mercoledì 3 agosto 2016

Quei bravi ragazzi (Scorsese 1990)

Rivedere oggi il capolavoro di Martin Scorsese permette di apprezzare il film non solo per ciò che ha rappresentato al momento della sua uscita, ma anche per la sua influenza su tanto cinema successivo e soprattutto sulla seguente filmografia del cineasta italoamericano.
Non è quindi un caso se la prima sequenza del flashback che segue la breve introduzione in cui conosciamo i protagonisti e che racconta l'infanzia di Henry (Christopher Serrone, poi Ray Liotta), abbia fortissime analogie con il poco successivo Bronx (De Niro 1993).
Il tredicenne Henry, di padre irlandese e di madre siciliana - Calogero, invece, nella pellicola di De Niro, è figlio di due italiani - vede dal suo appartamento, e con lui la mdp, quello che accade in strada, dove il bar costituisce il centro della malavita del quartiere, guidata dal boss Paul Cicero, detto Paulie (Paul Sorvino). E, come in Bronx, il giovane narratore vede in quel mondo un punto di arrivo ed entrarci, anche se inizialmente come semplice garzone, gli consente di guadagnare a tredici anni più degli adulti della zona.
E così la rabbia del padre contro Henry, colpevole di reiterate assenze scolastiche, è la stessa di De Niro con Calogero che riceve alte mance al bar di Sonny, e insieme ricalcano, nella furia del momento e nell'iconografia dell'italoamericano in canottiera, la celebre sequenza dello stesso De Niro-La Motta in Toro Scatenato (Scorsese 1980) infuriato con la moglie... 
Allo stesso modo, la presentazione da parte di Henry dei buffi soprannomi di alcuni personaggi verrà portata alle estreme conseguenze nel film successivo, in cui Calogero passa in rassegna tutti i frequentatori del bar di Sonny.  
Il legame tra le parti iniziali dei due film, inoltre, è evidente anche laddove Scorsese si limita al racconto della voce off, mentre De Niro gli dedica un frammento di pellicola: Henry sottolinea come la madre riceva in regalo la spesa dopo i suoi primi passi nella malavita, mentre il piccolo Calogero si vede consegnare dal fruttivendolo una busta con la sua merce chiedendo in cambio solo una buona parola su di lui al boss Sonny.
Scorsese ci racconta la vita di Henry dal 1955 al 1980, dall'infanzia al suo primo arresto, salutato dagli altri come una festa cameratesca per la perdita della verginità, la sua ascesa e la sua inevitabile discesa, l'amicizia con gli altri potenti della mafia, soprattutto col già citato Paulie ma, più da vicino, con Jimmy (Robert De Niro) e Tommy (Joe Pesci), e il suo matrimonio con Karen (Lorraine Bracco), che tanto ricorda nei momenti di scontro quelli tra Sam e Ginger di Casinò (1995) e tra Jordan e Naomi in The Wolf of Wall Street (2014).
La regia è magnifica (agli Oscar del '91, però, le venne preferita quella magniloquente di Balla coi lupi - Costner 1990): si pensi ai tanti carrelli in avanti che permettono di passare da un campo ampio all'inquadratura stretta di uno dei personaggi, a sottolinearne l'improvvisa attenzione, e anche a quello che vede la mdp passare velocemente tra i tavoli di un ristorante; ai fermo-immagine di dichiarata influenza truffautiana alla Jules et Jim (1962), tra cui quello bellissimo con la sagoma di Henry che si staglia davanti ad un'esplosione; ma soprattutto al piano-sequenza di tre minuti in cui la mdp segue Henry e la futura moglie, Karen (Lorraine Bracco), dall'ingresso dal retro del Copacabana nightclub, passando per la cucina e gli ambienti di servizio, durante i quali il protagonista stringe mani e saluta, ostentando la sua popolarità, fino alla sistemazione del tavolo, aggiunto appositamente per loro in prima fila davanti al palco su cui sta per esibirsi un comico. Virtuosismo nel virtuosismo, allo stacco della mdp il piano-sequenza prosegue, ma limitatamente all'audio, e sentiamo le battute dell'intrattenitore del locale. E pensare che la soluzione scelta, per stessa ammissione di Scorsese, fu un ripiego per non aver ottenuto i permessi di girare dalla parte frontale del locale: le difficoltà spesso aguzzano l'ingegno... e che ingegno!
