La domanda è come sia possibile rendere così piatto uno tra i più celebrati romanzi degli ultimi cinquant'anni con un adattamento così dozzinale, una sceneggiatura svuotata di tutti gli elementi più difficili e disturbanti, una recitazione scontata e una regia che non fa nulla per essere considerata tale.
Alfred Hitchcock era convinto che partire da un ottimo romanzo rende più difficile giungere ad un film dello stesso valore, ma Ewan McGregor, al suo esordio da regista, non solo dà pienamente ragione a Hitch, ma va oltre realizzando una pellicola davvero ordinaria...
Lo scrittore Nathan Zuckerman (David Strathairn), il consueto alter ego di Philip Roth, è ad un ritrovo del suo college 45 anni dopo il diploma, classe 1951; qui incontra Jerry (Rupert Evans), il fratello di Seymour Levov detto "lo Svedese" (Ewan McGregor), una vera e propria leggenda della scuola, capitano della squadra di football, popolare con le ragazze, l'uomo su cui tutti i compagni avrebbero scommesso per un futuro di successo... e invece la sua vita è stata un disastro e suo fratello è lì per il funerale che si terrà il giorno dopo.
Da questa cornice narrativa ha origine il flashback che costituisce l'intera vicenda che prende le mosse dal fidanzamento di Seymour con una ragazza cattolica, Dawn (Jennifer Connelly; in italiano tradotto con l'assonante Donna), reginetta di bellezza del New Jersey. I due, nonostante le perplessità del padre di Seymour (Peter Riegert), ebreo praticante, si sposano e hanno una figlia, Merry (Ocean James / Dakota Fanning), che evidenzia sin da bambina un fastidioso problema di balbuzie. Che questo possa essere dovuto a blocchi psicologici legati alla sua famiglia inizialmente lo pensa solo la psicologa, ma con la crescita la ribellione di Meredith sembra essere il necessario sfogo verso quell'apparente mondo di perfezione borghese rappresentato in pieno dai suoi genitori. All'inizio degli anni '70 Merry seguirà tendenze politicamente e socialmente più estremiste, passando dal terrorismo al jainismo indiano, si allontanerà dalla famiglia e romperà quell'idea di infallibilità che aleggiava intorno alla coppia...
La tragedia dei Levov, che nel libro è ricca di momenti complessi e privi di un'etichetta giusto-sbagliato, positivo-negativo, diventa nel film di Ewan McGregor una successione di sequenze prevedibili, in cui tutto ciò che si percepisce è lo scontro generazionale e, in fondo, una malcelata opposizione alla ribellione, superficialmente connessa a disturbi psicologici piuttosto che a reali ideali e convinzioni. In una parola un film profondamente reazionario.
Resta la bella immagine dell'esplosione dell'ufficio postale, non a caso utilizzata anche per la locandina, quella che nel suo silenzio riesce quantomeno a tradurre simbolicamente, grazie alla bandiera statunitense, il parallelo tra il dramma familiare e quello di un'intera nazione.
Alcuni dei passi più disturbanti del romanzo vengono edulcorati e appiattiti: il bacio "vero" chiesto dalla piccola Merry al padre, in un tipico eccesso di gelosia infantile nei confronti del rapporto tra padre e madre, le viene rifiutato da Seymour che si limita a darglielo sulla guancia; la scena in cui Rita Cohen (Valorie Curry), un'attivista ventenne amica di Merry, tenta di sedurre Seymour in una stanza d'albergo, trasforma in negativo anche l'emancipazione sessuale femminile di quegli anni, anche se almeno regala una delle pochissime tensioni emotive della pellicola.
American pastoral risulta così una sorta di versione a tema politico-familiare di quello che fu Love Story (Hiller 1970) per il genere "film romantico": McGregor e Connelly potrebbero essere, in effetti, la trasposizione perfetta del duo Ryan O'Neal-Ali McGraw, e alcune frasi del bel libro di Roth, come "la vita è solo un breve periodo di tempo in cui sei vivo", o "così sappiamo di essere vivi, sbagliando", decontestualizzate e inserite in questa melassa, rischiano di suonare come il celebre quanto insopportabile "amare significa non dover mai dire mi dispiace".
La frase citata arriva nell'ultima scena del film, quella del funerale di Seymour, sulla cui bara, con una dissolvenza, si chiude l'ultima inquadratura... un'inquadratura che lo spettatore in sala avrebbe sperato giungesse molto prima!
La tragedia dei Levov, che nel libro è ricca di momenti complessi e privi di un'etichetta giusto-sbagliato, positivo-negativo, diventa nel film di Ewan McGregor una successione di sequenze prevedibili, in cui tutto ciò che si percepisce è lo scontro generazionale e, in fondo, una malcelata opposizione alla ribellione, superficialmente connessa a disturbi psicologici piuttosto che a reali ideali e convinzioni. In una parola un film profondamente reazionario.
Resta la bella immagine dell'esplosione dell'ufficio postale, non a caso utilizzata anche per la locandina, quella che nel suo silenzio riesce quantomeno a tradurre simbolicamente, grazie alla bandiera statunitense, il parallelo tra il dramma familiare e quello di un'intera nazione.
Alcuni dei passi più disturbanti del romanzo vengono edulcorati e appiattiti: il bacio "vero" chiesto dalla piccola Merry al padre, in un tipico eccesso di gelosia infantile nei confronti del rapporto tra padre e madre, le viene rifiutato da Seymour che si limita a darglielo sulla guancia; la scena in cui Rita Cohen (Valorie Curry), un'attivista ventenne amica di Merry, tenta di sedurre Seymour in una stanza d'albergo, trasforma in negativo anche l'emancipazione sessuale femminile di quegli anni, anche se almeno regala una delle pochissime tensioni emotive della pellicola.
American pastoral risulta così una sorta di versione a tema politico-familiare di quello che fu Love Story (Hiller 1970) per il genere "film romantico": McGregor e Connelly potrebbero essere, in effetti, la trasposizione perfetta del duo Ryan O'Neal-Ali McGraw, e alcune frasi del bel libro di Roth, come "la vita è solo un breve periodo di tempo in cui sei vivo", o "così sappiamo di essere vivi, sbagliando", decontestualizzate e inserite in questa melassa, rischiano di suonare come il celebre quanto insopportabile "amare significa non dover mai dire mi dispiace".
La frase citata arriva nell'ultima scena del film, quella del funerale di Seymour, sulla cui bara, con una dissolvenza, si chiude l'ultima inquadratura... un'inquadratura che lo spettatore in sala avrebbe sperato giungesse molto prima!
Recensione fatta veramente bene, bravo!
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