sabato 4 giugno 2022

Nostalgia (Martone 2022)

“La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso, non possiede”. Con questa frase di Pier Paolo Pasolini, si apre il gran bel film di Mario Martone, intitolato e incentrato su uno dei sentimenti umani più reconditi, più ancestrali e, forse, più dannosi.
Eppure, difficilmente, in alcuni periodi della vita, ciascuno di noi non la prova e può evitare di esserne attanagliato. Così accade a Felice Lasco (Pierfrancesco Favino), cinquantacinquenne che ha lasciato la propria città, Napoli, per quarant'anni e, dopo aver fatto fortuna in Medio Oriente, tra Libano ed Egitto, torna per prendersi cura di sua madre ma anche per un passato non limpidissimo che gli grava sulle spalle (trailer).
Il film, adattamento dell’omonimo romanzo di Ermanno Rea (2006), ottimamente interpretato da Favino, dietro cui brillano soprattutto attori teatrali come Aurora Quattrocchi, Tommaso Ragno e Nello Mascia, è ambientato in una Napoli malinconica e poetica, in cui ogni angolo per il protagonista è un ricordo, ogni via un pensiero.
A dimostrarlo basti la prima sequenza che vede Felice passeggiare davanti a Porta San Gennaro, la più antica porta della città (X sec.), su cui spicca l'unico affresco rimasto del ciclo che Mattia Preti realizzò per le porte partenopee tra 1657 e 1659, come ex voto dopo la terribile peste del 1656. Quell'immagine mostra I ss. Gennaro, Rosalia e Francesco Saverio (con la successiva aggiunta di Gaetano) che invocano Dio per la cessazione della peste e, in qualche modo, anche Felice è lì per invocare qualcuno, per far cessare i propri sensi di colpa, sperando di poter vivere nella sua Napoli, magari facendo arrivare dal Cairo la sua bella moglie, Arlette (Sofia Essaïdi).
La sequenza, silenziosa, ma accompagnata dal malinconico sax di Steve Lacy (Flakes), ci mostra un Felice per nulla sereno camminare nel Rione Sanità, in una situazione che non può non ricordare il Travis-DeNiro che passeggiava per New York, al suono del sax di Bernard Herrmann in Taxi Driver (Scorsese 1976).
Il Rione Sanità è il quartiere in cui Felice è cresciuto, e lì si ferma ad osservare i murales dell'artista spagnolo Tono Cruz con Totò e Peppino De Filippo (nella scena al bar de La banda degli onesti - Mastrocinque 1956) e con i bambini delle strade di Napoli, per poi fermarsi a mangiare una pizza, pronunciando le prime parole in un italiano stentato, che rivela quanto sia stata lunga la sua assenza. Martone racconta l'evoluzione del personaggio anche attraverso il suo linguaggio: nel corso della storia il suo accento arabo, subito notato da un vecchio amico di famiglia, Raffaele (Nello Mascia), si stempererà, fino a recuperare, nei momenti più concitati, il dialetto parlato in adolescenza.
"Il Cairo non è troppo diverso da qui", dice Felice a sua madre, Teresa (Aurora Quattrocchi), sottolineando la meravigliosa atipicità di Napoli. La città è clamorosamente protagonista: la vediamo nei dettagli, tra vicoli labirntici, appartamenti su strada, i famosi bassi, la tangenziale, il mare, le salite costeggiate dal tufo, come quella di Santa Maria del Presepe (”a sagliuta do presepe”), lungo la Salita di Capodimonte. Sono tutti luoghi che Felice, grazie al montaggio alternato, percorre sia con la memoria, vedendosi adolscente sulla moto col suo inseparabile amico Oreste - e lo vediamo anche vincere una gara percorrendo il tondo di Capodimonte del rione Stella -, sia nel presente, comprando una moto per rinverdire i ricordi. Felice, accompagnato dalla giovane Adele, entrerà anche nelle catacombe di San Gennaro, dove la ragazza gli mostrerà l'affresco di V secolo con l'orante Cerula, non a caso una nordafricana come sua moglie.
Della vita di Felice in Medio Oriente ci viene detto pochissimo, è diventato un imprenditore, si è sposato, non ha figli, "è così", risponde laconico alla domanda di Teresa in merito. Napoli, che fa da sfondo costante al film, come nel bellissimo e lentissimo carrello in avanti, che mostra Felice sul balcone, di sera, una silhouette buia da cui si irradia il fumo della sua sigaretta, con le luci delle case partenopee dietro di lui, è anche in quel dialogo, tanto più che in sottofondo, la macchina del caffé gorgheggia: non serve vederlo, il caffè a Napoli è iconico anche col solo sonoro!
