giovedì 28 febbraio 2019

Green Book (Farrelly 2018)

Victor Hugo Green (1892-1960) non avrebbe mai pensato che la sua particolare guida stradale per neri sarebbe un giorno diventata il titolo di un film, figurarsi poi se avrebbe potuto solo immaginare la vittoria dell'Oscar (trailer).
Tutto questo è successo ed è proprio una copia di The Negro Travelers' Green Book, pubblicato dal 1936 al 1966 per aiutare la popolazione nera statunitense a muoversi in un paese che, soprattutto negli stati del sud, era profondamente razzista, viene consegnata all'inizio del film a Tony 'Lip' Vallelonga (Viggo Mortensen), buttafuori italoamericano non esattamente politically correct, che farà da autista al pianista afroamericano Don Shirley (Mahershala Ali).
Tratta da una storia vera, la pellicola è stata scritta dal regista in collaborazione con Brian Hayes Curriecon e con il figlio di Vallelonga, Nick, ma la visione dal punto di vista dell'"uomo bianco" ha causato le proteste della famiglia di Shirley, cui sono giunte le scuse di Mahershala Ali per gli eventuali svisamenti (leggi).
Il film è piacevole, indubbiamente edificante (e sappiamo quanto ci sia bisogno di spiegare negli Stati Uniti e nell'Europa di oggi anche ciò che appare ovvio), positivamente sentimentale e, anche se dal punto di vista registico non ha grandi sussulti, le prove di Mahershala Ali, al suo secondo Oscar in pochissimi anni (il primo lo aveva vinto per il bellissimo Moonlight - Jenkins 2016), e soprattutto di un eccezionale Viggo Mortensen, lo pongono ampiamente al di sopra della media.
Vedere un attore danese, peraltro un sex symbol come lui, trasformarsi in un perfetto personaggio scorsesiano, un ideale fratello di James Gandolfini ne I Soprano, con tanto di forme imbolsite e canottiera, è indubbiamente uno dei massimi punti di interesse dell'intero film, un Oscar davvero meritato che, come spesso capita agli Academy Awards, è stato invece dato ad altri.
Un film semplice, di buoni sentimenti, di cui c'è tanta necessità in questo momento storico, e con due straordinari interpreti.
Di fatto un road movie, che coincide con la tournée che nel 1962 il tormentato Don Shirley si autoimpone proprio per testare dalla sua posizione, comunque privilegiata, luoghi decisamente poco accoglienti per un uomo di colore. Shirley è un pianista di musica classica, vissuto totalmente al di fuori della società reale, in una gabbia dorata fatta di ricchezza e cultura, lontanissimo dalla realtà di coloro che invece Tony, abituato a dividere le persone per categorie, considera la "sua gente".
Il contrasto tra i due è la vera essenza del film e la conferma, non certo una novità narrativa, che dal confronto entrambi possano imparare qualcosa, non solo chi economicamente e culturalmente è in una condizione di svantaggio.
Mahershala Ali e il vero Don Shirley
Tony viene dal Bronx, dove vive in una chiassosa famiglia italiana, di cui la moglie e il figlio sono solo parte di una moltitudine di persone; ha appena perso il posto come buttafuori al Copacabana, importante nightclub della città, e, per guadagnare qualche soldo, è in grado di vincere sfide come mangiatore seriale di hot dog.
Tony è sinceramente razzista: chiama gli afroamericani "melanzane", gli orientali "musi gialli" e se sua moglie offre dell'acqua agli operai neri che hanno appena eseguito un lavoro in casa, butta i due bicchieri nella spazzatura senza nemmeno pensarci.
È per questo che quando si ritrova ad un colloquio di lavoro in cui scopre che il capo sarà un musicista nero, al quale dovrà fare da autista e guardia del corpo, Tony ringrazia e torna a casa, ma l'esigenza, la paga e, non ultima, la capacità di Don, che arriva a chiamare la moglie Dolores (Linda Cardellini) per convincerlo, alla fine avranno la meglio.
Il loro viaggio è un susseguirsi di situazioni che inizialmente non fanno altro che confermare l'impossibilità di una comunicazione tra i due. Ancora prima di partire, quando Don gli dice che forse non è un lavoro adatto ad uomini sposati, Tony risponde immediatamente "perché, porti le ragazze?".
Don è integerrimo e non sembra capace di compiere alcuna scorrettezza, Tony invece può rubare un oggetto anche solo per il gusto di farlo; il primo non ha mai mangiato il pollo fritto con le mani, il secondo, che lo fa senza remore anche mentre è alla guida, esaltandosi alla possibilità di mangiare quello del KFC proprio in Kentucky, riuscirà a farglielo assaggiare. Tony è sboccato - e spesso lo è in italiano anche nella versione originale - ed è curioso di vedere Pittsburgh perché vuole constatare che il nomignolo Tits-burgh, la "città delle tette", le sia stato assegnato per un motivo; Don non sorride mai e le sue serate in albergo si limitano a riflettere e bere un'intera bottiglia.
