mercoledì 12 agosto 2020

Saluto a Franca Valeri (31/7/1920-9/8/2020)

"Della mia vita non cambierei nulla. Sono senza rimorsi, non ho fatto capricci e ho coltivato una solitudine traversa. Ma mi secca molto dover morire. Ho troppe cose da fare. Per fortuna, non si muore. Si vive sempre".
Andarsene con questa consapevolezza (tratta da L'educazione delle fanciulle: dialogo tra due signorine per bene, Luciana Littizzetto e Franca Valeri, 2011) sembra davvero un grande dono.

Alma Franca Maria Norsa, in arte Franca Valeri, era nata a Milano cento anni fa da una famiglia borghese: il padre, Luigi Norsa, ebreo, la madre Cecilia Valagotti, cattolica, erano stati inizialmente osteggiati dalla famiglia di lui.
Franca studiò al liceo classico Giuseppe Parini, al fianco di compagne di classe come Silvana Mauri, nipote di Valentino Bompiani, fondatore dell'omonima casa editrice. In questo milieu culturale, la giovanissima Franca si appassionò al teatro e superò i difficili anni della Seconda guerra mondiale, rimanendo a Milano con la madre, grazie ad una carta d'identità falsa che le permise di evitare la deportazione, mentre il padre e il fratello maggiore si rifugiarono in Svizzera.
Con Luciano Salce e Vittorio Caprioli
Conoscendo il contesto in cui visse in quegli anni, non sorprendono i ricordi dell'attrice su piazzale Loreto: "mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era davvero morto. E vuol sapere se ho provato pietà? No, nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo".
Dopo la guerra il suo primo personaggio, nel 1947, fu Lea Lebowitz, un'ebrea innamorata del rabbino, quindi entrò nella compagnia del Teatro dei Gobbi, dove conobbe Luciano Salce e Vittorio Caprioli, che diverrà suo marito (1960-74), mentre, a inizio anni '50, proprio su consiglio dell'amica Silvana Mauri, che stava leggendo un libro di Paul Valery, scelse lo pseudonimo con cui ha attraversato l'intera carriera. Nel 1951, invece, uscì per Mondadori il libro Il diario della signorina snob, fortemente voluto dall'amico Indro Montanelli, conseguenza del successo radiofonico del suo personaggio milanese.
Franca Valeri approdò al cinema nel 1950, quando esordì con Federico Fellini nel ruolo della coreografa ungherese Mitzy in Luci del varietà. Da lì, fino al 2012, ha partecipato ad oltre quaranta pellicole, commedie perlopiù, dirette da registi italiani: da Steno (Totò a colori, 1952; Piccola posta, 1955; L'Italia s'è rotta, 1976) a Mario Monicelli (Un eroe dei nostri tempi, 1955); da Eduardo de Filippo (Questi fantasmi, 1954) a Luciano Emmer (Il bigamo, 1956); da Luigi Zampa (La ragazza del Palio, 1958) a Dino Risi (Il segno di Venere, 1955; Il vedovo, 1959); da Mauro Bolognini (Arrangiatevi, 1959) a Mario Mattoli (Non perdiamo la testa, 1959); da Mario Camerini (Crimen, 1960) ad Alessandro Blasetti (La ragazza del bersagliere e Io, io, io... e gli altri, 1966); da Lucio Fulci (I maniaci, 1964) a Sergio Corbucci (Gli onorevoli e Il giorno più corto, 1963; Nel giorno del Signore, 1970; Non ti conosco più amore, 1980).
Con Vittorio Caprioli
Negli anni Sessanta recitò anche in alcuni film del marito, Vittorio Caprioli, in Leoni al sole (1961), in Parigi o cara (1962), nell'episodio La manina di Fatma, del film a più mani I cuori infranti (1963), in Scusi, facciamo l'amore? (1967).
Più sorprendente, invece, la sua partecipazione nei film di Nando Cicero, come Ultimo tango a Zagarol (1973), parodia cult di Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, e Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento (1983).
Da allora, solo un altro paio di apparizioni cinematografiche, in Tosca e altre due (Ferrara 2003), dove era anche autrice del soggetto, e, infine, nel cortometraggio Una commedia italiana che non fa ridere (D'Ascanio 2012).
Oltre la Signorina snob, di cui si è già detto, il suo nome, soprattutto alle latitudini romane, sarà per sempre un tutt'uno con la sora Cecioni, personaggio indimenticabile e divertente, sempre impegnata in lunghe telefonate con la madre.
E poi, tornando al cinema, i suoi duetti con Alberto Sordi rimarranno nella storia: quel contrasto Milano-Roma ancora vivo, sempre valido, reso comico dai due attori coetanei.
Con Steno, sono i due esilaranti nobilastri di Piccola posta (vedi); grazie a Dino Risi saranno Cesira e Romolo che ballano ne Il segno di Venere (vedi), ma soprattutto Elvira e Alberto ne Il vedovo (1 e 2), in cui Franca Valeri è la donna cinica e disillusa che dà del "Cretinetti" al marito, evoluzione imprenditoriale e affaristica della Signorina snob, ma priva del rotacismo che caratterizzava l'originale personaggio radiofonico e televisivo. Altrettanto indimenticabile, solo per citare un'altra apparizione magnifica, la scena a tre con Sordi e Manfredi sul treno per Montecarlo in Crimen di Blasetti (vedi).
Cara Franca, ovunque sarai, continueremo a immaginarti a telefono e a tener testa e a battibeccare  con arguzia, intelligenza e gusto, con i più grandi attori italiani!

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