sabato 15 agosto 2020

Matthias & Maxime (Dolan 2019)

Xavier Dolan non finisce di stupire e, in una straordinaria carriera con già nove film all'attivo, ci regala l'ennesima pellicola intensa, che forse non brilla immediatamente, complice anche un necessario avvicinamento dello spettatore ai personaggi, per poi prorompere nella seconda parte in cui l'empatia con i due protagonisti si fa totale (trailer).
Matthias Ruiz (Gabriel D'Almeida Freitas) e Maxime Leduc (Xavier Dolan) si conoscono sin dai tempi del liceo e fanno parte di un gruppo di amici storico con cui condividono ancora molto tempo. Matthias ha una compagna, Maxime è dichiaratamente gay e si appresta a partire per l'Australia, semplicemente "per cambiare aria": entrambi appaiono molto irrequieti.
Il disagio di Maxime lo si percepisce sin da subito, quando Dolan, senza l'ausilio di parole, lo mostra pensieroso e cupo mentre osserva un cartellone pubblicitario con una "famiglia perfetta", composta da una coppia eterosessuale e due figli, un maschio e una femmina.
Il tempo della storia è racchiuso nelle due settimane precedenti alla partenza di Maxime ed è scandito da capitoli introdotti da didascalie che rimandano ad essa.
Tutti i componenti del gruppo d'amici, fatta eccezione per Maxime, che ha una madre alcolista, sono membri dell'alta borghesia: Marc Antoine Rivette (cognome che è già di per sé una citazione cinematografica), per esempio, appartiene alla famiglia proprietaria della villa sul lago in cui tutti si ritrovano all'inizio del film, in una sorta di Partie de campagne (Renoir 1946) aggiornato ai giorni nostri e al Canada.
La sorella minore di Marc, Erika, invece, deve girare un breve cortometraggio per la scuola di cinema che sta frequentando: Maxime è l'unico ad accettare di partecipare come attore, mentre anche Matthias, che avrebbe volentieri evitato, è costretto a interpretare un ruolo a causa di una scommessa persa. La scena clou del corto sarà un bacio tra i due personaggi.
Date queste premesse, l'intera pellicola ruota attorno all'ambiguo rapporto tra i due e alla profonda difficoltà di Matthias di accettare la propria attrazione per Maxime. Tutto, peraltro, sembra andare in quella direzione, persino la fidanzata e la madre lo avvicinano all'amico anche quando lui vorrebbe svicolare da situazioni che continuerebbero a metterlo in difficoltà.
Matt non è mai sereno e appare sempre attanagliato dai pensieri. È in questo stato, ad esempio, che, durante il soggiorno nella villa dei Rivette, si allontana nuotando nel lago fino a perdersi, per poi tornare allo stremo delle forze. La crisi sulla propria identità sessuale non lo abbandona mai.
Dall'altra parte, anche Max vive grandi difficoltà, soprattutto familiari. Il terribile rapporto con la madre lo devasta: Manon (una superba e quasi irriconoscibile Anne Dorval, che torna a vestire i panni della madre in un film di Dolan, dopo J'ai tué ma mère, 2009, e Mommy, 2014) alterna stati d'umore e finisce sempre per scontrarsi con il figlio, costretto a subire non solo gesti e parole violenti, ma persino il confronto con il fratello Julien, idolatrato dalla madre, ma lontano e disinteressato alle sue condizioni.
Le madri degli altri ragazzi, invece, sono lo stereotipo delle donne attempate dell'alta borghesia: ricche, ben vestite, sempre intente in discorsi vacui e costantemente sorridenti, in un'indomita fiera dell'ipocrisia e del politicamente corretto. Le vediamo, ad esempio, chiacchierare di argomenti futili mentre Marc Antoine suona il pianoforte e, giustamente, si chiede "ma per chi suono?".
La formalità di alcuni contesti è sottolineata più volte dalla sceneggiatura di Dolan, che ripete il concetto grazie ad un altro personaggio, Kevin (Harris Dickinson), un collega di Toronto di Matthias che si lamenta di incontrare spesso ragazze scialbe che si sentono superiori solo perché laureate in storia dell'arte (sic).
Allo stesso Kevin viene riservato l'amaro e cinico monologo sulla difficoltà dei rapporti di coppia odierni, resi impossibili da una società basata sul possesso, in un mondo in cui questo ormai è sorpassato e inattuabile come un tempo, nella piena consapevolezza che in fondo "siamo animali, non persone" e "i rapporti funzionano finché non sentiamo altre spinte".
C'è tutto Dolan: le relazioni amorose, il rapporto figli-madri, una regia che non passa mai inosservata. 
