sabato 16 febbraio 2019

Il primo re (Rovere 2019)

La leggendaria fondazione di Roma tra violenza, potere e religione. Matteo Rovere realizza un film che unisce realismo ed epica, sostenuto dalla splendida fotografia di Daniele Ciprì e paradossalmente reso ancora più credibile dalla scelta di far recitare gli attori in protolatino.
Tematica e risultato finale lo rendono un prodotto perfetto per superare i confini nazionali. Borghi e Lapice funzionano e bene.
La pellicola, per la crudezza di alcune immagini, può far pensare ad opere come The Revenant (Iñárritu 2015), Gangs of New York (Scorsese 2002), con cui condivide anche il soggetto incentrato sulla fondazione di una città, e La passione di Cristo (Gibson 2004), con il quale ha in comune l'uso filologico di un'antica lingua, allora l'aramaico.

La storia di Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) ha inizio in una natura non antropizzata, con i due fratelli vestiti di pelli e dediti alla pastorizia catturati da una tribù di Alba, che li rende schiavi e li costringe a lottare uno contro l'altro. Sarà proprio grazie a loro che si attuerà la rivolta che rovescerà il potere che finirà nelle mani di Remo, mentre il fratello, rimasto ferito, non potrà unirsi alla guida della comunità. Proprio in quest'occasione per la prima e unica volta, attraverso un flashback, vediamo Rea Silvia che, prima di abbandonarli, si raccomanda con i figli di prendersi cura l'un dell'altro.
Remo terrà con sé anche la vestale (Tania Garribba) che salvaguarda la fiamma del braciere sacro, simbolo concreto della presenza divina al suo fianco. Il ruolo imponderabile della religione è precisato sin dalla frase posta a esergo del film, "Un Dio che può essere compreso non è un Dio", citazione da William Somerset Maugham, che meglio di ogni altra si attaglia ad un'epoca in cui ogni evento veniva connesso alla sfera divina. Così accade a Romolo, da tutti considerato maledetto perché malato, e sarà la stessa vestale, interprete del volere divino, a profetizzare la fondazione di un impero ma anche che "fratello ucciderà fratello".
La leadership di Remo diverrà presto indiscutibile e a confermarlo interviene anche la sceneggiatura con un "mangiate tutti" che appare una sorta di vidimazione cristologica del capo, quando questo, dopo aver preso il cuore di un cervo per darlo al fratello, lascia il resto dell'animale agli altri.
Sarà proprio la religione a distanziare i ruoli dei due fratelli: Romolo, infatti, rimarrà legato al vecchio culto, nominando una nuova vestale per custodire il fuoco sacro e seppellendo il sacerdote della popolazione conquistata, mentre Remo, ormai completamente ebbro di potere, passerà a credere di essere artefice del proprio destino, di poter diventare lui stesso quel fuoco fino ad allora creduto divino, fino a dire al fratello che "il potere si regge sulla paura", segno che quel delirio è ormai trasformato in dittatura.
La vittoria contro i temibili uomini di Alba, in una sanguinosa battaglia nella palude sulla riva destra del Tevere, sarà l'ultima dei due uniti, poiché subito dopo avverrà il celeberrimo scontro, con Romolo che non accetterà di chinare il capo davanti al fratello che, in punto di morte, gli affiderà il compito di costruire una città sicura al di là del fiume...  
La scelta delle location è stata molto accurata nonostante la troupe sia rimasta all'interno del Lazio, girando in due grandi parchi naturali quali quello dei Monti Simbruini e quello dei Monti Lucretili; al Monte Cavo e la via Sacra all'interno del Parco dei Castelli Romani; nella zona etrusca di Veio, del Monte Ceraso e dell’Isola Farnese; nella Riserva dell’Aniene, in quella di Decima Malafede e di Tor Caldara ad Anzio; infine al Parco del Circeo, dove il magnifico Bosco di Foglino, con il Vallone Cupo e il Fosso delle Trenta Rubbie, è oggi solo una piccola parte dell'antica foresta che un tempo si estendeva lungo il litorale tra Roma e Napoli.
Nulla è lasciato al caso e il cosiddetto Lago dei Monaci, il più piccolo di quelli della costa del Circeo, fa da sfondo all'ultima parte della pellicola, con la palude che fiancheggia una distesa d'acqua al centro della quale si vede una fazzoletto di terra in superficie, evidente allusione alla futura Isola Tiberina.
Anche i titoli di coda meritano un accenno, poiché se il film si chiude ovviamente al 21 aprile 753 a.C., mentre i titoli scorrono la storia va avanti negli anni e soprattutto nello spazio, con un'antica cartina geografica che si tinge di rosso (il sangue versato per le conquiste?) evidenziando l'espansione dell'impero romano.
La fotografia di Daniele Ciprì è l'indubbio capolavoro del film e uno dei principali elementi che lo rendono di livello superiore alla media dei prodotti cinematografici italiani. 
La mdp immortala fasci di luce solare che penetrano tra gli alberi, lapilli di fuoco che si staccano dalla fiaccole e volteggiano in aria, mentre la regia la fa spesso alzare con dei movimenti dolly (oggi probabilmente droni), che conferiscono il carattere epico di alcuni dei momenti maggiormente significativi della vicenda. 
Al suo quarto film Matteo Rovere fa centro, non c'è che dire, ora non resta che augurargli di mantenere questo livello e questa qualità che non fanno sfigurare la sua pellicola al cospetto dei colossal epici statunitensi.

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