mercoledì 13 giugno 2018

Doppio amore (Ozon 2017)

Il tema del doppio e il cinema: ennesimo atto. François Ozon si lascia avvolgere da un groviglio di citazioni ed allusioni hitchcockiane e non solo (si pensi a De Palma e Cronenberg su tutti), forse a discapito della storia, ma per chi ama il genere, è un piacere perdersi nei meandri del suo ultimo film (trailer).
In Amant double, questo il titolo originale, Chloe (Marine Vacth) è una bellissima ex modella, in un momento di particolare fragilità. È nata da una notte di sesso di sua madre, Sandrine Shenker (Jacqueline Bisset), e questo non migliora la sua autostima, e così la sua fragilità la porta ad innamorarsi del proprio psicoterapeuta, Paul Meilleur (Jérémie Renier).
Dopo le prime inevitabili resistenze ad accettare una relazione di questo tipo, i due iniziano a convivere ma presto Chloe scopre che la vita del suo compagno nasconde delle parti su cui prova a indagare... 
Paul sembra avere un altro cognome, Delord, e soprattutto un gemello, Louis, psicanalista anche lui, che Chloe inizialmente crede essere il proprio fidanzato. La ragazza è ormai completamente invischiata nell'ansia di voler comprendere, ma andare in terapia da Louis, che la diagnostica frigida, senza mai citare Paul, complicherà le cose, così come la loro inevitabile attrazione...

Ozon apre la pellicola con un'ellissi che avrebbe deliziato Alfred Hitchcock, passando dal dettaglio di una visita ginecologica ad un occhio verticale, per poi evidenziare diversi momenti che rimandano ai celebri doppi della storia del cinema: Chloe taglia i capelli come Madeleine-Kim Novak in Vertigo (1958) per esempio, e allo stesso film allude l'inquadratura delle scale che la protagonista percorre per raggiungere lo studio dello psichiatra. A tutto questo si aggiunga che in una delle prime sedute Chloe racconta al medico che da bambina sognava di avere una gemella, e la memoria va subito a Le due sorelle (De Palma, 1973). 
Il regista francese usa spesso lo split-screen, immagine doppia dal punto di vista tecnico (amata da Brian De Palma) e, ça va sans dire, pone la splendida Marine Vacth davanti a specchi che la riflettono e la moltiplicano. Allo stesso modo, in questa continua ripetizione del doppio, anche il protagonista maschile, con il suo gemello con cui inconsapevolmente condivide le proprie conquiste, non può non far pensare al magnifico Inseparabili (Cronenberg 1988), con Jérémie Renier che qui raccoglie la pesante eredità di un gigante come Jeremy (anche il caso a volte è citazionista) Irons. Come in quel caso, peraltro, non può mancare una sequenza in cui i due fanno contemporaneamente sesso con la protagonista, in un amplesso perfetto che ingloba i temperamenti totalmente opposti dei due, romantico e amorevole uno, rapace e sessualmente travolgente l'altro. Il giudizio materno moralistico ricadrà pesantemente su Chloe, alla quale Sandrine dirà a brutto muso "sei solo una puttanella" e "a te è piaciuto".
I diversi approcci con l'altro sesso dei fratelli vengono sottolineati anche dalla sceneggiatura, che si sofferma a distinguere, anche attraverso una metafora felina, il soggetto dominante da quello dominato. Indicativo, in tal senso, che l'irruento Louis, durante una delle sedute con Chloe, affermi che "chi desidera ma non agisce, alleva pestilenza", citando uno dei proverbi infernali di William Blake.
Sono ancora cronenberghiane l'attenzione morbosa alla primogenitura, rivendicata da Louis uscito dal corpo della madre di testa, anche se un quarto d'ora dopo il fratello podalico, così come lo scambio di identità dei due gemelli, nonché il personaggio di Sandrine, ex fidanzata di Paul, ridotta in uno stato vegetativo, poiché sconvolta dalla relazione con Louis.
Chloe non riesce a interrompere la doppia relazione con quest'ultimo ed è fatalmente attratta da entrambi i fratelli, come ribadisce il nuovo ricorso allo split screen e il sogno di se stessa con i due gemelli bambini, rimando all'immaginario di Diane Arbus, alle cui foto rese omaggio anche lo Stanley Kubrick di Shining (1980) con le iconiche e inquietanti gemelle che apparivano al piccolo Danny.
L'evoluzione sessuale di Chloe, sorta di horror vacui simile a quello narrato da Lars Von Trier in Nymphomaniac 1 e 2), arriva ad una sintesi in cui i due fratelli possono essere scambiati vicendevolmente, tanto da eccitarsi parlando di strap on con uno dei due, mettendo però in pratica la fantasia con l'altro.
La presenza contemporanea di entrambi, nella sequenza in cui Chloe è armata di pistola e li vede riflessi e ripetuti negli specchi, permette a Ozon di citare anche La signora di Shangai (Welles 1947), che già Woody Allen aveva riprodotto in maniera più fedele in Misterioso omicidio a Manhattan (1993). Proprio lo specchio è l'elemento liminale tra il mondo reale e quello fittizio, che ripete ma al tempo stesso inganna, motivo per cui l'autodeterminazione di Chloe passa proprio per la simbolica rottura di uno specchio.
Tutto, infatti, resta profondamente ambiguo, come in un film di Polanski, e, fino in fondo, allo spettatore non viene concesso di conoscere i dettagli della vicenda, per la cui rivelazione sarà fondamentale il ruolo del personaggio di Sandrine che irrompe in scena sentenziando che "amare non ha mai salvato nessuno"...

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