Il regista cita più volte David Lynch. I titoli di testa riprendono Strade perdute (1997) con la mdp che corre lungo la linea di mezzeria, un motivo che tornerà più avanti e che, soprattutto nella versione con la linea interrotta, è metafora visiva della crisi di Matt e della difficile comunicazione, a tratti appunto, dei due protagonisti.
Non a caso, in una scena madre, Maxime dirà "bisogna parlare, io voglio capire", segno di un'esigenza improcrastinabile, da sempre rimasta inevasa. E ancora, molto più avanti, il giovane cineasta canadese utilizzerà la luce intermittente, difettosa, divenuta firma estetica lychiana per antonomasia, per raccogliere l'attenzione del pubblico per uno dei luoghi e dei momenti più importanti del film.
La regia, come sempre, è di alto profilo e, stavolta, ricorre con gran frequenza all'uso di surcadrage che inquadrano la scena nella scena. Tra questi, uno dei più belli è quello che mostra i due protagonisti che lavano i piatti attraverso un'apertura verticale sulla parete interna della cucina, sorta di finestra-passavivande.
La prospettiva centrale è un altro carattere ripetuto e, in uno dei casi più evidenti, il regista canadese lavora per addizione e mette la mdp davanti al cavalletto con la piccola telecamera con cui Erika sta girando il suo film, proprio al cospetto di Matthias e Maxime che, seduti sul divano, dovranno baciarsi, in una perfetta mise en scene che li vede uno a sinistra e uno a destra della telecamera inquadrata, mentre quella reale stacca un attimo prima che i due si bacino, ennesima interruzione di un contatto mancato e di cui restiamo costantemente in attesa.
Xavier Dolan, come in altri film, gira diverse sequenze come se fossero dei videoclip. Scorrono, così, immagini di feste al ralenti, stop motion e altri effetti, accompagnati da brani della colonna sonora utilizzata in funzione diegetica. Una delle sequenze più significative in tal senso è quella prima della festa per la partenza di Maxime. Matthias vorrebbe evitare di continuare la serata, dati i suoi pensieri, e dichiara alla sua compagna, Sarah (Marilyn Castonguay), di voler prendere le distanze dagli altri, ma lei lo convince e lo accompagna con la sua auto, certa che troverà un passaggio per il ritorno.
In strada, ad un semaforo, affiancano la macchina degli amici ed entrambi i guidatori abbassano i finestrini: dalla seconda proviene la musica pop francese di Amir (J'ai cherché), a tutto volume: tutti cantano e ballano, Sarah compresa, mentre Matthias e Maxime si guardano fissi.
Matt, poco più avanti, sempre più agitato e dopo aver creato tensioni con gli amici durante la festa, arrivando persino a chiamare "macchia", in segno dispregiativo, Max, per la sua vistosa voglia su una guancia, va a fumare fuori e qui Dolan trasforma il momento in uno dei più belli del film, con il protagonista al centro della strada, di notte, avviluppato dalle foglie che il vento gli fa girare intorno, mentre ancora la musica fa da sottofondo perfetto, e stavolta è quella del piano di Jean-Michel Blais, con Les feuilles mortes. I toni dolci e struggenti del musicista autore dei brani originali, tornano anche in brani come Le lac e Le souper, anch'essi con titoli che rimandano alle rispettive sequenze.
La colonna sonora, però, alterna di tutto, dai sintetizzatori dei Dyan (Looking for knives) a Britney Spears (Work b**ch), da canzoni francesi degli anni Sessanta come Il suffirait de presque rien di Serge Reggiani, a brani con titoli evocativi e perfettamente in sintonia con gli stati d'animo dei protagonisti del film, come il blues di Rosetta Tharpe Trouble In Mind, o un classico anni '80 come Always on my mind dei Pet Shop Boys, a sua volta cover di Elvis Presley.
Matthias & Maxime è una pellicola sul silenzio nelle relazioni, che evidenzia come in casi del genere sia lasciato tutto all'interpretazione del singolo. La tristezza, le lacrime, l'incomprensione sono all'ordine del giorno in relazioni disfunzionali come queste. Se, però, la persona maggiormente in difficoltà scopre che l'altro fa di tutto per vederlo restare nella stessa città, la nebbia improvvisamente può diradarsi...

1 commento:

  1. Davvero un gran film, concordo! È stato pure il primo film che ho visto al cinema post-quarantena... memorabile!

    Ho aggiunto un link alla tua ottima recensione sotto quella che ho scritto io sul blog! :--)

    RispondiElimina