venerdì 17 maggio 2019

Cafarnao - Caos e miracoli (Labaki 2018)

"Voglio fare causa ai miei genitori per avermi messo al mondo": è questa la frase più devastante della sceneggiatura scritta dalla regista Nadine Labaki e da Khaled Mouzanar per Cafarnao, storia di crudo realismo ambientata nei quartieri più poveri di Beirut, candidato all'Oscar come miglior film straniero, e il cui titolo allude all'espressione francese usata antonomasticamente per 'caos'.
A pronunciarla è il protagonista, il dodicenne Zain El Hajj (Zain al-Rafeea), arrestato dopo aver accoltellato un uomo che ha sposato la sorella undicenne, Sahar (Cedra Izam), alla quale è particolarmente legato. Da qui il lungo flashback con cui viene raccontata la storia che lo ha condotto fino a quella situazione.
La sua vita è terribile: alla sua età lavora come tuttofare, chiede di andare a scuola, ma i genitori glielo impediscono e l'unica spinta ad accontentarlo, da parte della madre, è dettata dalla possibilità di ricevere cibo e vestiti per gli altri figli dalle famiglie degli studenti meno poveri di loro. Il padre, invece, non gli dà alcuna speranza e gli farà capire, anche con le cattive, di doversi abituare a quella vita, perché per gente come loro non ci sono alternative.
La mdp indugia sul volto e sulle espressioni del ragazzo, in una maniera che alle nostre latitudini non può non far pensare al lavoro di Vittorio De Sica con Bruno - Enzo Staiola in Ladri di biciclette (1948) o con Pasquale - Franco Interlenghi e Giuseppe - Rinaldo Smordoni di Sciuscià (1946).
Zain, come tutti i bambini che crescono senza vivere l'infanzia e che all'inizio vediamo giocare in strada con finti mitra di legno, è ben più maturo della sua età: prova a nascondere il sopraggiungere del primo ciclo mestruale della sorella, consapevole che altrimenti i genitori la darebbero subito in sposa. Non può opporsi a questa mentalità, anche perché tutta la famiglia è praticamente proprietà di Assad, l'uomo a cui viene "offerta" Sahar, ma quando questo accade se ne va. Qui inizia un'altra fase della sua vita, conosce Rahil (Yordanos Shiferaw), una bella ragazza madre che fa le pulizie in un luna park, nascondendo Yonas, il figlio di pochi mesi, per non perdere il posto. Zain diventerà il baby sitter del bambino, entrando a far parte di una famiglia davvero sui generis che vive all'interno della baraccopoli di Beirut.
Labaki segue Zain ovunque, anche con la camera a mano, ne coglie le azioni più istintive, come quando nel luna park scopre il seno di una grande donna-giostra, ma anche le soluzioni ai problemi pratici: riesce a prendersi cura di Yonas anche quando Rahill sparisce; inventa lavori, riesce a vendere l'invendibile, compra il latte in polvere anche se non sa esattamente come usarlo. Cammina per il suk e non lascia mai solo il bambino, che porta con sé anche grazie a improbabili carrozzine create con vecchie pentole. Fortemente poetico è il momento in cui, per smettere di farlo piangere, riesce a distrarlo doppiando un cartone animato riflesso dalla tv di qualche vicino, un'immagine che oltre al lirismo è anche metafora di quanto per loro sia possibile aspirare solo ad una versione scialba della realtà.
Merita un accenno l'unico personaggio da commedia dell'intero film: è un anziano signore che lavora al luna park, si fa chiamare l'Uomo scarafaggio, indossa un costume de l'Uomo ragno, e ricorda moltissimo l'indimenticato Carlo Pisacane, per tutti il Capannelle de I soliti ignoti (Monicelli 1958), tenero, involontariamente comico e davvero surreale.
Non si può infine dimenticare la lunga serie di improperi di Zain in tribunale contro la vita: "la vita è merda di cane, la vita è una puttana, Dio vuole che siamo tappetini da calpestare", e ancora "sono stufo di quelli che non sanno occuparsi dei propri figli", una chiara allusione ai suoi genitori, che subito dopo chiama in causa in maniera ancora più diretta, "voglio che la smettano di fare figli".
Eppure il volto di Zain si aprirà in uno splendido sorriso, segno di speranza per un futuro diverso...

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