sabato 28 marzo 2015

Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza (Andersson 2014)

Il quinto film del regista svedese Roy Andersson è indubbiamente fuori dalle convenzioni narrative più consuete, caratterizzato da una mdp immobile come gran parte dei personaggi che lo animano; da campi lunghi che non cedono mai al primo piano e in cui è lo spettatore a dover trovare i dettagli significanti (spesso allegorici); da una sceneggiatura dai toni surreali e da un'ironia prettamente nord europea, che possono ricordare il teatro dell'assurdo di Samuel Beckett, il cinema di Aki Kaurismaki o, alle nostre latitudini, quello di Daniele Ciprì e Franco Maresco, nonché la pittura novecentesca della Nuova oggettività di Otto Dix e George Grosz.

Si tratta, però, di una pellicola costituita da una serie di sketch (35 piani sequenza - tableaux vivants) che, pur se divertenti, sono perlopiù slegati tra loro e con un ritmo inevitabilmente basso, elementi che non gli hanno impedito comunque di aggiudicarsi il Leone d'oro del 2014. 
Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve, Vienna
L'animale che dà il titolo al film, citazione dichiarata da Andersson del dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio Cacciatori nella neve (1565, Vienna, Kunsthistorisches Museum), arriva subito, in una vetrina del museo naturalistico che sta visitando una coppia di signori... Il piccione che riflette sul ramo verrà poi citato anche più avanti, in una poesia recitata a scuola da una bambina con la sindrome di down. Oltre a questo, gli unici elementi che raccordano i brani del film sono il trucco dei personaggi, tutti caratterizzati da volti di una tonalità bianco-grigia del tutto simile a quella delle pareti delle stanze in cui sono ambientate le sequenze; le telefonate in cui sentiamo dire agli interlocutori la medesima frase di circostanza "sono contento/a di sentire che state bene"; ma soprattutto Jonathan e Sam (Holger Andersson e Nils Westblom), i due rappresentanti di oggettistica e scherzi per il Carnevale che, vagando di negozio in negozio per mostrare i loro campionari costituiti da denti da vampiro, un sacchetto di risate fragorose e la maschera di zio Dentone, ripetono ossessivamente "vogliamo aiutare la gente a divertirsi" mantenendo, però, la loro espressione funerea e la loro voce piatta e monocorde...
I loro affari non vanno certo a gonfie vele e, quando riescono a vendere qualcosa, non vengono pagati: uno dei loro debitori si rifiuta di parlargli, mandando avanti la moglie e urlando alla fine, nella vergogna più totale, "non ce li ho i soldi!!!". Tra le loro visite, però, la più surreale è certamente quella in un bar che diventa un assurdo viaggio nel tempo poiché, come se nulla fosse, passano di lì, nel degrado di una periferia post industriale, i soldati di Carlo XII (1682-1718) che stanno andando in Russia e che poi ritornano dopo la cocente sconfitta di Poltava (1709). Nelle due occasioni uno dei cavalieri scaccia le donne dal bar e fa frustare un uomo che gioca alle slot machine ammonendolo con un'esilarante "così impari a giocare d'azzardo", e lo stesso re di Svezia si siede al bar, aspetta per andare al bagno poiché è occupato e si innamora del garzone.
Tra le vicende che compongono il film, si susseguono un'insegnante di flamenco che fa delle avance ad un ballerino della sua classe; un uomo in uniforme che, dopo un appuntamento mancato, ricorda "dovevo andare a una conferenza sulla ritirata strategica... ma è stata annullata, naturalmente", chiudendo il discorso con l'avverbio che ripete in maniera costante ad ogni frase; dei soldati che fanno entrare degli schiavi in una grande strumento di tortura di metallo, una sorta di botte girevole con tanto di aperture a megafono che ne aumentano la portata cinica e priva di morale; delle persone che alla fermata di un autobus iniziano una conversazione surreale e davvero beckettiana che inizia con "e così, è di nuovo mercoledì?".
Meritano, inoltre un menzione i tre incontri con la morte: l'infarto di un uomo mentre stappa una bottiglia in attesa che la moglie, che non si accorge di nulla, sta preparando gli ultimi piatti da portare in tavola; l'accanimento di una donna morente che stringe la borsa con i gioielli che vuole portare con sé in Paradiso, mentre i figli tentano in tutti i modi di strappargliela dalle mani; l'imbarazzo dei gestori e degli avventori del ristorante di un traghetto, che non sanno come gestire e chi debba mangiare il pranzo di un uomo morto subito dopo averlo pagato.
Andersson trova il modo di inserire anche una sequenza musical, a metà tra un film di Ingmar Bergman e l'ironia dei Monty Python, quando ci mostra, nella taverna di Goteborg "Lotta la Zoppa", un uomo molto anziano e ormai sordo che va lì sin da quando era giovane, cosicché in un flashback lo vediamo seduto nello stesso locale nel 1943, quando la locandiera (Charlotta Larsson) fa cantare e mettere in fila tutti i marinai offrendo un bicchierino in cambio di un bacio, d'altronde "sessant'anni vogliono dire molti bicchieri!" avevano detto altri avventori all'anziano signore (vedi).
Roy Andersson che, oltre ai tanti rimandi già evidenziati, ha dichiarato di essersi ispirato anche a Ladri di biciclette (De Sica 1948), dimostra come nel corso di uno stesso film l'ironia possa cedere il passo ad un sarcasmo nero, che è anche critica sociale e analisi del mal di vivere che molto spesso caratterizza la società nordeuropea, che però è cosa ben lontana dalla vita fatta di espedienti del neorealismo italiano. Da quel punto di vista nulla di più distante, ma il salto in una commedia così diversa dalla nostra idea di commedia, girata con un rigore che solo nei paesi scandinavi può essere raggiunto, vale la pena di essere tentato...

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