martedì 23 agosto 2016

Come rubare un milione di dollari e vivere felici (Wyler 1966)

Uscita in Italia con un titolo più fedele del solito, anche se con un'aggiunta didascalica rispetto al più essenziale How to steal a million, la divertente commedia di William Wyler è davvero un ottimo esempio nel suo genere, ben scritta e ben recitata da un eccellente cast e poco importa in un caso come questo se la regia non ruba particolarmente l'occhio.
Audrey Hepburn giganteggia ed è l'indiscussa protagonista: presente praticamente in ogni scena, se ne possono così apprezzare a pieno talento e bellezza, in un tripudio di grazia ed eleganza (ha un abito diverso in quasi ogni sequenza), accompagnate dalla consueta miriade di espressioni facciali.
A farle da spalla un bravissimo Peter O'Toole, ma anche Eli Wallach e Hugh Griffith.

Parigi. Un ritratto di Cézanne della collezione Bonnet viene battuto all'asta per 515 mila dollari, ma in realtà è una delle tante opere che Charles Bonnet (Hugh Griffith) realizza come falsario e poi vende sul mercato antiquario.
Charles è il padre della bellissima Nicole (Audrey Hepburn), preoccupata per l'attività del genitore soprattutto perché, grazie ai suoi studi negli Stati Uniti, è consapevole che oggi potrebbe essere smascherato da una semplice indagine diagnostica (cita persino l'argon potassico).
Questo timore, naturalmente, non si rivelerà infondato e la possibilità che la verità emerga costituirà la minaccia con cui Charles dovrà fare i conti per buona parte della vicenda. Una statuetta di una Venere della sua "particolare" raccolta, infatti, grazie all'attribuzione a Benvenuto Cellini, viene richiesta dal museo parigino Kléber-La Fayette (creato per il film, ma inesistente nella realtà) per una mostra sui capolavori conservati nelle collezioni francesi, ma a quanto pare il professor Bauer deve effettuare un esame scientifico sul pezzo per rendere valida l'assicurazione di un milione di dollari, quello del titolo...

L'immancabile storia d'amore viaggia parallelamente alla trama principale e, naturalmente, vede protagonista Nicole e Simon Dermott (Peter O'Toole), uno strano ladro, ricco e galante, che nottetempo ruba un frammento di pittura di uno dei Van Gogh di casa Bonnet, imbattendosi nella bella ragazza interpretata da Audrey Hepburn.
Una curiosità: quando sente i passi di Simon in casa, Nicole è a letto e sta leggendo un libro su Hitchcock, forse un messaggio per lo spettatore? Quello che sta per conoscere sarà un ladro fascinoso al pari del Cary Grant che ammaliava Grace Kelly in Caccia al ladro (1955).
Eli Wallach, invece, è Davis Leland, un industriale statunitense con la passione per l'arte, che possiede un paio di tele di Toulouse Lautrec, su cui Bonnet è sarcastico ("forse i miei Lautrec sono inferiori a quelli che faceva quel nano?"). Davis non solo si invaghisce della Venere scolpita ma anche di Nicole, che per mancanza di tempo accetta persino il suo anello di fidanzamento, ma irretisce il suo decisionismo spicciolo con una battuta folgorante "io non sono una nave cisterna", alludendo ai suoi affari più consueti.
Questa, però, è solo una delle tante linee di una sceneggiatura davvero ben scritta da Harry Kurnitz e che garantisce sorrisi e buone trovate anche a cinquant'anni dall'uscita della pellicola.
A Charles Bonnet sono riservate le battute più sagaci: mentre sta realizzando un Van Gogh, per esempio, ringrazia il pittore per essersi sempre firmato con il solo Vincent, evidente facilitazione per il suo lavoro, e subito dopo dà il meglio quando un po' di polvere va sul dipinto ed esclama "la sporcizia è patina nel suo caso"! È sempre lui che, ironizzando sugli americani e sulle loro stramberie sentenzia "forse è colpa dell'inchiostro con cui stampano i dollari", oppure, quando viene a sapere che la sua Venere verrà sottoposta alle indagini diagnostiche, riesce con un paradosso comico a fare il moralista: "si vive in un mondo rozzo e venale dove la fiducia è morta".
Simon scherza sul funzionamento di un'automobile, prendendo in giro Nicole, che si indigna all'idea di guidarne una che crede rubata, "il principio è lo stesso: quattro marce avanti e una indietro"; e, alludendo alla già citata eleganza della ragazza, quando la costringe a vestirsi da donna delle pulizie del museo, alle sue smorfie replica con un eloquente "anche per dare una vacanza a Givenchy" (peraltro proprio lo stilista che ha fornito gli abiti della Hepburn per il film).
Alcune altre frasi e soluzioni narrative, invece, mostrano l'epoca in cui fu realizzato il film: un collezionista sudamericano, interessato ad uno dei Van Gogh di casa Bonnet, arriva in ritardo e si scusa usando quello che oggi sarebbe un luogo comune decisamente poco politically correct: "c'è stata una rivoluzione nel mio paese"; e lo stesso avviene quando sentiamo chiamare i membri della vigilanza del museo col termine "guardiani" e vedere persino uno di loro bere in servizio, unendo luoghi comuni come il demagogico fannullonismo, sempre di moda, e l'amore per il vino dei francesi.

