giovedì 9 maggio 2019

I fratelli Sisters (Audiard 2018)

Con un titolo irriverente, che in originale suona chiaramente più faceto (The Sisters Brothers), Jacques Audiard approda ad Hollywood con un western degno dei fratelli Coen, per tenore, atmosfere e qualità della sceneggiatura, scritta dal regista francese con Thomas Bidegain, a partire dall'omonimo romanzo di Patrick De Witt del 2011 (nell'edizione italiana Arrivano i Sister) (trailer). 
E pensare che tra gli anni '80 e il 2000 si riteneva che il western fosse finito poiché, fatta eccezione per Gli Spietati (Eastwood 1992) e poco altro (es. Balla coi lupi - Costner 1990), uno dei grandi generi autoctoni statunitensi non aveva prodotto granché e si credeva non avesse più nulla da dire. Da allora film come Appaloosa (Harris 2008), The Hateful Eight (Tarantino 2015), e proprio il recentissimo e coeniano La ballata di Buster Scruggs (Coen 2018), hanno invece dimostrato come il genere, seppur aggiornato e rivisitato, non sia affatto morto.
Oregon 1851, Eli (John C. Reilly) e Charlie Sisters (Joaquin Phoenix) vagano per il paese lavorando come sicari per difendere gli averi del commodoro (Rutger Hauer). I due fratelli hanno temperamenti opposti, riflessivo e razionale il primo, impulsivo e istintivo il secondo, che ha ereditato dal defunto padre anche il vizio di bere.
A distanza collabora con loro Morris (Jake Gyllenhaal), cercatore d'oro che dopo alterne vicende stringe un sodalizio con Warm (Riz Ahmed), un chimico sedicente custode di una preziosa formula alchemica, nonché vagheggiatore di un futuro socialista di falansteri da realizzare a Dallas. Ed è proprio la voce off di Morris che fa da narratrice della storia, complice la redazione di un diario di viaggio.
Le due coppie, dopo una prima parte in cui si muovono parallelamente, si incontrano unendo i propri destini e portando il film ad un finale altrettanto doppio, inaspettato, tra dramma e serenità... 

Bellissima la sequenza iniziale con cui Audiard presenta la coppia di fratelli protagonista: i due sparano nottetempo in una casa isolata, i cui ambienti sono illuminati solo grazie alle lanterne che tengono in mano Eli e Charlie, che dalla stalla vedono fuggire un cavallo in fiamme, che tanto ricorda un medievale Trionfo della morte.
E che la storia dell'arte sia ben chiara ad Audiard appare evidente anche nella messa in scena del sogno di Eli, un incubo in cui viene ucciso dal padre con un'ascia, in stile Caino e Abele.
È sempre il fratello maggiore dei Sisters ad essere protagonista di momenti metacinematografici e meta-attoriali: in una stanza al piano superiore di un saloon chiede ad una prostituta di recitare una parte come premessa del loro incontro sessuale; mentre un immancabile pensiero a C'era una volta in America arriva puntuale quando Eli sveglia Charlie stordito dall'alcool e dall'oppio, proprio come De Niro allora, con al suo fianco una donna che ha in mano delle silhouette per le ombre cinesi, oggetto identitario del celebre film di Sergio Leone. Un ultimo riferimento cinefilo è nella figura della signora Sisters (Carol Kane), la mamma dei protagonisti, amorevole e protettiva come la Ma' Barker di cormaniana memoria (Il clan dei Barker - Corman 1970): spara a chi si avvicina, mette i figli nella tinozza per lavarli, ma garantisce loro la pace della casa di famiglia.
Alcune gag non fanno che accrescere la sensazione di essere in un film dei fratelli Coen. Tra queste, un posto speciale meritano le reazioni sorprese di Eli di fronte agli ultimi ritrovati per l'igiene: in un emporio scopre l'esistenza di spazzolino e dentifricio, da cui non si separerà più; a San Francisco, poi, la stanza superaccessoriata ha un bagno con tanto di sciacquone, davvero incredibile per chi viene dal "selvaggio west". Decisamente coeniana è anche la sequenza in cui, durante una notte all'addiaccio, Eli, dormendo a bocca aperta, ingoia un grosso ragno. E, infine, da segnalare un paio di battute folgoranti in sceneggiatura, il gioco di parole tra un possibile futuro compagno di Charlie, che si chiama Rex, e la frase di Eli, "parla come una cane!"), e, soprattutto, subito dopo l'uccisione della potente Mayfield (Rebecca Root) nell'omonima città, Charlie saluta gli astanti con un esilarante "ora potete cambiare nome a questa cazzo di città".
Nel film di Audiard c'è tanto del western classico, il viaggio, la ricerca della fortuna e dell'oro, le alleanze che possono saltare da un momento all'altro (non ci si può mai fidare di nessuno); l'ironia della commedia dissacrante.
Il tutto condito da un'ottima regia, leone d'argento a Venezia - si pensi alla soggettiva audio dei fratelli Sisters catturati sotto una grossa coperta -, da grandi prove interpretative, su tutti un fantastico Joaquin Phoenix - indimenticabile peraltro la sua immagine col cappello con coda di procione alla Davy Crockett -, dalla bella fotografia di Benoît Debie, nonché dalla preziosa colonna sonora di Alexandre Desplat, con brani d'atmosfera come Duplicity, Gold! e soprattutto la title track The Sisters Brothers! dal ritmo incalzante.
Un film da non perdere!

1 commento:

  1. Un gran bel film, peccato rovinato da un doppiaggio italiano molto scadente. Il doppiaggio, che una volta era una grande risorsa del nostro cinema, si sta impoverendo progressivamente a causa di una dizione troppo marcatamente romanesca perdippiu proveniente dai quartieri borghesi della città.

    RispondiElimina