sabato 29 agosto 2020

Siberia (Ferrara 2020)

Il nuovo film di Abel Ferrara è un flusso di autocoscienza lungo 90 minuti. 
Il regista newyorchese sceglie Willem Defoe, al sesto film con lui e suo vicino di casa (entrambi vivono a Roma da anni, il primo dal 2014, il secondo dal 2005), per interpretare il proprio alter ego, Clint, e affronta, in uno zibaldone fatto di pensieri e immagini, un'autobiografica e psicanalitica narrazione priva di narrazione, che avanza per giustapposizioni.La regia è, come sempre, di talento, e vede alternare carrelli in avanti e indietro, surcadrage affacciati sulle distese innevate, immagini bellissime fotografate da Stefano Falivene e accompagnate dal pianoforte di Joe Delia.
Sin dai titoli di testa ascoltiamo la voce off di Clint - nell'incerto italiano di Defoe - che ricorda quando da bambino andava a pesca con il padre. Oggi è un cacciatore che vive da solo in un rifugio in mezzo alla neve della tundra siberiana, quasi da far invidia a quella di The Hateful Eight. I suoi fedeli compagni sono cinque husky che utilizza per trainare la sua slitta.
Di Clint inizialmente non sappiamo nulla, anche se alcune linee di sceneggiatura ci suggeriscono qualcosa. Quando un avventore del suo spaccio gioca alla slot machine, gli chiede perché lui non lo faccia e lo scambio è eloquente e amaro al tempo stesso: "Non voglio vincere" "Perché?" "Non voglio perdere".
Il resto è dato dagli incontri con i diversi personaggi: immaginati, reali, non importa, sono stati certamente parte della sua vita. Una bellissima ragazza incinta (Cristina Chiriac, l'attuale compagna di Abel Ferrara) arriva nella baita con la nonna e mostra il proprio corpo nudo a Clint, con cui poi si allontana per fare l'amore; un'altra donna bionda (Dounia Sichov) attira l'attenzione del protagonista poiché ha numerose recriminazioni nei suoi confronti, è evidentemente la sua ex moglie, da cui ha avuto un figlio che sta giocando lì di fianco a loro (Anna, la figlia che Abel Ferrara ha avuto dalla Chiriac). I due si sono amati molto, forse si amano ancora, ma non riescono a fare a meno di dirsi l'un l'altro che si sono rovinati la vita stando insieme. Dopo di lei si alternano, in un'unica sequenza, i corpi di altre donne, amori e amanti di una vita. Gli amplessi, che fatalmente rimandano alle analoghe scene di Nymphomaniac - vol. 2, dove tra l'altro Dafoe interpretava L, culminano in una edipica trasformazione dell'ultimo corpo in quello della madre, cui il protagonista rivela i propri ultimi sensi di colpa ("mi dispiace non esserci stato alla fine"), ricevendo la più amorevole delle risposte materne.
Vediamo Clint anche mentre gioca con i soldatini facendo combattere un indiano e un cowboy, segno di un'analisi interiore giunta fino all'infanzia, così come partecipa ad un girotondo attorno ad un albero di maggio, decisamente più sereno di quello apparso poco tempo fa in Midsommar (Aster 2019).
C'è spazio anche per una sequenza onirica in una grotta in cui tramonta un sole degno di Apocalypse Now: gli evidenti tratti lynchiani aumentano quando appare una donna nana nuda che fa subito pensare alla versione femminile dell'indimenticato personaggio di Michael J. Anderson in Twin Peaks.
Più esplicite le figure che fanno da coscienza interiore a Clint. Una di questa gli appare riflessa nell'acqua, si tratta di un'altra versione di sé, in una sorta di reinterpretazione del mito di Narciso, in cui però il personaggio che indossa un cappello invernale e degli occhiali da minatore critica il protagonista ("tu non vivi nel mondo, ti sei isolato"). Il padre, che lo accusa dicendogli "tu hai colpe ben più gravi", gli appare anche nella sua attività di chirurgo di campo nel deserto. Un arabo, i cui discorsi, che suonano come sentenze, sono liberamente tratti da Così parlò Zarathustra di Nietzsche: "dormire non è arte piccola", ma soprattutto "lo stomaco è padre di ogni afflizione, ti disturberà di notte", detto come condanna per chi non ride almeno dieci volte al giorno. Un mago (Simon McBurney) gli dice che "è impossibile vivere senza la ragione", e infine un monaco (Fabio Pagano), iconograficamente apparentabile ad un apostolo della tradizione cristiana, gli ricorda "sei un comune mortale", consigliandogli "divertiti, sbaglia, muovi il culo, balla", una chiosa che permette ad Abel Ferrara di girare una sequenza che potrà diventare cult, con Willem Dafoe che balla a briglie sciolte. 
In un film come questo non può sorprendere nulla, nemmeno che un pesce parli, e chissà che anche quello sia un ricordo di Abel Ferrara, magari di L'ammiraglio è uno strano pesce (Lubin - Mckimison 1964), del pythoniano Il senso della vita (1983) o più semplicemente della favola di Pinocchio.

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