mercoledì 12 maggio 2021

Rifkin's Festival (Allen 2020)

Woody Allen è sempre Woody Allen... nessuna sorpresa, il suo cinema resta una calda coperta di Linus. Per chi lo ama, come chi scrive, non resta che aggiungere  un sonoro "per fortuna che c'è l'Europa!"
Rifkin's Festival, infatti, dopo gli scandali in cui è stato coinvolto il regista statunitense, è stato realizzato grazie a Spagna e Italia ed è obiettivamente sempre più difficile pensare che Allen potrà ancora ambientare un film nella sua New York (trailer).
Stavolta, infatti, la storia si svolge a San Sebastián, durante l'omonimo festival internazionale di cinema, dove si recano Sue (Gina Gershon), ufficio stampa del giovane e affascinante regista Philippe (Louis Garrel), e suo marito, Mort Rifkin (Wallace Shawn).
New York resta sullo sfondo, ma ben presente, perché ovviamente la coppia protagonista viene da lì e persino quando Mort conosce e si invaghisce della bella dottoressa spagnola Joanna Rojas (Elena Anaya), questa ha vissuto per un periodo nella Grande mela e può sostenere una conversazione su Central Park e altri luoghi della città.
La pellicola ha tutti i motivi tipici del cinema alleniano e si dipana tra rapporti di coppia, con le conseguenti difficoltà, intrecci, tradimenti, gelosie, innamoramenti repentini, psicanalisi. Non a caso il film inizia e finisce, in maniera circolare, nello studio dello psicoterapeuta da cui va Mort. Peraltro nell'immagine di apertura la mdp inquadra la stanza dall'alto, da quello che comunemente viene definito “God’s Eye View”, che nel caso di un ebreo ateo come Woody Allen autorizzerebbe diverse riflessioni: una, in realtà, la dà la stessa sceneggiatura, poiché Mort proprio sull'eventuale incontro con Dio nell'aldilà non esita a rispondere "dopo quello che ha fatto lui non credo di avere niente da dirgli".
E in mezzo alle due scene dal terapeuta? La fotografia di Vittorio Storaro e tanta, ma davvero tanta cinefilia da stropicciarsi gli occhi...
Woody Allen, che trova in Wallace Shawn un perfetto alter ego, ex insegnante di cinema, scrittore che non riesce a scrivere un libro perché non tollera la mediocrità, ipocondriaco, sardonico, logorroico, utilizza l'espediente del sogno - che trascolora nel bianco e nero - per attraversare la storia del cinema, passando da Orson Welles a Federico Fellini, da Luis Buñuel a François Truffaut, da Claude Lelouch a Ingmar Bergman, il tutto condito da un'ironia leggera ma mai banale.
La prima citazione è per Quarto Potere (1941): Mort sogna la sua infanzia in un maniero chiuso da un cancello simile a quello di Xanadu del capolavoro di Welles, ma poi lo vediamo ancora bambino che gioca con le palle di neve al di là di una finestra proprio come il piccolo Charles Forster Kane, con cui condivide il celeberrimo slittino, che però, invece di Rosebud - Rosabella nella versione italiana - qui prende il nome di Rosebudnick.
Il sogno su Federico Fellini è accompagnato dalla musica di Nino Rota, mentre una serie di personaggi, come la maggiorata di turno, preti e suore, e le atmosfere da lungomare riminese ricreano un contesto che fa pensare per alcuni versi ad Amarcord (1973) e per altri a Otto e mezzo (1963), di cui riprende la celebre passerella finale, trasponendola da uno stabilimento balneare ad un giardino e inserendo i genitori del protagonista e un rabbino.
La ripresa di Jules et Jim
Per Buñuel, il cui nome è introdotto dal premio a lui intitolato, immancabilmente vinto da Philippe, che genera il sogno di una cena ricca di persone che fa subito pensare a L'angelo sterminatore (1962) del maestro surrealista spagnolo, tanto più che alcuni personaggi non riescono ad uscire dalla stanza, in evidente allusione parodistica del celebre precedente (vedi).
L'omaggio a Truffaut è al triangolo amoroso è parte dell'intero film, dato che il palese flirt tra Sue e Philippe durante il soggiorno a San Sebastián non si arresta nemmeno alla presenza di Mort, che si ritrova a sognare la moglie nei panni che furono di Jeanne Moreau, in bicicletta con cappellino e baffi, lì seguita da Oskar Werner e Henri Serre, qui da Louis Garrel e da Wallace Shawn, che però, in versione ben più comica, procede a maggiore distanza con una bicicletta dalla pedalata assistita.
Per Lelouch, altro regista dichiaratamente amato da Mort, il sogno vede l'ex insegnante di cinema in auto con Joanna, al ritorno verso Parigi come Anouk Aimée e Jean-Louis Trintignant in Un uomo, una donna (1966).

I fotogrammi di Persona, di Amore e Guerra 
(in attesa di quello di Rifkin's Festival)
Un discorso a parte merita il richiamo a Ingmar Bergman, da sempre uno dei massimi punti di riferimento del Woody Allen più riflessivo e intimista e qui citato con ben tre film. È pienamente bergmaniana la splendida inquadratura che affianca e sovrappone il profilo di un'attrice con il volto frontale dell'altra, immagine identitaria di Persona (1966), con Bibi Andersson e Liv Ullmann, peraltro già citata dallo stesso regista newyorchese in Amore e guerra (Allen 1975), dove svolgevano quel ruolo Diane Keaton e Jessica Harper. Mort sogna anche in versione Il posto delle fragole (1957), quando ricorda di aver sedotto quella che poi è diventata la moglie del fratello, immaginando i due che passino il tempo a parlar male di lui.
E poi, ovviamente, la divertente citazione da Il settimo sigillo (Bergman 1957), con la famosissima scena della partita a scacchi con la Morte: qui il ruolo che fu di Bengt Ekerot viene interpretato dal solito straordinario Christoph Waltz, mentre ovviamente è proprio Mort Rifkin ad essere nella posizione in cui era l'Antonius Block di Max von Sydow. La partita, però, dura poco, dato che la Morte ha "un milione di visite a domicilio da fare".
Il matrimonio di Mort e Sue è decisamente in crisi, e questo strano rapporto truffautiano che coinvolge anche Philippe è profondamente squilibrato, ma in questa surreale situazione, non mancano le battute taglienti di Mort, che pungolato dalla moglie persino sull' "emozionante" intermezzo da suonatore di bonghi di Philippe, prorompe in "più di quando Neil Armstrong camminò sulla luna". 
C'è sempre spazio per il cinema, anche per quello reale e non evocato dai sogni, e così i tre vanno a vedere la proiezione di Fino all'ultimo respiro (1960) e più avanti proprio Mort, a letto, si coprirà la testa con le lenzuola come faceva Jean Seberg al fianco di Jean Paul Belmondo. D'altronde, chi meglio della Patricia del capolavoro di Godard può inserirsi perfettamente nella tendenza ad innamorarsi di donne che lo faranno soffrire come ci spiega un'altra linea di sceneggiatura perfettamente alleniana, che ricorda come i personaggi femminili preferiti della Torah per Mort siano Eva, la moglie di Giobbe e Dalila?
Bentornato Woody, è sempre un piacere, tanto più viaggiando nella storia del cinema!

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