mercoledì 23 novembre 2016

Kill Bill volume 1 (Tarantino 2003)

Una donna ansima... una didascalia cita un vecchio proverbio Klingon (sic) - "la vendetta è un piatto che va servito freddo" -, alcuni passi sul pavimento di legno che scricchiola, poche battute, uno sparo, una didascalia ci dice che si tratta del quarto film di Quentin Tarantino, partono le note di Bang bang cantata da Nancy Sinatra e con loro i titoli di testa.
È davvero iniziato il quarto capolavoro di Tarantino!
Bastano questi pochi secondi per capire che sarà un film clamorosamente e magnificamente tarantiniano: incentrato sulla vendetta, tema dominante della sua filmografia; tanta azione, tanta ironia e tante citazioni, perché Klingon è un pianeta della saga di Star Trek e il proverbio compare in Star Trek II - L'ira di Khan (1982) e in Star Trek VI: Rotta verso l'ignoto (1991); ma anche perché quel pavimento che scricchiola sotto gli stivali di Bill non può non fare pensare a Bastardi senza gloria (2009) e a The Hateful Eight (2015); colonna sonora davvero sensazionale... e sempre senza poter avere Ennio Morricone, un vuoto che Quentin riuscirà a colmare solo con quello che finora è il suo ultimo film; il tutto orchestrato con un montaggio che gioca con il presente e il passato, secondo il modello di destrutturazione temporale di Rapina a mano armata (Kubrick 1956), già alla base de Le iene (1992) e di Pulp Fiction (1994).
La Sposa/Black Mamba (Uma Thurman) è la donna che cerca vendetta ed è lei che, lista alla mano, come una casalinga che segna i prodotti da acquistare per la sua spesa, va alla ricerca delle persone che nel giorno delle sue nozze sono entrate in una piccola chiesa del Texas sparando all'impazzata e uccidendo tutti. A quella data, come se non bastasse, era giunta con un pancione da nono mese di gravidanza.
Non sapremo subito come sia sopravvissuta a quel massacro, a causa del montaggio che rende tutto più misterioso e avvincente, ma sappiamo quanta rabbia ha in corpo e cosa è pronta a fare ai suoi nemici.
Ogni sezione merita un approfondimento e una recensione a se stante per la densità di cinema che Tarantino ci mette a disposizione. Proviamoci.

Capitolo 1, parte 2, senza titolo, la Sposa, a Pasadena, bussa alla porta di Vernita Green (Vivica A. Fox) e inizia un duello senza esclusione di colpi, che come per magia si interrompe quando torna da scuola la figlia di Vernita, Nikki. Il personaggio interpretato da Uma Thurman, durante la particolare "pausa caffè", fa lo stesso gesto di quadratura già usato dall'attrice in Pulp Fiction durante un dialogo con Vincent Vega-John Travolta. Prima di chiudere la sequenza con la bella inquadratura dall'alto che riprende gli ambienti dell'appartamento di Vernita, Black Mamba dice una delle sue migliori battute: "sono la pietà, la compassione e il perdono che mi mancano, non la razionalità".