Il dipinto di Goya nel film e i due quadri del Prado
Anche la scenografia, curata dall'ungherese Alexandre Trauner (allora già collaboratore di Carné, Welles, Hawks, Zinnemann e soprattutto Billy Wilder), ha un ruolo molto rilevante dato che il film è praticamente girato solo in interni e basti pensare ai due luoghi in cui è ambientata la maggior parte delle scene: la residenza Bonnet e il museo in cui è allestita la mostra. Nella prima, dominata da una scala pop con corrimano e guida viola, spiccano dipinti alla Van Gogh, Renoir, panoplie di armi antiche, colonne in marmo, ecc.

Il Cézanne del film e il dipinto di Chicago
Nel secondo, il lavoro dello scenografo è ancora più interessante, poiché si vedono opere realmente esistenti alternate ad altre che non lo sono o, ancora meglio, sono frutto di montaggi e di altre modifiche appositamente concepite per il film: tra queste tre di Picasso (uno sembra unire La famiglia di Arlecchino e La toilette; un altro mostra due dei Tre musici del MoMA di New York), Manet (Argenteuil, Tournai, Musée des Beaux Arts), Mirò (una versione stirata orizzontalmente di Due figure capovolte), Rembrandt, Goya (un montaggio tra Pellegrinaggio a San Isidro Asmodea, due dipinti esposti nella stessa sala al Prado di Madrid; il Ritratto della duchessa d'Alba in nero, New York, Hispanic Society of America), Cimabue e Giotto (rispettivamente la Maestà e Le stimmate di san Francesco, entrambe al Louvre, ma qui in controparte!),  De La Tour (Giobbe deriso dalla moglie, Epinal, Musée départemental), Boucher,  un busto di Caracalla, arazzi, statue lignee.
Un ultimo dettaglio storico artistico: un paio di falsi di Bonnet su cui la mdp indugia maggiormente sembrano "ispirati", non a caso, a celebri dipinti conservati in collezioni statunitensi e che il pubblico americano poteva conoscere meglio. Il primo è quello che appare all'inizio del film, il Cézanne battuto all'asta che il banditore cita come Ritratto di Madame de Nemours, che ricorda molto il Ritratto di Madame Cézanne nella poltrona gialla, madre del pittore, conservato all'Art Institute di Chicago; l'altro è il Van Gogh che riceve le attenzioni di Simon, che potrebbe essere considerata una versione in pieno giorno, inesistente ovviamente, del celeberrimo Notte stellata del MoMA di New York.
Audrey Hepburn vale la visione del film e, anche se Peter O'Toole non è Cary Grant, leggerezza e divertimento sono assicurati, tra momenti sorprendenti, situazioni assurde e una splendida sequenza in cui Wyler sembra davvero giocare a fare Hitchcock, con i due protagonisti chiusi nello sgabuzzino delle scope, stretti in uno spazio angusto come Cary Grant e Ingrid Bergman in Notorious, e con un gioco di stop motion e calamite che mette al centro della scena una chiave... l'oggetto più importante dello stesso capolavoro hitchcockiano!


De La Tour nel film e il dipinto di Epinal
Il Mirò "stiracchiato"
I Picasso di Wyler e i dipinti ispiratori
Cimabue e la Maestà in controparte
Giotto nel film e la tavola del Louvre

Nessun commento:

Posta un commento