In attesa dell'uscita di Juste la fin du monde, recentemente presentato a Cannes, vedere gli altri film di Xavier Dolan continua ad essere un piacere e, dopo J'ai tué ma mere (2009) e l'ancor più riuscito Mommy (2014), analizziamo Tom à la ferme, altro bel film del giovane regista canadese che, come nel primo dei due casi già recensiti, ne è anche l'attore protagonista. Dolan non delude nemmeno stavolta e in entrambi i ruoli...
Il film inizia con una frase scritta su un tovagliolo, parole malinconiche che sanno di perdita ("ho dimenticato sinonimi della parola tristezza") e che poco dopo sappiamo essere il frutto dei pensieri di Tom, giovane ragazzo che ha appena perso il fidanzato, Guillaume (Caleb Landry Jones), morto in circostanze che non ci vengono rivelate (in fondo non è un tema rilevante per la storia), ma che sono state evidentemente inaspettate.
Il soggetto, ripreso dalla pièce teatrale di Michel Marc Bouchard, ha nel lutto e nell'arrivo del fidanzato del defunto, che nessuno ha conosciuto prima, due rilevanti elementi in comune con il più recente L'attesa (Messina 2015), altro film di grande qualità degli ultimi tempi. Le analogie tra le due pellicole, però, si fermano qui, anche perché il film di Messina non riprende la tematica omosessuale e si sviluppa soprattutto intorno al rapporto tra la ragazza e la madre del fidanzato morto, interpretata da un'eccezionale Juliette Binoche.
A questa atmosfera contribuiscono sequenze di grande tensione, che il regista ottiene con capacità e mestiere, a dispetto della sua giovane età. Ne è un perfetto esempio la cena tra Tom, Francis e Agathe, in cui Tom si lascia andare a dettagli della vita sessuale tra lui e il suo compagno, mascherandoli come rivelazioni di Sara, la collega che Francis ha fatto credere alla madre essere la vera fidanzata di Guillaume, e di fronte ai quali Agathe prorompe in una risata tanto liberatoria quanto inquietante. Lo stesso avviene durante la rincorsa tra Francis e Tom tra i campi di mais, girata come un horror, con la mdp in movimento forsennato e l'audio che ha un ruolo determinante dato dal fruscio delle piante.
Dolan gira magnificamente e conferma un innato talento nel posizionamento della mdp, che assume spesso un valore significante, come nel caso di alcune inquadrature in campo lungo che vedono Tom come elemento che si perde nell'insieme, in una solitudine espressionistica che ne rivela l'isolamento in quel contesto. Anche i surcadrage sono nel suo repertorio e quello in cui la mdp riprende i personaggi posti all'ingresso di una stalla in pieno controluce è davvero notevole, così come lo è la bellissima sequenza del tango ballato da Tom e Francis, in un altro momento di grande ambiguità, all'interno di un ambiente della fattoria tagliato da lame di luce provenienti dalle finestre.
Tom sostituisce per molti versi Guillaume nella fattoria e aiuta persino Francis nelle incombenze lavorative: una di queste, la nascita del vitello "Bel culetto", permette anche a Dolan di regalare un'altra bella immagine, in cui Tom prende tra le braccia l'animale in un'inconsueta e straniante evocazione della Pietà.
In un paio di sequenze che si susseguono, inoltre, il giovane cineasta canadese dimostra delle tangenze abbastanza inequivocabili con il cinema di Alfred Hitchcock: lo sfogo di Tom, che dopo il funerale urla in maniera liberatoria al volante della sua auto, termina con un'inquadratura dall'alto che fa tanto pensare ad Intrigo internazionale (1959), ma soprattutto, poco dopo, la sua figura "chiude" letteralmente l'occhio della mdp avvicinandosi sempre di più fino ad oscurarne l'obiettivo, con lo stesso celebre escamotage che sir Alfred utilizzò nel suo sperimentale Nodo alla gola (1948) per ottemperare al cambio di rullo in un film girato in un unico piano sequenza.
Dolan è prolifico (sei film nei suoi sette anni di carriera finora), ha talento e cultura cinematografica, è di fatto uno dei registi da cui il cinema deve aspettarsi ancora molto!
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