L'autista si farà presto un'idea diversa del suo datore di lavoro: i preconcetti razziali lasceranno spazio all'ammirazione per l'artista e per la correttezza dell'uomo, qualità a cui non è mai stato abituato, e col tempo inizierà a non tollerare, negli altri, gli atteggiamenti che fino a poco tempo prima avrebbe potuto avere anche lui stesso. Allo stesso tempo, però, non può fare a meno di notare quella malinconia di Don che sintetizza in una lettera alla moglie: "Non sembra così divertente essere intelligente".
Sempre più spesso Tony riesce ad essere utile a Don: gli fa ottenere quanto pattuito nei contratti nonostante qualcuno prenda poco sul serio i dettagli; lo tutela dal razzismo più becero e dalle contraddizioni più incomprensibili di chi esalta il pianista ma ghettizza l'uomo, escludendolo dalle camere d'albergo o dalle cene a cui partecipa lo stesso pubblico che ascolterà i suoi brani; lo tira fuori dai guai quando la sua omosessualità rischia di accrescere in maniera esponenziale l'odio nei suoi confronti. Riesce, infine, a farlo divertire pienamente facendogli suonare jazz in un locale per soli neri, in cui Don scopre che alla musica alta può alternare anche quella popolare e d'intrattenimento.
Mahershala Ali è ormai uno dei più grandi attori in circolazione e lo dimostra ancora una volta: comunica classe ed eleganza ad ogni movimento, ma allo stesso tempo anche la rigidità del suo personaggio e il suo sentirsi "sbagliato" costantemente, fatta eccezione quando è al pianoforte.
Viggo Mortensen recita anche con gli occhi e con il corpo, come dimostra la divertentissima gag in cui il maggiordomo indiano di Don Shirley porta i bagagli in strada per caricare l'auto e Tony ingaggia con lui un lungo e silente duello per chi dovrà fare l'ultimo passo...
Anche la colonna sonora merita attenzione: a Kris Bowers, giovane compositore afroamericano, si devono le poche musiche originali (es. Water boy), ma è soprattutto la serie di pezzi che contestualizzano la storia all'inizio degli anni sessanta a convincere. Oltre ai brani classici suonati da Don (Debussy, Satie, ecc.), durante il film ascoltiamo 37 brani (ascolta) tra i quali quelli dei Blackwells (You took advantage of me), di Bob Kelly (Mmm Love), di Timmy Shaw (Throw it out of your mind), dei Clovers (One Mint Julep), di Bobby Page & The Riff Raffs (I Love My Baby), fino alle natalizie The Christmas Song (Nat King Cole), Santa Claus is Comin’ to Town (Frankie Valli & The Four Seasons) e Have Yourself A Merry Little Christmas (Frank Sinatra).
Il film è molto didascalico: si pensi al momento in cui la Cadillac sulla quale viaggiano i due protagonisti si ferma e, mentre Tony è piegato nel cofano per ripararla, Don guarda i campi circostanti incrociando gli sguardi di molti uomini neri che lavorano la terra e che lo osservano con disappunto. Come dirà molto chiaramente in uno dei pochi momenti di sfogo, Don non si sente accettato da nessuno: dai bianchi per ovvi motivi, ma anche dai neri che lo vedono solo come un benestante dell'alta società. Le sue sofferenze sono continue e la stessa scelta di effettuare quel tour è l'ennesimo tentativo di scendere verso l'abisso, da cui solo la leggerezza e la schietta semplicità di Tony possono salvarlo.
In cambio di tutto questo, Don lo aiuterà a scrivere lettere più romantiche alla moglie evitando di raccontarle esclusivamente cosa abbia mangiato durante i pasti.
La loro amicizia, che troverà nel finale natalizio degno de La vita è meravigliosa (Capra 1946) la massima espressione, diventa concreta dopo uno scontro in cui la differenza di classe supera quella del colore della pelle, con Tony che urla a Donald un eloquente "io sono più nero di te".
E poco importa se per lui Chopin sia solo un certo Joe Penn...

2 commenti:

  1. Aggiungerei la bellezza delle 37 canzoni, la splendida fotografia, le mitiche automobili americane di quegli anni, che si vedono ancora oggi a Cuba, la perfetta rappresentazione della comunità italiana, la commovente battuta di Don che dice a Tony 'suono solo se me lo dici tu', la splendida reazione di Tony quando scopre l'omosessualità di Don. Non darei alcuna importanza alle polemiche fatte dalla famiglia di Don, perché le esigenze artistiche vengono sempre prima della realtà

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  2. Consiglio in parte seguito... grazie!

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