Secondo lungometraggio del quarantaduenne David Robert Mitchell, It follows, film indipendente e a basso budget, è stato salutato come uno dei migliori horror degli ultimi anni, genere che sembra fare sempre più fatica, complice un pubblico ormai difficilmente spaventabile e assuefatto dalle immagini televisive e del web.
Anche se l'affermazione appare davvero spropositata, soprattutto se si pensa a precedenti ben più convincenti come The Ring (Verbinski 2002) e The uninvited (Guard 2009), dalla comune matrice orientale - coreano il secondo, remake dell'ancora più riuscito film nipponico Ring (Nakata 1999) il primo -, ma anche al recentissimo Babadook (Kent 2014), il regista gira bene e in maniera colta, sfruttando un ampio bagaglio di motivi del genere horror e, pur se la trama solo non avvince, tanti elementi cinefili rendono It follows un film da guardare con attenzione.
Una strada alberata fiancheggiata da case a due piani, tutte con giardino antistante e garage sulla destra, modello di quartiere residenziale statunitense di provincia (tra i tantissimi esempi basti pensare ai Simpson). Al centro di essa vediamo una ragazza seminuda - ma che non rinuncia alle sue scarpe rosse con tacco vertiginoso - la quale, nonostante appaia spaventatissima, tranquillizza tutti i vicini e poi scappa al volante della sua auto.
È questo l'ottimo incipit del film, che incuriosisce lo spettatore riprendendo il topos della giovane ragazza sexy su cui sembra abbattersi la furia di qualche pericolo ignoto... E funziona anche l'idea della visioni ossessive che danno sostanza a questo pericolo e che colpiscono le persone "infette", investite da una paranoia che costituisce il centro focale del soggetto.
L'infezione permette di collegare il soggetto di It follows alla poetica di David Cronenberg, che sulla "filosofia dle contagio" ha impostato buona parte della sua filmografia, da Il demone sotto la pelle (1975) a Rabid. Sete di sangue (1977), a La mosca (1986), solo per citarne alcuni. Che la trasmissione delle visioni avvenga per via sessuale, poi, rimanda inevitabilmente al primo dei film appena citati, in cui la protagonista veicolava così un parassita inoculatogli da uno scienziato.
Nella pellicola di Mitchell, però, non c'è nulla di corporeo e organico, altro aspetto invece basilare in Cronenberg, e tutto appare molto più semplificato, cosicché il terrore di chi ha negli occhi le figure di questi non-morti che li inseguono ovunque è piuttosto simile alle vittime dei sogni di Nightmare che ai personaggi ideati dal cineasta canadese.
Un altro indizio, peraltro, sembra omaggiare il capolavoro di Wes Craven: subito dopo la sequenza introduttiva, infatti, la prima immagine che vediamo è quella del gioco della campana disegnato sull'asfalto davanti alla casa della protagonista Jay (Maika Monroe). È lei ad essere contagiata dal suo ragazzo Hugh (Jake Weary) durante una delle sequenze migliori del film, in cui una bella inquadratura dal basso aumenta il pathos e l'ambiguità del ruolo del ragazzo, mentre Jay, sdraiata sui sedili posteriori dell'auto, riflette su cosa significa diventare adulti.
Mitchell, però, anche in altri casi dimostra di usare bene la mdp: la monta davanti ad una sedia a rotelle, ottenendo una scena in movimento di grande impatto; la sfrutta per numerose panoramiche, spesso lentissime, che ci mostrano quello che accade intorno al personaggio e aumentano la tensione, così come accade grazie al ralenti stile Gus Van Sant, con cui in più di un'occasione segue i personaggi.
E tra i tanti rimandi, difficile non pensare a David Lynch quando vediamo la ragazza del preambolo finire su una spiaggia come Laura Palmer, e in una delle visioni apparire un uomo altissimo, simile al gigante, altro personaggio indimenticabile di Twin Peaks; ma anche un po' a Shyamalan e al suo The village (2004), quando scopriamo che i ragazzi sono sempre rimasti al di qua dell'ottavo miglio, come dice qualcuno, nella periferia di Detroit, dove entrano solo dopo aver scavalcato un'alta recinzione.
Come in molti film simili, degli adulti non c'è praticamente traccia - fatta eccezione per qualche foto dei genitori, di una professoressa al college e di un padre che compare sopra il tetto -, cosicché a completare il gruppo di personaggi, ci sono la sorella minore di Jay, Kelly (Lili Sepe), l'amica Yara (Olivia Luccardi) l'amico Paul (Keir Gilchrist), da sempre innamorato di Jay, e Greg (Daniel Zovatto), il ragazzo più grande, che ha già la patente e con un maggior fascino sulle ragazze.
Tutti hanno delle caratterizzazioni che li rendono rilevanti nella trama: Kelly ha una profonda invidia per la sorella, considerata bellissima e priva di difetti; Yara non si separa mai dal suo kindle a conchiglia; Paul è pronto a tutto, anche a farsi infettare, pur di avere un'occasione con Jay; Greg ricorda, anche nell'aspetto, il ragazzo bello e di poche parole che interpretava Johnny Depp nel primo Nightmare (1984).
Il dettaglio del kindle - su cui l'occhialuta secchiona Yara comunque legge L'idiota di Dostoevskij - è uno dei pochissimi elementi contemporanei presenti nel film, che si caratterizza per una serie di oggetti vintage: il cellulare, eccetto nella scena dell'antefatto, non compare mai, mentre si vedono spesso vecchie radio, televisori con tubo catodico e forme arrotondate, automobili d'epoca, lampade e persino una macchina da scrivere elettrica.
Persino la cinefilia è vintage: Jay e Hugh vanno al cinema per vedere Sciarada (Donen 1963), e il gruppo di ragazzi, Paul soprattutto, guarda vecchi film di fantascienza anni '50 a basso costo, i cui protagonisti sono improbabili astronauti e ancor più improbabili lucertoloni di altri pianeti.
Un ultimo elemento che guarda al passato, infine, è la colonna sonora di Disasterpeace (ascolta), perfettamente adatta al film e che ci regala l'ennesima serie di rimandi ad un altro maestro del genere come John Carpenter, tra sintetizzatori e atmosfere anni '80.
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