Una recensione che non può non nascere dal confronto tra due film: l'originale francese Le Prénom, nato da una pièce teatrale di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, i due registi che ne hanno curato anche la versione cinematografica, tradotta in italiano con un più conviviale Cena tra amici, e il remake di Francesca Archibugi che ne ha recuperato in parte il titolo con un più fedele Il nome del figlio.
Il soggetto, infatti, è incentrato su una cena tra vecchi amici in cui Paolo Pontecorvo (Alessandro Gassman; in francese Vincent - Patrick Bruel) ha deciso di annunciare il nome del suo primogenito, che avrà da Simona (Micaela Ramazzotti; in francese Anna - Judith El Zein), alla sorella Betta (Valeria Golino; in francese Élisabeth - Valérie Benguigui), sposata con Sandro (Luigi Lo Cascio; in francese Pierre - Charles Berling), che frequenta la loro famiglia da quando era bambino, e un altro amico d'infanzia, Claudio (Rocco Papaleo; in francese Claude - Guillaume de Tonquedec), particolarmente legato a Betta.
Paolo è un agente immobiliare, superficiale e con tendenze politiche destrorse, nato e cresciuto in una famiglia ebrea, sempre pronto allo scherzo e alla battuta facile, finalizzati a provocare tutti e soprattutto Sandro, professore di letteratura italiana all'università, a suo avviso troppo politically correct e, forse, non senza un po' di gelosia, più stimato di lui dal defunto padre Emanuele Pontecorvo, da bambino sfuggito ai nazisti. Lo scontro diventa inevitabile quando Paolo proclama che il nome del figlio sarà Benito (nell'edizione francese Adolphe), lasciando esterrefatti i presenti... ma fa sul serio o è uno scherzo?
Su questo piano gioca buona parte della sceneggiatura, firmata dalla stessa Archibugi e da Francesco Piccolo, che scorre bene e funziona decisamente meglio di quella francese, alla quale si devono comunque molte battute riprese in italiano.
Proprio la questione del nome, infatti, diventa l'occasione per tirar fuori tutte le divergenze tra i commensali, in un crescendo a tratti pieno di tensione e, grazie ad un montaggio che alterna momenti della loro infanzia insieme (totalmente assente nella versione francese), anche intriso di lirismo e malinconia. In tal senso l'apice è costituito dalla bella sequenza che fonde i due tempi della narrazione con i protagonisti che cantano tutti insieme, da bambini e da adulti, Telefonami tra vent'anni di Lucio Dalla.
Uno dei territori di scontro tra Paolo e gli altri è la sua compagna, Simona, una ragazza di borgata (Palocco e non Casal Palocco "che è dove ci stanno le ville"), decisamente poco colta ma bellissima e che, grazie ad un libro a sfondo erotico intitolato Le notti di F., sta spopolando nelle vendite ben oltre il cognato Sandro, che non supera le trecento copie con i suoi saggi letterari. La distanza culturale con il resto della compagnia è anche quella di Paolo, che però prova a riabilitarsi giustificando la scelta del nome Benito con il personaggio di Benito Cereno, il romanzo di Herman Melville (nell'edizione francese il romanzo è Adolphe di Benjamin Constant), facendo infuriare Sandro che non si capacita di come tra i tanti libri che gli ha regalato o consigliato, Paolo si sia innamorato proprio di quello.
Oltre al costante scontro tra Paolo e Sandro, il film ruota attorno agli sfoghi degli altri personaggi: quello di Claudio, proprio contro di loro, che ritiene fin troppo simili pur se apparentemente opposti ("a voi non piace nessuno", "state sempre lì a guardarvi da fuori"); quello di Simona che, insultata da Sandro, critica i nomi dei figli dei due cognati - Scintilla e Pin (Myrtille e Apollin in francese) - e, nonostante la bassa stima di tutti nei suoi confronti, Paolo compreso, dimostra che il consenso da parte della famiglia lo ha, con gran sorpresa di tutti, dalla suocera Lucia (in francese Françoise); e, infine, quello di Betta che, prima di sussurrare "andate a fanculo tutti", evidenzia in un bel monologo tutte le difficoltà di provare ad essere una donna moderna a metà tra casalinga, madre e insegnante, ma che in fondo ha molto da far pagare al marito.
Il cast funziona, pur se Lo Cascio è indubbiamente l'attore che sorprende meno, riproponendo il ruolo dell'intellettuale italiano che recrimina su tutto, già interpretato in passato (es. La meglio gioventù - Giordana 2003); bravi Papaleo e la Ramazzotti e ancora più brava Valeria Golino, abile nel mostrarsi felice, insicura, materna, delusa, arrabbiata, a seconda del momento. È chiaro, però, che vedere Alessandro Gassman nella parte del mattatore simpaticamente antipatico, un miles gloriosus che sarebbe pienamente nelle corde del padre Vittorio, fa la differenza: è lui la figura più riuscita del film, nella sua scorrettezza, nella sua doppiezza, nelle sue insicurezze, nella sua "gassmanianità". Non è un caso, peraltro, che Sandro, proprio parlando con lui, citi un certo "Brancaleone da Gippone", un nome che richiama l'intramontabile personaggio monicelliano di Brancaleone da Norcia dell'armata omonima...
