domenica 28 agosto 2016

Io confesso (Hitchcock 1953)

La diciassettesima pellicola del periodo statunitense di Alfred Hitchcock, è uno dei tanti gialli "ribaltati" del regista: lo spettatore sin dall'inizio conosce il colpevole mentre il protagonista, ingiustamente ritenuto responsabile dell'accaduto, deve combattere per dimostrare la sua innocenza...
In questo caso il consueto schema hitchcockiano del trasferimento di colpa viene arricchito di un elemento davvero sui generis, il segreto confessionale di un sacerdote e, a complicare l'intreccio, lo stesso religioso sarà il maggior indiziato a causa della testimonianza di due bambine e di un movente che più di ogni altro elemento pregiudica la considerazione della comunità nei suoi confronti.

Tratto dalla pièce teatrale francese Nos deux consciences di Paul Anthelme (1902), pesante e senza acuti, almeno stando a quanto ne dicono Hitchcock e Truffaut nel celebre libro-intervista, il film, secondo lo stesso regista inglese, ha come principale difetto quello di non essere stato alleggerito con abbastanza ironia nell'adattamento, curato da George Tabori e William Archibald. Ancora una volta, però, si tratta di un bel film di sir Alfred derivato da un testo poco più che mediocre, una costante di gran parte della sua filmografia. 
L'incipit di Io confesso è sensazionale: Hitch risolve subito l'incombenza del proprio cameo (come spiega ancora a Truffaut dicendo che da un certo momento in poi li inserì all'inizio delle sue pellicole per non far distrarre dalla trama gli spettatori), comparendo come un semplice uomo che passeggia, mentre la mdp in un unico piano-sequenza passa dalla strada ai diversi piani di un palazzo fino ad entrare da una finestra all'interno di un appartamento nel quale è riverso un uomo assassinato. Nella sequenza immediatamente seguente Otto Keller (Otto E. Hasse) è inginocchiato al confessionale di una chiesa e tra i peccati rivela la colpevolezza riguardo a quell'omicidio: "ho ucciso il signor Villette" è la frase che lascia sbigottito padre Michael Logan (Montgomery Clift).
In questi primissimi minuti c'è buona parte del genio hitchcockiano. Da questo momento in poi, infatti, il pubblico non potrà più evitare di parteggiare per il sacerdote, "incastrato" dall'assassino in maniera decisamente originale. E poco cambia quando veniamo a sapere, subito dopo, che Michael ha una storia d'amore con Ruth (Anne Baxter) una donna sposata con un uomo che non ama, Pierre Grandfort (Roger Dann): ormai il pubblico non tornerà indietro.
Una curiosità sulla protagonista femminile: Hitchcock per questo ruolo aveva scelto Anita Björk, che la Warner Bros sostituì con la Baxter poiché l'attrice svedese giunse negli Stati Uniti con un figlio avuto da un amante, poco dopo lo scandalo suscitato dalla vicenda Bergman-Rossellini, e fu quindi rimandata in Europa. 
Oltre al piano-sequenza iniziale, Hitchcock gira splendidamente come al solito, e la mdp, supportata dal bel bianco e nero della fotografia di Robert Burks, è spesso strumento significante. Un altro caso esemplare è quello in cui la moglie di Otto Keller, Alma (sì, proprio il nome della moglie e collaboratrice del cineasta, Alma Reville), serve la colazione ai sacerdoti dopo aver saputo cosa ha fatto il marito: i suoi occhi, con la mdp in soggettiva, si fissano sulla nuca di Michael e, con una panoramica, segnano il movimento della donna attorno al tavolo senza mai perdere di vista il collo del sacerdote, mentre il dialogo è totalmente disgiunto da questo sguardo.
Tra le tante inquadrature da manuale, si noti anche ciò che accade quando l'ispettore Larrue (Karl Malden) parla per la prima volta con Otto: la mdp riprende quest'ultimo di spalle e metà del volto di Larrue di fronte a lui, ma con l'occhio a noi visibile l'ispettore nel frattempo guarda Michael fuori campo, al di qua dello schermo, dov'è seduto lo spettatore.
La grande capacità di raccontare senza la necessità di battute recitate, una tecnica che Hitch ha imparato all'epoca del muto e che spesso utilizza anche nei film "parlati", si palesa in almeno un altro caso, quello in cui deve riassumere le indagini di Larrue, spinto da due giovani testimoni a cercare un sacerdote che non abbia un buon alibi per la notte del delitto. Ebbene, attraverso il montaggio comprendiamo tutto, ma nulla sentiamo dei dialoghi: la mdp alterna l'immagine di una chiesa seguita dall'inquadratura dell'ispettore a colloquio con dei sacerdoti; ad Hitchcock basta ogni volta aggiungere una chiesa e degli abiti talari differenti per dare dinamismo all'intera sequenza.
Molto interessante è anche la parte dedicata al flashback in cui Ruth ricorda l'inizio della relazione tra lei e Michael, che oltre a raccontare una storia che solo la guerra ha interrotto, fino a spingere la donna a sposare un uomo che le desse sicurezza ma non certo la felicità, contiene un bacio tra i due protagonisti che la mdp riprende con un movimento semicircolare... quello circolare di Vertigo (1958) arriverà pochi anni dopo.
E come non citare i simbolismi tanto cari al maestro del brivido? Un paio, già notati da Truffaut, sono legati al personaggio di Willy Robertson (Brian Aherne), prima inquadrato mentre tenta di tenere in equilibrio un coltello e una forchetta su un bicchiere e poi con un bicchiere sulla testa, evidente rimando al suo lavoro di procuratore e all'idea di bilancia come simbolo di giustizia; gli altri, a tema religioso, mostrano Michael passeggiare nervosamente in strada e, dopo aver visto una foto di un uomo in manette, viene ripreso da più lontano, aldilà della sagoma di una scultura che rappresenta una delle cadute di Gesù durante la Via Crucis, in un'evidente sovrapposizione tra la passione di Cristo e quella ingiusta accusa che pesa sulla sua testa; ma anche più avanti, quando il sacerdote esce dal tribunale, e vicino alla moglie di Otto si vede una donna che mangia una mela, massimo simbolo del peccato originale e dettaglio non certo casuale, come precisato dallo stesso Hitchcock.
L'ultima parte del film vive nel processo il momento più debole e prevedibile della storia, ma la pellicola si riprende dopo, con le conseguenze del verdetto: l'"eroe silenzioso" interpretato da Montgomery Clift, comunque vada, rimarrà un eroe solitario, come quelli dei western, poiché condanna o assoluzione non lo libereranno mai dell'opinione della comunità che non gli perdonerà mai le sue debolezze umane... Michael Logan è un eroe tragicamente sconfitto, senza speranza, pur avendo rispettato la regola che il suo ruolo gli imponeva, quello del segreto del confessionale.
Questo elemento, poco credibile per un pubblico non cattolico, è un altro dei motivi che col senno di poi non piacevano molto ad Hitchcock, capace di dire che il film per questo "in effetti, non bisognava girarlo".
Gli amanti del cinema ringraziano che questo non sia avvenuto...

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