto teatrale e di recitazione, in cui si ammirano tutti, da Alexandra Maria Lara (la segretaria Traudl) a Juliane Köhler, che interpreta Eva Braun, da Corinna Harfouch e Ulrich Matthes, nei panni di Magda e Joseph Goebbels, a Heino Ferch, in quelli di Albert Speer, tutti capaci di alternare momenti di grande tensione a comportamenti fuori controllo per alcuni versi paragonabili a quelli di Salò o le 120 giornate di Sodoma (Pasolini 1975).
Naturalmente, però, la prova di Bruno Ganz come Adolf Hitler è quella più rilevante, segna la consacrazione del grande attore svizzero e alla fine della visione è di gran lunga l'elemento migliore della pellicola.
Un Hitler che non cede nemmeno quando i russi hanno ormai preso la città, ma che nei giorni in cui pian piano percepisce di non poter risollevare le sorti di un paese che ha portato alla rovina, scarica la sua rabbia e il suo disprezzo contro tutti, dai suoi uomini più fidati all'intero popolo tedesco, verso il quale non prova alcun senso di protezione né stima, considerandolo nulla più che una pedina del suo scacchiere ormai saltato ("se perderemo la guerra avrà poca importanza che scompaia anche il popolo tedesco").
Gli sentiamo dire "non voglio più fare politica, sono nauseato dalla politica", ma allo stesso tempo guarda il plastico del Terzo Reich come avrebbe fatto Napoleone davanti al suo Louvre, citando le città antiche e quelle medievali, che nel suo delirio sono state le necessarie premesse per la terza Germania che stava per diventare realtà. Hitler premia i bambini impegnati sul fronte cittadino, considerandoli ancora eroi del futuro, ed è sempre più convinto che le creature più deboli debbano soccombere per legge di natura.
Eppure, quando si relaziona a Traudl e, ovviamente, a Eva, è capace di slanci di dolcezza e tenerezza che disorientano lo spettatore perché riescono a generare, nonostante tutto, sentimenti di pietà nei confronti del personaggio.
La sequenza in cui si raggiunge il punto di tensione più alto è forse quella più celebre del film: al dittatore viene comunicato che il generale Steiner non ha attaccato i russi perché non ha più gli uomini. La rabbia prima compressa, ravvisabile in piccoli gesti, come la mano tremante che toglie gli occhiali o che spezza una matita, diventa furia incontrollata qualche secondo dopo, e terminerà solo con la tardiva e definitiva presa di coscienza della situazione: "ormai è finita. La guerra è perduta".
Fa il paio con la follia di Hitler quella della sua compagna, che sposerà all'interno del bunker, in una sequenza che il regista ci permette di spiare da dietro una porta, con gli occhi di un'incredula Traudl: Eva Braun organizza feste orgiastiche in cui si balla e ci si ubriaca, nella necessità di un divertimento che sa di disperazione assoluta. Tutto è improvvisamente privo di senso e vedere disquisire su quale sia il modo più veloce o indolore per suicidarsi o guardare una madre che avvelena i suoi figli per dargli una morte più serena è solo l'apice di questa lucida discesa all'inferno...

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