Capitolo 2 "La sposa imbrattata di sangue" (titolo citazione da The Blood Spattered Bride - Aranda 1972) è la narrazione dei momenti successivi al massacro nella cappella di El Paso. Lo scambio di battute tra lo sceriffo Earl McGraw (Michael Parks) e il figlio Edgar (James Parks), stella sul petto e cappello da cowboy in perfetta tenuta texana, è indimenticabile. Lo sceriffo, che sul cruscotto dell'auto ha una ricca teoria di occhiali da sole identica a quella di Rollercar - Sessanta secondi e vai! (Halicki 1974), passa da "forse qualcuno contrario al matrimonio non è riuscito a tacere per sempre" ironizzando su quanto accaduto, all'ormai mitico "questa pertica succhiacazzi è ancora viva" quando vede reagire la Sposa per un riflesso incondizionato.
Altra sequenza entrata nella storia del cinema è quella di Elle Driver (Daryl Hannah) che cammina per il corridoio dell'ospedale dov'è ricoverata la Sposa fischiettando Twisted Nerve, l'eccezionale motivo che Bernard Herrmann compose per I nervi a pezzi (Boulting 1968, guarda) e che tornerà nella suoneria di Abernathy-Rosario Dawson in Grindhouse - A prova di morte (Tarantino 2007).
La regia qui non solo ha la capacità di creare tensione, ma gioca anche col sonoro, perché quando Elle entra nella stanza la musica diventa extradiegetica e la mdp prende l'iniziativa, non seguendo immediatamente il personaggio ma continuando ad andare avanti fino alla stanza in cui è Black Mamba per poi usare lo split screen per mostrarci entrambi i personaggi. La tecnica dello split screen, depalmiana per antonomasia, fa il paio con la vestizione da infermiera di Elle, che istintivamente rimanda al Michael Caine di Vestito per uccidere (De Palma 1980), in cui peraltro compariva un'infermiera dalla benda rosso-crociata sull'occhio, un dettaglio che insieme alla cuffia rende il personaggio di Daryl Hannah un'altra maschera indimenticabile di Kill Bill.
Dopo un altro brano di grande ironia, con Elle che fa una scenata di gelosia telefonica a Bill, Tarantino ci catapulta quattro anni dopo, al risveglio dal coma di Black Mamba, e in pochi minuti sembra citare almeno due volte il suo Pulp Fiction: il momento del risveglio è identico alla reazione della stessa Uma
Le dita di Buck e di Robert Mitchum
Thurman dopo l'inieizione di adrenalina nello sterno praticatale da Eric Stoltz, così come il personaggio dell'infermiere, Buck (Michael Bowen), che per anni ha venduto il corpo della donna a maniaci sessuali, ricorda molto da vicino lo Zed del precedente film di Tarantino, quello che dopo aver abusato di Marcellus Wallace, ispirava al boss nero "una cura medievale per il tuo culo".
Il nome di Buck non solo ha una facile rima apprezzabile in lingua originale ("my name is Buck and I'm here to fuck", ripresa da Quel motel vicino alla palude - Hooper 1977), ma la parola fuck è persino tatuata sulle falangi delle sue dita, proprio come hate e love campeggiavano sulle mani di Robert Mitchum in La morte corre sul fiume (Lee Thompson 1955). Buck, infine, è il vero proprietario dell'appariscente pick up giallo con la scritta rosa Pussy Wagon - che compare anche sul portachiavi -, altra icona di Kill Bill, che Black Mamba usa per buona parte del film dopo averlo preso nel parcheggio dell'ospedale e dopo le tredici ore che le sono state necessarie per "svegliare" le dita dei suoi piedi.
Capitolo 3 "Le origini di O-Ren" è un piccolo capolavoro nel capolavoro. La storia del passato di O-Ren Ishi (Lucy Liu), metà giapponese e metà cinese, ma nata negli Stati Uniti, è raccontata attraverso una sequenza anime realizzata dallo studio d'animazione nipponico Production I.G.
O-Ren bambina che assiste alla morte dei suoi genitori, la sua vendetta contro il boss pedofilo Matsumoto sono momenti straordinari del film, sia per la qualità delle scene, sia per l'accompagnamento musicale di Luis Bacalov, particolarmente morriconiano, che Tarantino recupera da uno spaghetti western di secondo piano, Il grande duello (Santi 1972 - ascolta). Oltre a katane e a ipertrofici spargimenti di sangue, questo capitolo ci permette di vedere Bill per la prima volta, anche se "disegnato", e soprattutto ci mostra cosa sia avvenuto nella piccola cappella di El Paso,
