martedì 19 giugno 2018

L'atelier (Cantet 2017)

La creazione letteraria come territorio di confronto culturale, politico, etnico. 
Il film di Laurent Cantet, divenuto famoso con La classe (2008), è scritto insieme a Robin Campillo, apprezzato regista del recente 120 battiti al minuto (2017), e racconta di un gruppo di ragazzi che seguono un corso estivo di scrittura, il workshop del titolo originario, inspiegabilmente francesizzato dall'edizione italiana, tanto più in uno dei pochi casi in cui i transalpini avevano scelto un termine inglese (trailer).
La pellicola non raggiunge le vette de La classe, vincitore della Palma d'oro a Cannes quell'anno, ma tocca corde simili, approfondendo la convivenza tra ragazzi di origini diverse, tutti ormai parte dello stesso paese, tra integrazione e razzismo usato come prima forma di intolleranza quando non si hanno argomenti da contrapporre.
A La Ciotat, cittadina sul mare in Provenza, gli allievi di Olivia Dejazet (Marina Foïs) dovranno scrivere un romanzo thriller, un genere sulle cui potenzialità i sette ragazzi sono invitati a riflettere e a confrontarsi.
Il loro immaginario è perlopiù influenzato dalle serie tv statunitensi, come CSI, e dai luoghi comuni, come la scelta del kalashnikov come arma letale. Dalle loro parole, il romanzo che si viene a delineare avanza per immagini in movimento, di fatto è molto cinematografico, complice evidentemente la visione che dello stesso hanno gli sceneggiatori. Una delle possibilità dell'omicidio attorno al quale ruoterebbe la storia viene direttamente mutuato da Scarface, ovviamente nella versione più recente di De Palma (1983), di cui i ragazzi ricordano perfettamente la sequenza in cui Al Pacino viene crivellato di colpi!
Eppure, rispetto a questa modernità visiva, suona fuori dal coro la frase di una delle ragazze, Malika (Warda Rammach), che con una certa nostalgia per gli intrighi da giallo classico dichiara che "il DNA mi ha stufato, distrugge tutto il mistero".
La piccola classe è composta da cinque ragazzi francesi di seconda generazione, nati da genitori extracomunitari, e due che mostrano dei comportamenti opposti nei loro confronti: Antoine (Matthieu Lucci) li considera un pericolo e non perde occasione per arrivare allo scontro; Etienne (Florian Beaujean), invece, è molto più pacificato con le differenze.
Il gruppo è compatto nel considerare l'insegnante molto distante, e si parla di lei come di una parigina altolocata, buonista e che in fondo è lì per essere pagata durante le vacanze. Il pensiero su Olivia non tarda a divenire esplicito e alla domanda diretta, "perché una scrittrice come lei perde tempo qui?", la donna precisa di voler trasmettere ciò che sa fare meglio, dimostrando invece la propria vocazione didattica.
A considerarla più di una semplice insegnante e a rimanere affascinato da Olivia anche come donna è Antoine, forse il più dotato del gruppo dal punto di vista letterario, ma il cui temperamento taciturno e riflessivo trova sfogo in interessi non proprio rasserenanti. Passa, infatti, il proprio tempo libero seguendo filmati on line del nazionalista e populista Luc Borel e vagheggiando un futuro nell'esercito. Sul braccio un'aquila tatuata evidenzia i propri orientamenti politici.
Non a caso l'incipit del romanzo di Antoine è molto violento, ai limiti del pulp, pur se scritto molto bene, e la caratterizzazione razziale data al racconto porta allo scontro con Boubacar (Mamadou Doumbia), il ragazzo musulmano e di palese origine africana, che Antoine provoca dandogli a sproposito del clandestino e con un ancor più fuori luogo "cos'hanno fatto i tuoi amici al Bataclan?".
La cronaca contemporanea non può non influenzare i giovani allievi, cosicché oltre al Bataclan nei discorsi rientrano anche gli altri attentati dell'ISIS, con Nizza in testa, e Olivia, combattuta tra le capacità che nota in Antoine e le sue idee inaccettabili, non può che precisare che la letteratura non prevede una coincidenza tra l'autore e l'azione dei suoi personaggi, poiché altrimenti dovrebbero essere proibiti il 90% dei libri, dei film e delle opere d'arte.
Per gli allievi di Olivia risulterà molto istruttivo il racconto di un vecchio operaio dei cantieri navali della città, che narra loro quanto accaduto negli anni '60, quando i cantieri vennero chiusi e come, dopo suicidi e alcolismo dovuto alla perdita dei posti di lavoro, iniziarono le lotte sindacali. Anche tra i filmati che guarda Antoine c'è spazio per quelli risalenti a quando i cantieri navali di La Ciotat erano aperti, in cui tra l'altro Cantet ci mostra un'uscita dalla fabbrica che per tipologia riecheggia inevitabilmente L'uscita dalle officine Lumière (1895).
L'evoluzione psicologica di Antoine rappresenta, però, il filone narrativo principale, e Cantet ci offre il suo silenzioso invaghimento per Olivia, i suoi appostamenti per spiarla, le sue gelosie quando la vede in atteggiamenti confidenziali col suo editore e le conseguenti critiche ai suoi libri, che l'insegnante noterà come uno strano modo di vendicarsi di qualcosa... L'ossessione arriverà in profondità, trovando terreno fertile nelle idee politicamente estremiste del ragazzo, sempre più convinto che si possa uccidere per noia, come scriverà nel suo nuovo inizio di romanzo, in cui utilizza il linguaggio figurato per sottolineare come si dica "ammazzare il tempo, invece è la città che ammazza te".

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