martedì 17 marzo 2015

Vizio di forma (Anderson 2014)

Paul Thomas Anderson torna a raccontare gli anni '70, in cui non si imbatteva dai tempi di Boogie nights (1997), e lo fa declinandoli in un noir lisergico che rende Vizio di forma, adattamento dell'omonimo romanzo di Thomas Pynchon, una sorta di cugino minore di Paura e delirio a Las Vegas (Gilliam 1998) e de Il grande Lebowski (Coen 1998).
Il protagonista della storia, ambientata a Los Angeles, è Larry "Doc" Sportello (Joaquin Phoenix), un investigatore dedito alle droghe, perennemente sballato, che non può non far pensare al fantastico Drugo interpretato da Jeff Bridges per i Coen. Fidanzato con Penny (Reese Whiterspoon), assistente procuratore distrettuale, una donna opposta a lui, razionale e sempre lucida... e con uno chignon palesemente hitchcockiano, su cui Anderson indugia più volte, Doc riceve un'improvvisa visita dalla sua ex, di cui appare ancora innamorato, Shasta Fay Hepworth (Katherine Waterston) - in una dimensione che, come in tutte le sue percezioni, resta a metà tra la realtà e la visione - che gli chiede aiuto per evitare che il suo nuovo amante, il potente costruttore Mickey Wolfmann (Eric Roberts), ebreo ma simpatizzante con gruppi nazisti legati alla "fratellanza ariana", non venga internato dalla moglie Sloane (Serena Scott Thomas).
Questa "missione" porterà Larry ad avvicinare numerosi personaggi stravaganti, che permettono al regista di dare un ruolo ai tanti attori che costituiscono il ricchissimo cast, e a vivere esperienze ai limiti del surreale. 
Il film, che non brilla per la regia, e la cui lunga durata complica oltremodo la fluidità di una storia ricca di sottotrame, spesso binari morti narrativi che forse presuppongono una voluta comprensione parziale del tutto, proprio come accade nella mente del protagonista, ha il suo elemento più caratterizzante nella sceneggiatura, che nella narrazione aggiunge, rispetto al libro, una cornice off rappresentata dalla voce narrante di Sortilège, interpretata dalla cantautrice e arpista folk statunitense Joanna Newsom, alla quale, ad esempio, spetta l'eloquente sintesi sui processi mentali del protagonista: "Doc frugò nella discarica della sua memoria".
È facile prevedere che diverse sequenze diventeranno dei cult: lo stralunato Doc che fa visita al Chick Planet Massage, un malcelato bordello costruito nel nulla, che tiene esposto un "menu" dettagliato sulle pratiche sessuali delle ragazze; si reca nella villa della bella Sloane Wolfmann, che lo accoglie in costume da bagno e in una forma fisica strepitosa, nonostante non sia più una ventenne, al fianco di un giovane e prestante biondo che la donna definisce propria "guida spirituale". Tra le stanze della stessa casa, peraltro, Larry conosce la domestica sudamericana dalle seducenti movenze che gli illustra una serie di cravatte di Wolfmann su cui compaiono i ritratti di splendide donne nude. Durante le ricerche, incontra Hope (Jena Malone), madre della piccola Amethyst, avuta da Coy (Owen Wilson), che le ha abbandonate e che più avanti spiegherà a Larry la sua situazione - "Essere morto fa parte della mia immagine professionale. Praticamente è il mio lavoro" -, ma soprattutto, con una riflessione ironica e densa di significato, precisa che considera gli Stati Uniti, e siamo ai tempi della guerra in Viet Nam, come una mamma eroinomane, poiché manda gente a morire nella giungla e non riesce a smettere. Lo stesso Coy è protagonista di una bella inquadratura-flashback che lo vede al centro di una tavolata che rimanda inequivocabilmente all'Ultima cena leonardesca, una dimostrazione che la parodia spesso può essere nascosta in pochi fotogrammi (non a caso lo schema compositivo-iconografico viene ripreso anche da una delle foto promozionali della pellicola).

L'ultima cena di Paul Thomas Anderson
Lavorando al caso, Doc si interfaccia anche con Sauncho Smilax (Benicio del Toro, riferimento in carne e ossa a Paura e delirio a Las Vegas) e con il collega "Bigfoot" Bjornsen (Josh Brolin), dal volto truce, che si autodefinisce un "investigatore rinascimentale" e ama mangiare banane ricoperte di cioccolato, suscitando in Doc pensieri e sguardi interrogativi esilaranti. Di fatto Big Foot è il co-protagonista del film, e la profonda distanza tra i due detective, palesata ripetutamente, è perfettamente delineata in uno dei loro scambi di battute che sintetizza la loro condotta di vita, in cui il poliziotto apparentemente irreprensibile provoca Doc con un "se non avessi saltato chimica per andare a cercare la roba...", ma si sente rispondere a tono con uno speculare "se non avessi saltato medicina legale per rubare cerchioni per incastrare hyppie fumati...".
Per il resto la storia alterna sedute spiritiche finalizzate al reperimento della droga, con tanto di tavoletta witchy; strani gargarismi, l'edificio kitsch del Golden Fang, diretto da Blatnoyd (Martin Short), a capo di un gruppo massonico di dentisti (sic), e tanto altro ancora, in una trama che, come già detto, fa perdere nei suoi meandri gli spettatori, ma anche i personaggi stessi, come dimostra la voce narrante di Sortilège che in alcuni frangenti ripete un disorientato "Non so", e Doc che al telefono si ritrova a chiedere al suo interlocutore "Lei ha un ruolo in questa storia?". Al disorientamento, però, va sottolineato, contribuisce anche l'inspiegabile traduzione del titolo in italiano, che trasforma l'Inherent vice originale, un "vizio intrinseco", riferito al rischio inevitabile delle assicurazioni marittime, in un vizio di forma, che nella nostra lingua ha solo il merito di essere un'espressione idiomatica.
Un'ultima considerazione merita la bellissima colonna sonora che, come scenografia e costumi, costituisce un elemento determinante per la ricostruzione degli anni Settanta: oltre alle musiche composte da Johnny Greenwood, dedicate a Shasta Fay o al Golden Fang per esempio, si succedono, tra gli altri, brani come Journey Through The Past di Neil Young, Here Comes the Ho-Dads dei Marketts, I Want to Take You Higher di Sly and the Family Stone  Simba di Les Baxter, Any Day Now  Chuck Jackson, o la nipponica (tra i personaggi c'è anche Japonica!) Sukiyaki di Kyu Sakamoto.
Insomma, un film da non perdere per diversi motivi, nonostante le imperfezioni, consigliando allo spettatore di non limitarsi "a capire su che lato delle cartine c'è la colla", come dice ancora Bigfoot al "fattone" Doc...

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