Paolo è un agente immobiliare, superficiale e con tendenze politiche destrorse, nato e cresciuto in una famiglia ebrea, sempre pronto allo scherzo e alla battuta facile, finalizzati a provocare tutti e soprattutto Sandro, professore di letteratura italiana all'università, a suo avviso troppo politically correct e, forse, non senza un po' di gelosia, più stimato di lui dal defunto padre Emanuele Pontecorvo, da bambino sfuggito ai nazisti. Lo scontro diventa inevitabile quando Paolo proclama che il nome del figlio sarà Benito (nell'edizione francese Adolphe), lasciando esterrefatti i presenti... ma fa sul serio o è uno scherzo?
Su questo piano gioca buona parte della sceneggiatura, firmata dalla stessa Archibugi e da Francesco Piccolo, che scorre bene e funziona decisamente meglio di quella francese, alla quale si devono comunque molte battute riprese in italiano.
Proprio la questione del nome, infatti, diventa l'occasione per tirar fuori tutte le divergenze tra i commensali, in un crescendo a tratti pieno di tensione e, grazie ad un montaggio che alterna momenti della loro infanzia insieme (totalmente assente nella versione francese), anche intriso di lirismo e malinconia. In tal senso l'apice è costituito dalla bella sequenza che fonde i due tempi della narrazione con i protagonisti che cantano tutti insieme, da bambini e da adulti, Telefonami tra vent'anni di Lucio Dalla.
Uno dei territori di scontro tra Paolo e gli altri è la sua compagna, Simona, una ragazza di borgata (Palocco e non Casal Palocco "che è dove ci stanno le ville"), decisamente poco colta ma bellissima e che, grazie ad un libro a sfondo erotico intitolato Le notti di F., sta spopolando nelle vendite ben oltre il cognato Sandro, che non supera le trecento copie con i suoi saggi letterari. La distanza culturale con il resto della compagnia è anche quella di Paolo, che però prova a riabilitarsi giustificando la scelta del nome Benito con il personaggio di Benito Cereno, il romanzo di Herman Melville (nell'edizione francese il romanzo è Adolphe di Benjamin Constant), facendo infuriare Sandro che non si capacita di come tra i tanti libri che gli ha regalato o consigliato, Paolo si sia innamorato proprio di quello.
Il cast del film francese Cena tra amici |
Tra i tanti momenti divertenti di questa commedia, in effetti, molti spettano proprio alle battute e alle facce di Paolo, ma una speciale menzione merita il duetto tra lui e Sandro, che si alleano nell'elencare una lunga sequela di luoghi comuni che designano la supposta omosessualità di Claudio: "tu sei sempre stato single, sei un musicista, quindi sei un artista, abiti al Porto Fluviale, con due gatti, ti metti calzini a righe, sciarpette, quando lei accompagna Scintilla a danza l'accompagni, fai le torte, vai in giro con una bicicletta con la pedalata assistita, ascolti Maria Callas, Billie Holliday, spandi profumi per casa" .
La regia dell'Archibugi è molto dinamica, una scelta che arricchisce un film che altrimenti rischiava di essere claustrofobico - difetto a cui non sfugge la versione francese -, e a questo contribuisce anche la già citata soluzione di alternare il presente con i flashback dell'infanzia dei protagonisti (con ellissi sugli attori che interpretano gli stessi personaggi), che rende tutto evidentemente più cinematografico. Così come diventa un escamotage significante la presenza del drone, utilizzato costantemente da Scintilla e Pin, che è sì un elemento di costume degli ultimi anni, ma che permette alla regista di mostrare "la verità": è proprio attraverso la soggettiva della mpd volante che i personaggi mostrano le reali espressioni, fuori dalle finzioni e dalle convenzioni di comportamento che invece mostrano di fronte agli altri...
I film della grande commedia all'italiana sono ormai lontani nel tempo, ma una regia pensata, i bravi attori e la capacità di alternare risate, riflessioni più amare e colpi di scena, e perché no qualche citazione letteraria e filosofica (oltre a Melville, Kant, Aristotele e Platone, c'è anche un pò di Calvino nel nome di Pin, ricavato da Il sentiero dei nidi di di ragno, pur se il piccolo teme giustamente "mi chiameranno bancomat quelli delle medie"), fanno de Il nome del figlio una pellicola che si distingue da gran parte delle altre commedie realizzate in Italia negli ultimi anni.
I film della grande commedia all'italiana sono ormai lontani nel tempo, ma una regia pensata, i bravi attori e la capacità di alternare risate, riflessioni più amare e colpi di scena, e perché no qualche citazione letteraria e filosofica (oltre a Melville, Kant, Aristotele e Platone, c'è anche un pò di Calvino nel nome di Pin, ricavato da Il sentiero dei nidi di di ragno, pur se il piccolo teme giustamente "mi chiameranno bancomat quelli delle medie"), fanno de Il nome del figlio una pellicola che si distingue da gran parte delle altre commedie realizzate in Italia negli ultimi anni.
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