domenica 30 ottobre 2016

La verità sta in cielo (Faenza 2016)

Un film inchiesta sul caso Emanuela Orlandi andava girato, su questo non c'è dubbio, girarlo così però fa pensare che fosse meglio non farlo... un consiglio spassionato: leggete un buon libro sull'argomento, al limite guardate una delle tante trasmissioni televisive che ricostruiscono la vicenda, perché quello che ha realizzato Faenza è davvero difficile definirlo cinema.
Non funziona nulla: dalla regia alla sceneggiatura, dalla fotografia alla recitazione, ma proviamo ad andare con ordine, partendo dal titolo, che riprende le parole che papa Bergoglio ha recentemente detto al fratello della vittima, Pietro Orlandi: "lei sta in cielo"...
Non a caso "La verità è raramente pura, mai semplice" recita l'aforisma di Oscar Wilde che apre il film, e così il cinema non è semplice come evidentemente pensa Faenza, non basta giustapporre sequenze su sequenze, riprendendo i monumenti e le piazze di Roma, o giocare col montaggio, alternando presente e passato, per fare automaticamente un buon film.
La storia inizia con il 22 giugno 1983, durante il quale, dopo una lezione di musica, la quindicenne figlia del messo papale non torna a casa. La famiglia entra in allarme, ne denuncia la scomparsa, ma nessuno sembra sapere cosa sia successo, fino ad una telefonata anonima del cosiddetto "americano" che rivendica il sequestro e, per liberare la ragazza, chiede in cambio la liberazione di Ali Ağca, l'attentatore turco di papa Woityla.
Il film alterna una possibile e verosimile ricostruzione dei fatti degli anni '80 e una storia di fantasia ambientata ai nostri giorni in cui, dopo i fatti di Mafia Capitale, John (Shel Shapiro), il direttore di un giornale inglese, invia la giornalista italiana Maria (Maya Sansa) a Roma per indagare di nuovo sul caso. La donna incontra diverse persone allora coinvolte e soprattutto la giornalista RAI Raffaella Notariale (Valentina Lodovini), che ha indagato prima di lei e ha saputo molto grazie a Sabrina Minardi (Greta Scarano), compagna di Enrico De Pedis (Riccardo Scamarcio), detto Renatino, uno dei boss della banda della Magliana.
In poco più di un'ora e mezzo seguiamo la storia del latitante De Pedis, esecutore del rapimento per un ordine venuto dall'alto o solo come ricatto nei confronti del Vaticano per non perdere il denaro investito nello Stato Pontificio; la sua amicizia con il sacerdote del carcere don Pietro Vergani, che in seguito, divenuto rettore di Sant'Apollinare, ne autorizzerà la sepoltura in chiesa; e quindi le connessioni con Calvi, lo IOR e soprattutto con il cardinale statunitense Marcinkus, cresciuto a Chicago, figlio di un lavavetri lituano, divenuto un potente prelato dopo aver salvato la vita a Paolo VI, in un ruolo da guardia del corpo che gli valse il soprannome di "Gorilla". 

Scamarcio nella parte del "Dandy" De Pedis non è mai credibile; Maya Sansa mostra la stessa espressione per tutto il film e la sua voce off che spiega continuamente ciò che sta succedendo è sempre inutile; la Lodovini non brilla, ma forse è quella che fa meno danni, anche perché spesso recita al fianco di Greta Scarano, protagonista di una prova davvero imbarazzante, peggiorata dall'assurdo tentativo di farle recitare la Minardi sia negli anni '80, quando era una bellissima ragazza che, dopo aver sposato e divorziato dal calciatore Bruno Giordano, fece girare la testa non solo a De Pedis, ma anche a diversi uomini di potere del tempo, sia nel 2015, quando è ormai una donna di mezza età, vittima dei suoi eccessi di gioventù. Non solo la recitazione della Scarano è mediocre, infatti, ma farle recitare la seconda delle due parti con un vistoso e visibilissimo trucco che la rende ancor meno credibile, sembra quasi un dispetto. 
Meritano un accenno alcune sequenze, solo per dare un'idea di cosa accada sullo schermo: quella in cui la Minardi viene "sedotta" da De Pedis, degna di un film soft core; oppure quando, dopo aver acconsentito ad alcune chiacchierate con la Notariale, riceve una citofonata minatoria e la sua reazione, che dovrebbe risultare violenta, si limita a qualche smorfia di disappunto seguita da urla dalla finestra che possono generare solo dei sorrisi nello spettatore, il tutto accompagnato da Solo noi di Toto Cutugno in sottofondo; ancora peggio quando poco oltre, nel centro di recupero dove è stata ricoverata, si sfoga contro la giornalista che continua ad intervistarla, in preda ad una crisi di nervi, ma ancora una volta sembra la parodia di una scena di rabbia.
Faenza in un paio di casi prova persino a sistemare la mdp in posizioni meno consuete, come quando riprende un tavolo in vetro dal basso mentre De Pedis conta i soldi, o addirittura gira una scena di sogno di Maria che percorre una scala a chiocciola sentendosi inseguita dallo stesso De Pedis (Hitchcock meglio non scomodarlo!). 
Anche la fotografia di Maurizio Calvesi non aiuta la riuscita del film e conferisce alla pellicola una luce degna di uno studio televisivo, così piatta e uniforme da meritare la definizione di "smarmellamento", il neologismo diffuso dalla serie tv Boris per casi come questo; una fotografia che fa il paio con le ricostruzioni da poliziesco anni settanta-ottanta, quando però sullo schermo il protagonista era Tomas Milian e l'obiettivo di Sergio Corbucci era molto più giocoso.
Dal 2012, dopo il disseppellimento di De Pedis dalla chiesa di Sant'Apollinare, lo Stato italiano aspetta la pubblicazione del fascicolo secretato in Vaticano su Emanuela Orlandi. E se in cambio ora secretassimo questo film per ottenerlo?

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