Il dolcissimo rapporto filiale viene narrato in maniera profondamente poetica, grazie alla sensibilità della regia e alla notevole interpretazione di Favino e Quattrocchi: Felice coccola la madre, la lava in una tinozza, superando le ritrosie della donna, che non vuole spogliarsi davanti a lui, ma riuscendo infine a ribaltare il ruolo rispetto a quando lui era il bambino da accudire.
La naturale morte di Teresa è il twist della sceneggiatura, anche perché la cerimonia per il funerale permette a Felice di conoscere don Luigi (Francesco Di Leva), parroco dell'antica Basilica domenicana di Santa Maria della Sanità, per tutti a Napoli San Vincenzo alla Sanità. 
Il giovane sacerdote è un prete sui generis, un leader carismatico del rione, capace di riunire moltissimi ragazzi attorno a lui, tra sport (in chiesa c'è persino uno spazio con ring per la boxe e canestro per il basket) e musica (con una scuola per cui si impegna a reclutare giovani appassionati in prima persona). Don Luigi sale sui motorini dei suoi ragazzi, va casa per casa a parlare con i genitori, a sensibilizzare quelli dalla mentalità più retrograda per il bene dei loro figli; per le vittime della camorra celebra la messa fuori dalla chiesa, contro le ordinanze della polizia, per dare un segnale forte e chiaro, senza arrendersi mai.
Di fatto è lui a costituire l'unica alternativa e, quindi, il nemico numero uno di Oreste Spasiano, " 'o malomm ", il boss del rione, temuto da tutti, ma che don Luigi continua a definire un ladro di galline pur di non vederne ingigantire la figura. E come in ogni tragedia che si rispetti quell'Oreste non è solo un omonimo del migliore amico di Felice...
Il rapporto tra i due è nei frequenti flashback della pellicola, che li racconta profondamente uniti da un'amicizia vera, quotidiana, di grande condivisione, di momenti belli e momenti difficili. Un solo dialogo, nel presente, li vede di fronte, quando Felice, contro il parere di tutti, don Luigi in primis, riuscirà a incontrare l'amico abbandonato, ma mai tradito, quarant'anni prima. È indubbiamente questa la scena madre dell'intero film, in cui Oreste - uno strepitoso Tommaso Ragno - si muove a scatti, mostra ghigni e tira fuori anche le lacrime della nostalgia, le stesse che rigano il volto di Felice, che non ha paura di dire al vecchio amico "ti sì pijat' a vita mia". È una frase strana, in cui c'è l'essenza della storia e anche la citazione più evidente del film.
Oreste in effetti non ha una vita da invidiare, costretto a nascondersi come tutti i boss, prigioniero del potere che ha accumulato negli anni, ma è rimasto a Napoli ed è quello che Felice gli invidia, perché in fondo, ai suoi occhi, nonostante siano trascorsi così tanti anni, "è tutto uguale", come dice a telefono ad Arlette, e ormai non ha più nessuna intenzione di andarsene, perché "chist è 'o paese mio", dice. Quella frase, poi, "ti sì pijat' 'a vita mia", se i flashback e il tema del ritorno non fossero bastati a far pensare allo spettatore a C'era una volta in America (Leone 1984), probabilmente il più grande film di sempre sull'amicizia e sulla nostalgia, ne certifica l'apparentamento. Felice e Oreste sono Noodles e Max, sia da giovani, con un'adolescenza piena di condivisione e di legame vero, sia da uomini ormai maturi, il primo costretto a fuggire senza salutare l'amico e devastato dai sensi di colpa per decenni, il secondo rimasto in città per creare un impero che lo ha schiacciato. Ora si guardano uno negli occhi dell'altro, si accusano, si perdonano, si ignorano: il passato non tornerà e il presente è l'unica cosa che esiste.
La nostalgia distorce la memoria, manipola il tempo, e rende tutto soffuso, privo di asperità, perfetto, ma la realtà non lo è...
Mario Martone ha girato un altro film bellissimo, un dramma intimista, un viaggio dell'anima, in cui memoria, nostalgia e malinconia trovano in Napoli la migliore ambientazione possibile.

1 commento:

  1. un finale inaspettato,solo x far capire la gelosia e la cattiveria,delle persone ignoranti.

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