Tratto da un documentario incentrato su un caso di cronaca nera del 2002, Roubaix, commissariat central, affaires courantes di Mosco Bocault (2007), il film di Arnaud Desplechin, nato proprio nel piccolo centro a un passo dal confine nordorientale della Francia con il Belgio, riprende la storia di quell'omicidio e la mette in scena con uno stile piuttosto televisivo, ma usando la mdp a mano nelle concitate sequenze iniziali e con una sceneggiatura e degli interpreti che brillano davvero.
È Natale, Louis Cotterelle (Antoine Reinartz) è appena arrivato a Roubaix, nel commissariato guidato da Yacoub Daoud (Roschdy Zem, miglior attore ai Cèsar e ai Lumière 2020) e, come primo incarico, dovrà occuparsi di un'indagine su un incendio. Le due testimoni principali, Claude (Léa Seydoux) e Marie (Sara Forestier), però, da importanti collaboratrici della polizia passeranno presto ad essere le maggiori indiziate per l'omicidio di una donna novantenne uccisa nel proprio letto (trailer).
Desplechin lavora soprattutto sul profilo dei personaggi e ce li racconta approfondendo la psicologia di ognuno.
Daoud ha un temperamento malinconico, vive solo, con due gatti; in uno dei rari casi in cui lo vediamo sorridere, parla con un altro uomo di origine mediorientale e ricorda quando in gioventù a entrambi capitava di trovare cartelli all'entrata dei locali con scritto "vietato l'ingresso ai cani e agli arabi". Non sappiamo molto altro di lui, ma sicuramente avere un nipote in prigione che non vuole vederlo nasconde una cupa sofferenza che non sembra aver confidato a nessuno.
Il tenente Cotterelle, invece, sembra uscito da un film di Martin Scorsese o Abel Ferrara, è un poliziotto con sentimenti religiosi profondi, che è stato a un passo dal seguire quella vocazione.
Claude e Marie convivono, si dichiarano amiche, ma la loro relazione è ambigua: la prima ha un figlio di sei anni, un dettaglio che, a differenza di Marie, le garantisce di non finire preventivamente in cella. Le loro personalità vengono fuori durante gli interrogatori al comando di polizia, in cui la mdp si sposta da un volto all'altro, passando in rassegna chi fa domande e, soprattutto, chi risponde, con atteggiamenti diversi e versioni diverse. Marie cede prima, spaventata, forse pentita; Claude è molto più ostinata, nega finché può e il modo che Daoud approccia a entrambe è il punto massimo dell'approfondimento psicologico della pellicola.
Dai pochissimi elementi a disposizione che ha, il commissario ricostruisce il loro passato, le debolezze e lo squilibrio nel rapporto che le lega: Claude è sempre stata attraente, al centro dell'attenzione, circondata da ragazzi che la desideravano, quella che Daoud sintetizza con una vita da bella, una vita facile; Marie, invece, l'esatto opposto, sempre in disparte, considerata bruttina, quasi incredula di aver conquistato una donna come Claude.
La distanza rispetto all'attenzione psicologica dimostrata da Daoud è tutta nell'atteggiamento di Benoit, un altro poliziotto che, interrogando l'arroccata Claude preoccupata per il figlio, perde la pazienza urlandole "l'unica differenza è se lo vedrai alla sua comunione o al suo matrimonio".
Daoud e Cotterelle riporteranno le due ragazze nell'appartamento della donna uccisa, per ricostruire tutti i loro movimenti o, come gli diranno, ad interpretare "il vostro ruolo". Anche lì le due versioni continuano ad essere discordanti, mentre vedere Marie salire le scale verso la camera da letto con un bicchiere in mano non può non far pensare a Cary Grant che porta un bicchiere di latte a Joan Fontaine ne Il sospetto (Hitchcock 1941).
Una curiosità storico-artistica: sulla scrivania del tenente Cotterelle compare la riproduzione del Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck, ma il dipinto non sembra avere alcuna connessione con il film, né fornire alcuna chiave interpretativa.
Roubaix è un poliziesco in cui l'azione è praticamente inesistente, una pellicola in cui l'attenzione si concentra sulla scrittura, sulle interpretazioni, sull'empatia tra lo spettatore e i personaggi, un noir in piena tradizione francese, in cui il cinema di Robert Bresson rappresenta un modello imprescindibile.
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