Uno dei tanti Oscar che il film avrebbe meritato è sicuramente quello alla sceneggiatura, tratta dal romanzo Il delitto paga bene di Nicholas Pileggi (1986), adattato per il film da Scorsese con la collaborazione dello stesso autore e arricchito con le vicende del pentito Henry Hill. Pur  se il film detenne il record dei "fuck" pronunciati, ben 246 (poi superato da Casinò con 422 e da  The Wolf of Wall Street con 506), alla media di uno ogni 28 secondi, tra le battute migliori si ricordi la sintetica presentazione che la voce narrante di Henry fa di Jimmy: "era uno di quelli che al cinema fanno il tifo per i cattivi". Così la stessa voce off presenta una particolarità che rende la scrittura del film ancora più originale: dopo le prime uscite di Henry e Karen, è quest'ultima a diventare la narratrice della storia, raccontando l'evoluzione della loro storia fino al matrimonio e alla vita, ricca di splendidi accenti grotteschi, con le altre mogli del clan. Scorsese, però, riaffida in seguito la narrazione al personaggio di Henry e in un caso lo fa persino interloquire direttamente con il pubblico, un escamotage che per esempio tornerà in The Wolf of Wall Street con Jordan-DiCaprio.
E anche il semplicistico razzismo di Henry, finalizzato a placare la preoccupazione della moglie, rappresenta una delle battute più belle del film: "sai chi finisce in galera? I rapinatori negri, e lo sai perché si fanno beccare? Perché loro si addormentano in macchina durante la fuga".
Gli attori sono formidabili: le movenze e le espressioni di Ray Liotta sembrano essere il modello del futuro DiCaprio; De Niro è perfetto, anche se il suo personaggio non è il protagonista della storia; Joe Pesci vince un Oscar meritatissimo, ma purtroppo l'unico di un film che ne avrebbe meritati tanti altri. Gli accessi d'ira caratterizzano Tommy (come accadrà con il Ricky Santoro di Casinò) e permettono a Joe Pesci di recitare sequenze in cui ruba la scena agli altri, due su tutte: quella in cui finge di offendersi con Henry che, mentre ride a crepapelle, lo considera buffo (funny in originale), in cui la tensione aumenta grazie alla sua interpretazione, e quella in cui entra in conflitto con un garzone che serve da bere, giustificando le sue incredibili reazioni con le provocazioni scherzose di Jimmy.   
Un paio curiosità tra gli interpreti: oltre a Lorraine Bracco, che sarà la psicanalista di James Gandolfini, ben ventisette attori di Goodefellas comporranno il cast della serie tv cult I Soprano; nei panni del giovane spacciatore Stacks appare anche Samuel Jackson e la sua morte ripresa dall'alto ricorda parecchio lo straordinario finale di Taxi Driver (Scorsese 1976).
Il regista, inoltre, si lascia andare anche ad alcuni inserimenti del tutto personali. Il primo è quello di affidare il ruolo della madre di Jimmy alla propria madre, Catherine Scorsese, e quello di Vinnie, compagno di cella di Henry, al padre, Charles Scorsese; l'altro è dettato dalla propria cinefilia: Tommy nomina Oklahoma Kid, Il dottor Kildare, Butch Cassidy, ma soprattutto nel televisore di casa di Henry e Karen va in onda una sequenza di Al Jonson che canta Toot, Toot, Tootsie nel celeberrimo The Jazz Singer (Crosland 1927), primo film sonoro della storia del cinema, un dettaglio profondamente irrealistico e per questo ancora più voluto... 
E proprio la musica, come sempre in Scorsese, riveste una parte davvero determinante nel delineare l'atmosfera del film: solo per citare alcuni dei brani della colonna sonora, si va da Rags to Riches (Tony Bennett) a Can't We Be Sweethearts (The Cleftones), da Ain't That A Kick In The Head (Dean Martin), peraltro presente anche in Bronx di De Niro, a Beyond the Sea (versione inglese di Bobby Darin de La mer di Charles Trenet), fino agli immancabili pezzi italiani come Il cielo in una stanza (nella versione di Mina) o Parlami d'amore Mariù (Giuseppe Di Stefano), per chiudere sui titoli di coda con l'irriverente My Way di Sid Vicious.
Assoluta pietra miliare tra i gangster movie!

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