sabato 12 novembre 2016

Io, Daniel Blake (Loach 2016)

Consueta tematica sociale per Ken Loach che, a ottantadue anni, sembra voler dimostrare come l'Inghilterra attuale, quanto a storture, non abbia nulla da invidiare a quella di Margareth Thatcher, raccontando la quale il regista britannico ha fornito le migliori prove della sua carriera. E la vittoria della Palma d'oro a Cannes è tutta meritata (trailer)!
Come sempre il suo cinema non è fatto di tecnica o di regia che rubano l'occhio, ma di messa in scena essenziale, personaggi veri e condizioni di vita ai limiti, per una pellicola dallo stile asciutto ma di grande potenza, che non può lasciare indifferenti.

Eppure, è lo stesso Loach a precisare di aver dovuto edulcorare la realtà, spesso più estrema e meno credibile di quanto raccontato nel film, poiché le persone con storie simili conosciute ai banchi alimentari e negli uffici di assistenza sociali, insieme allo sceneggiatore Paul Laverty, erano davvero molte. Per tutta risposta l'opinione pubblica britannica di solito condanna gli aiuti statali come destinati a fannulloni o a persone disoneste che, come dappertutto, sono una percentuale decisamente inferiore, ma quella che fa più notizia...
Newcastle. Daniel Blake (Dave Johns) è un carpentiere di cinquantanove anni, vedovo, il quale, dopo un infarto, sta legittimamente chiedendo un indennizzo allo Stato, ma quella che continua a definirsi una "professionista della sanità" sembra non essere d'accordo. Le sue domande e le risposte puntute di Daniel aprono il film, come sottofondo audio ai titoli di testa; lo spettatore non vede nulla, ma quelle parole bastano a fargli comprendere la condizione che sta per vivere il protagonista. 
A Daniel, infatti, per ottenere il sussidio, verrà chiesto di cercare un lavoro dimostrando di averlo fatto per almeno trentacinque ore a settimana, e poco importa se il medico non gli consentirà di tornare a lavoro, il sistema prevede un'ottusa contraddizione come questa. Quasi tutti gli impiegati non mostrano la minima agilità mentale per comprendere la situazione e fare qualcosa contro questa evidente aberrazione; tutto ciò che riescono a ripetere è che ci sono delle regole, come se queste bastassero a far funzionare le cose.
Daniel perde la pazienza di fronte a tutto questo quando ad una giovane madre single, Katie (Hayley Squires), con due bambini al seguito, per un semplice ritardo di pochi minuti, viene negata la possibilità di ottenere il sussidio: non esistono deroghe nemmeno per casi del genere.
Proprio da questo incredibile episodio nascerà una bella amicizia tra Daniel, Katie e i piccoli Daisy e Dylan... Ed è significativo che la solidarietà arrivi solo dalle persone che vivono condizioni simili e che capiscono il dolore e l'impotenza provata dal protagonista.
Daniel non sa usare internet e non è in grado di compilare i moduli, e all'affermazione "noi siamo on line di default", risponde "io sono matita di default", ma anche in questo caso non è prevista un'alternativa e l'unica dipendente che prova ad aiutarlo viene pesantemente redarguita dal capoufficio perché altrimenti si creerebbe "un precedente", altra parola chiave che fa da scudo ad un sistema che crea ostacoli e disparità tra i cittadini.
Illuminante in tal senso la spiegazione che ne dà il vicino di Daniel, un giovane ragazzo nero costretto a lavori duri che fruttano paghe irrisorie e che, proprio grazie al web e ad un conoscente cinese, prova a sbarcare il lunario vendendo scarpe da ginnastica a prezzi molto vantaggiosi. Per "China", come lo chiama Daniel, è tutta una strategia per far desistere più persone possibile... 

Loach forse indugia su alcuni particolari tesi a strappare la lacrima, soprattutto narrando le vicende di Katie, come la sequenza della banca del cibo o sottolineando il rapporto con la piccola Daisy, in cui è spesso la bimba a risultare più stabile della madre, o con facili allegorie come quella di un cane con sole tre zampe che avanza davanti alla casa della donna, ma perlopiù la sua mdp comunica empatia e i momenti più sentimentalisti risultano ben bilanciati da sequenze in cui invece sono ironia e tenerezza a prendere il sopravvento. Tra queste penso a quella con China, che coinvolge Daniel in un dialogo sul calcio inglese con il suo amico cinese on line o ai momenti in cui il protagonista dialoga con i figli di Katie, mostrandogli il funzionamento di un vecchio mangianastri, che Daisy non ha mai visto, o insegnando al piccolo Dylan a intagliare piccole figure nel legno, con una leggerezza paragonabile negli ultimi decenni solo al Kitano de L'estate di Kikujiro (1999). E, non a caso, sarà proprio Daisy a spiegare meglio di ogni altro il concetto di solidarietà, con la semplice e ferrea logica dei bambini: "tu ci hai aiutati, perché io non posso aiutare te?". 
Un episodio eloquente, infine, tra i tanti raccolti dalla pellicola, è il corso per scrivere un buon curriculum a cui Daniel viene indirizzato e in cui il docente non fa altro che ribadire quanto nella società odierna bisogni "distinguersi dalla massa", sottintendendo che all'occorrenza sia anche necessario calpestare gli altri... a questo sistema la risposta migliore la darà lo stesso Daniel, improvvisandosi prima un writer urbano, diventando seppur per poco l'eroe di molti passanti, e scrivendo poi una lettera che andrebbe imparata a memoria:

"Non sono un cliente, né un consumatore, né un utente, non sono un lavativo, un parassita, un mendicante, non sono un numero di previdenza sociale, o un puntino sullo schermo. 

Ho pagato il dovuto, mai di meno, orgoglioso di farlo, non chino mai la testa ma guardo il prossimo negli occhi e lo aiuto quando posso. Non accetto e non chiedo elemosina.
Io sono Daniel Blake, sono un uomo non un cane e come tale esigo i miei diritti di essere trattato con rispetto. Sono un cittadino niente di più, niente di meno".

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