Capitolo 4 "L'uomo di Okinawa". Qui Tarantino occhieggia al cinema giapponese: la ragazza giunge da un altro personaggio fondamentale della pellicola, Hattori Hanzo (Sonny Chiba), che dietro una semplice veste da ristoratore nasconde la sua arte di creatore di katane invincibili. Questo non impedisce al regista di girare un altro brano comico, con Hanzo che discute col suo collaboratore tacciandolo di pigrizia, un momento che ha la funzione di stemperare la fase epica e solenne seguente, introdotta dalla visione delle spade al piano di sopra, dove la fotografia di Robert Richardson dà il meglio di sé tra fasci di luce che illuminano l'ambiente; con il dettaglio del nome di Bill scritto sulla condensa di una finestra da Hattori Hanzo e cancellato da Black Mamba (tanto western!). Il tutto culmina nella cerimonia di consegna della katana realizzata da Hanzo per la Sposa. Anche in questo caso il magnifico accompagnamento musicale, così appropriato da sembrare composto appositamente per il film, è invece un brano del 1978, The lonely shepherd di Gheorghe Zamfir (Tarantino racconta di averla sentita in un ristorante con RZA - Robert Diggs, che ha subito deciso di inserirla nella colonna sonora del film). 
Capitolo 5 "Resa dei conti alla casa delle foglie blu", che in realtà in un montaggio lineare sarebbe il capitolo 1, 1. Stavolta O-Ren Ishi ci viene mostrata in carne e ossa con il racconto della sua presa di potere nella yakuza di Tokio, in un'altra scena madre del film, in cui la giovane donna si scontra con la vecchia mentalità maschilista e razzista impersonata dal boss Tanaka, che ha l'ardire di definirla "troia nippo-cino-americana". Anche in questo frangente Tarantino crea una sequenza perfetta dal punto di vista della tensione e l'esplosione di violenza di O-Ren contrasta volutamente con il suo atteggiamento sorridente e pacato. Una voce off illustra le persone del suo entourage: da Sophie Fatale (Julie Dreyfus), "vestita come un cattivo di Star Trek", la bella franco-giapponese luogotenente di O-Ren, agli 88 folli, una vera e propria guardia armata guidata da John Mo (Gordon Liu), fino a Gogo Yubari (Chiaki Kuriyama), la guardia del corpo di O-Ren in abiti da collegiale.
La parte seguente del capitolo è dedicata allo scontro tra Black Mamba e O-Ren Ishi, che si trasforma in una battaglia del personaggio interpretato da Uma Thurman contro tutto il seguito del boss. È qui che la Sposa veste il suo abito più celebre, l'identitaria tuta gialla e nera (omaggio a L'ultimo combattimento di Chen - Bruce Lee 1978), completata dalle Asics Tiger, divenute famosissime dopo quest'apparizione. Ancora una volta la musica è fattore indissolubilmente coeso alla sequenza cinematografica: quei colori, estesi anche alla moto guidata da Black Mamba, infatti, si sposano perfettamente con la rivisitazione del Volo del calabrone (Rimsky-Korsakov 1899) da parte di Al Hirt nella sua Green Hornet (1966), già colonna sonora della serie tv Il Calabrone Verde (1966-67), con Bruce Lee che peraltro indossava lo stesso tipo di maschera che qui hanno sul volto i membri degli 88 folli. Qui Tarantino non solo associa benissimo alle immagini la musica, che si arricchisce anche di Battle wtihout honor or humanity (Tomoyasu Hotei), più adatta alla quiete prima della tempesta, ma cita ancora una volta se stesso quando inquadra il piede di Sophie Fatale che spinge l'acceleratore con le unghie laccate di rosso, proprio come faceva Esmeralda Villalobos dopo aver "accolto" sul suo taxi Butch-Bruce Willis in Pulp Fiction.
Le note di Woo Hoo (The 5.6.7.8's) e di Crane/White Lightning (RZA, Charles Bernstein), piani sequenza, inquadrature dall'alto e close up strettissimi alla Sergio Leone introducono duelli di ogni tipo (es. Black Mamba, circondata dagli 88 folli, ripete i movimenti di Bruce Lee in Dalla Cina con furore - Lo Wei 1972; altri, fluttuanti in volo, sembrano riprendere lo stile della Tigre e il dragone - Lee 2000), su cui Tarantino indugia per circa un quarto d'ora, alternando il colore al bianco e nero, il cui passaggio è segnato da movimenti degli occhi, ad una bellissima parte virata in azzurro su cui i personaggi si muovono come silhouette, anch'essa recuperata da unfilm amato dal regista (Samurai Fiction - Nakano 1998).
Tutto ritarda il duello tra la Sposa e O-Ren, ambientato in notturna all'interno del cortile innevato di un casa giapponese (ripresa in parte da Sex and Japan - Suzuki 1973), in un'altra sequenza indimenticabile del film su cui hanno un ruolo determinante non solo i colori, ma anche il sonoro, che passa dalla scatenata Don't let me be misunderstood dei Santa Esmeralda (1977) al semplice rumore di una canna di bambù che raccoglie acqua in una piccola fontana nel cortile, fino alla bellissima e struggente Flower of carnage (Meiko Kaji).
Una foto di scena di Uma Thurman e Lucy Liu
Il finale, degno di una telenovela e chiaramente finalizzato ad introdurre il volume 2, è la dimostrazione che Tarantino è in grado di usare tutti i generi senza alcun tabù...
Regia e fotografia eccezionali, citazionismo estremo sempre perfettamente integrato con la storia e non fine a se stesso, immagini indimenticabili, personaggi epici, musica fantastica, storia avvincente, condita da molta ironia. Sì, Kill Bill volume 1 è indubbiamente uno dei massimi capolavori degli ultimi anni!

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