La strana traduzione italiana del titolo nasconde uno dei temi principali del buon film di Anne Fontaine, Les innocents, incentrato sulle gravidanze di alcune suore polacche che sul finire della Seconda guerra mondiale sono state aggredite nel loro convento e violentate prima dai tedeschi e poi dai russi.
Dicembre 1945. Una delle consorelle, preoccupata per la loro salute, trasgredisce la regola dell`obbedienza e corre a chiedere aiuto alla Croce Rossa francese: Mathilde (Lou de Laage, alla seconda prova molto convincente dopo L'attesa - Messina 2015), una giovane dottoressa, la segue fino al convento dove, iniziando la più insospettabile delle collaborazioni, contribuirà alla nascita dei bambini innocenti del titolo originale...
Le campane sui titoli di testa e il canto corale delle suore al mattino, mentre fuori una candida neve tra gli alberi spogli rappresenta una perfetta allegoria della purezza perduta durante il conflitto bellico, fanno da introduzione alla storia. La Fontaine a tutto questo, sostenuta dalla bella fotografia di Caroline Champetier, aggiunge una buona regia che accresce la sensazione di isolamento delle suore tra le mura del convento, con inquadrature a cannocchiale, intere sequenze girate alla luce di una lampada ad olio degne di Dreyer, o giustapponendo i volti su piani sovrapposti alla Ingmar Bergman. Tra i tanti brani di cinema quasi pittorico, si noti la bella natura morta costituita da un comodino su cui sono poggiati un candelabro acceso e un paio di calzini fatti a maglia dalla suora stesa nel letto retrostante senza più vita.
Per tutto il film la spiritualità fa i conti con il materialismo e con il mondo reale, come dimostra in maniera esemplare la giovane suorina che va alla Croce Rossa, la quale, dopo la prima risposta negativa di Mathilde, riesce a convincerla con la tenacia di una preghiera in ginocchio nella neve proprio davanti alla finestra della ragazza, piuttosto che con l'aiuto della provvidenza.
Se la badessa (Agata Kulesza) resta la più ostinata ad opporsi all'aiuto esterno arroccandosi su posizioni puramente teologiche, la tragedia vissuta ha innescato sulle altre una forte crisi di fede, ben sintetizzata da una di loro che non riesce più a credere in un Dio per "questa vita che ha messo a forza dentro me", e che va dalla rimodulazione della propria vocazione all'innamoramento per il soldato violentatore.
Il confronto con Mathilde, inoltre, la cui esistenza è testimonianza evidente della possibilità di una vita possibile fuori dal convento, non fa che aumentare i loro dubbi. Il timore della dannazione eterna spinge molte suore a non accettare le visite della dottoressa, ma col tempo Mathilde diventerà un'affidabile presenza e un'amica di tutte, riuscendo talvolta persino a guadagnarsi la fiducia della rigida badessa.
Se la badessa (Agata Kulesza) resta la più ostinata ad opporsi all'aiuto esterno arroccandosi su posizioni puramente teologiche, la tragedia vissuta ha innescato sulle altre una forte crisi di fede, ben sintetizzata da una di loro che non riesce più a credere in un Dio per "questa vita che ha messo a forza dentro me", e che va dalla rimodulazione della propria vocazione all'innamoramento per il soldato violentatore.
Il confronto con Mathilde, inoltre, la cui esistenza è testimonianza evidente della possibilità di una vita possibile fuori dal convento, non fa che aumentare i loro dubbi. Il timore della dannazione eterna spinge molte suore a non accettare le visite della dottoressa, ma col tempo Mathilde diventerà un'affidabile presenza e un'amica di tutte, riuscendo talvolta persino a guadagnarsi la fiducia della rigida badessa.
Ad aumentare la distanza tra le due visioni del mondo non c'è solo la figura di Mathilde, ragazza comunista figlia di operai che hanno fatto sacrifici per farla studiare, ma anche quella del collega con cui inizia una relazione senza troppa convinzione, Samuel (Vincent Macaigne), ebreo non credente che ha perso i genitori nei campi di concentramento, privo di qualsiasi concezione religiosa e che, quando sarà coinvolto da Mathilde per dare una mano in convento, riassumerà ironicamente l'assurdità della situazione "chi l`avrebbe mai detto che avrei fatto partorire delle suore polacche ingravidate dai russi".
Particolarmente approfondito il rapporto tra Mathilde e suor Maria (Agata Buzek), la più vicina alla badessa. È lei a farla entrare nel convento per la prima volta, a decidere di farla tornare tra mille dubbi, e a collaborare con lei sempre di più, in fondo convinta che la salute delle compagne e dei loro bambini debba essere anche per delle religiose una priorità, al di sopra di concetti astratti come l`onore e la vergogna, troppo spesso nascosti dietro un fatalismo chiamato provvidenza.
Non è un caso che proprio a suor Maria alcune delle battute più pregnanti della pellicola: si va da una splendida definizione della fede - "la fede è ventiquattro ore di dubbio e un minuto di speranza" - alla consapevolezza che "per noi religiose la fine della guerra non vuol dire la fine della paura", dato che il nuovo potere avrà certamente qualcosa da fargli scontare, fino alla dura risposta alla badessa che considera Mathilde alla stregua di un germe ormai diffuso nel convento: "scandalo e disonore erano già qui".
Saranno proprio Maria e Mathilde a superare le posizioni reazionarie delle badessa e a dimostrare che la vergogna per quanto successo durante la guerra possa diventare una missione in grado di andare ben oltre l'orgoglio e la chiusura, aprendosi al prossimo in maniera davvero disinteressata...
Saranno proprio Maria e Mathilde a superare le posizioni reazionarie delle badessa e a dimostrare che la vergogna per quanto successo durante la guerra possa diventare una missione in grado di andare ben oltre l'orgoglio e la chiusura, aprendosi al prossimo in maniera davvero disinteressata...
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