lunedì 25 aprile 2022

Una vita in fuga (Penn 2021)

Settima volta dietro la mdp per Sean Penn. 
Una vita in fuga, presentato a Cannes 2021, dramma familiare, tratto dal libro di Jennifer Vogel, Flim-Flam Man: The True Story Of My Father's Counterfeit Life, non convince in nessun modo. La pellicola, che nel cast annovera i due figli che Penn ha avuto da Robin Wright, è farraginosa, affastellata di numerose sequenze di montaggio, che a lungo andare stancano, così come il continuo ricorso alla voce off che spiega anche l'evidenza. A tutto questo si unisca un costante ricorso al sentimentalismo, che cerca di ottenere la lacrima dello spettatore, che però, nelle quasi due ore di durata, difficilmente può riuscire a empatizzare con i personaggi di questa storia vera, resa piatta e prevedibile da regia e sceneggiatura, che in fondo prima condanna il sogno americano e poi lo esalta, attraverso le storie di padre e figlia (trailer).
Jennifer Vogel (Dylan Penn), infatti, è la primogenita di John Vogel (Sean Penn), marito e padre che ha interpretato con un po' troppa fiducia il mito del sogno americano. Ha sposato Patty (Katheryn Winnick), con lei ha avuto Jennifer e Nick (Hopper Jack Penn), ma poi ha pensato di poter garantire un alto tenore di vita alla sua famiglia senza alcun realismo, accumulando debiti nell'attesa di trovare il successo con qualche folgorante idea imprenditoriale. Una casa indipendente, riempita di mobili nuovi e con tutti i comfort, piscina compresa, ottenuti firmando cambiali e chiedendo prestiti che non è in grado di restituire.
Quella parvenza di felicità si sgretola di fronte alla realtà e Jennifer, adulta, ricorda quel breve periodo con affetto e nostalgia ("i momenti speciali dell'infanzia sono come le favole e nelle mie mio padre era il principe"), tutto si sfalda, tra litigi, separazioni e bugie che coprono altre bugie. L'adolescenza della ragazza sarà quella della ribelle a tutti i costi, a scuola e in casa, con una madre che, tra alcolismo e incapacità di mostrarsi autorevole, arriverà persino a difendere un nuovo compagno indifendibile. A Jennifer non resterà che convincere il padre a farla vivere con lui, pur sapendo che con lui sarà costretta ad assumere il ruolo di madre piuttosto che quello di figlia e che le bugie non finiranno mai...
Dopo una premessa che si ricongiungerà circolarmente con il finale del film, la storia inizia il suo lungo flashback, che parte dal 1975, con Jennifer bambina (Addison Tymec) e con un'inquadratura notturna della carreggiata con la linea di mezzeria discontinua, che ci piace pensare sia una citazione da Strade perdute (Lynch 1997), anche perché la vicenda della famiglia Vogel è tutta una strada perduta... e quando poi vediamo, in casa di John, un quadretto con immagini di uccelli, la cinefilia non può non portarci con la mente alla casa di Norman Bates in Psycho (Hitchcock 1960). 
Il piccolo ruolo di Josh Brolin nei panni di zio Beck
Per Agatha Christie solo tre indizi facevano una prova e due erano ancora una coincidenza, ma gli squilibri di Vogel sembrano darle torto. D'altronde John è un uomo che, come dice Jennifer, essendo nato il 14 giugno (il titolo originale del film è Flag Day), era convinto che "il giorno della bandiera l'America festeggiava il suo compleanno, era il minimo che il suo Paese poteva fare per lui".  
Le altre parti della pellicola toccheranno prima il 1981, quando ormai Jennifer è un'adolescente (Jadyn Rylee), e quindi il 1985 ed il 1992, tappe di una crescita complicata che non impedirà alla protagonista di diventare una donna responsabile, determinata e lontanissima dall'esempio dei propri genitori.
La colonna sonora è probabilmente la cosa migliore del film: John allevia le sue frustrazioni con i notturni di Chopin e si innervosisce quando la sua nuova fiamma appassiona i bambini con il rock di Night Moves di Bob Seger.
La piccola fortuna dello spettatore è che durante i numerosi montaggi e i superflui "spiegoni" di Jennifer che ci illustra quello che già gli occhi hanno visto o stanno per vedere, il sottofondo musicale sia quello di Cat Power (DreamsI am a mapI think of angels), ma soprattutto di Eddie Vedder, già collaboratore di Sean Penn per il suo bel Into the wild (2008), e che stavolta compone brani nuovi, che canta con Glen Hansard, come Flag Day, Tender MerciesRather be homeWave, I'll be waiting, e con sua figlia Olivia Vedder (My father's daughter e There's a girl), oltre a regalarci una bellissima cover di Drive dei R.E.M. 
Purtroppo la musica non toglie che in questo film ci sia sempre un'occasione per aggiungere una sequenza di montaggio: l'infanzia, la ricerca del lavoro, gli sbandamenti di Jennifer, gli anni di prigione di John e tanti altri. 
Alla fine se ne contano almeno sette o otto, forse un record negativo di una tecnica che ha avuto i suoi capolavori, perché lo è in Quarto potere (1941; sequenza dell'evoluzione del primo matrimonio di C. Forster Kane-Welles), in Rocky (1976; sequenza dell'allenamento) o ne La 25° ora (sequenza del monologo allo specchio), ma qui fa solo pensare alla parodia che ne viene fatta in un'indimenticabile puntata di South Park.
E quando, infine, Sean Penn non trova di meglio se non mostrare la figlia mentre accarezza il grano maturo, riproponendo la famosissima scena di Russel Crowe ne Il gladiatore nei Campi Elisi, anche lo spettatore più favorevolmente disposto credo possa concludere che Una vita in fuga sia davvero un film poco riuscito.

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