mercoledì 30 maggio 2018

Dogman (Garrone 2018)

Matteo Garrone torna a girare al Villaggio Coppola, noto anche come Pinetamare, frazione di Castel Volturno in cui aveva già ambientato L'imbalsamatore (2002), e così come avvenne con il film che l'aveva consacrato tra i migliori autori italiani, trova un altro capolavoro (trailer).
La storia è più che ispirata alla terribile vicenda di cronaca nera che nel 1988 imperversò nei notiziari italiani: la lenta e macabra vendetta di Pietro de Negri, detto "il canaro", che nel popolare quartiere romano della Magliana uccise, dopo anni di angherie subite, il suo persecutore, Giancarlo Ricci, torturandolo lentamente.

Il cineasta romano rielabora la vicenda attraverso Fattacci di Vincenzo Cerami (1997), dai cui racconti aveva tratto anche il film del 2002, la svuota di buona parte dei dettagli macabri e le dona poesia, dolcezza e anche una dose di ironia. 
Nella pellicola di Garrone i protagonisti sono Marcello (Marcello Fonte), appunto, e Simone (Edoardo Pesce), mentre l'azione è spostata nel tempo fino ai giorni nostri e, nello spazio, nella desolante piazza della provincia casertana, con il mare sullo sfondo.
Quel non luogo, in cui comunque molti dei personaggi parlano romanesco, è fatto di abusivismo edilizio e di un "buio di giostre in disuso", come cantava in Khorakhanè Fabrizio De Andrè: al centro della piazza campeggia, anche se non funzionante, un riconoscibilissimo drago su rotaie, identico a quello che negli anni '80 costituiva una delle attrazioni più famose del parco giochi romano del Luneur.
Tutto avviene in quello spazio che, come qualcuno ha giustamente evidenziato, è molto simile alle ambientazioni dei western classici: pochi negozi, un compro oro, un bar-sala giochi e, soprattutto, un centro di toeletta per cani, "Dogman" appunto, gestito da Marcello.
Ed è proprio il personaggio interpretato da Marcello Fonte, eletto miglior attore a Cannes quest'anno, l'elemento più importante del film che ruota completamente attorno a lui.
La sua splendida storia personale è davvero una fiaba cinematografica: nato da una povera famiglia calabrese, vissuto in semplici baracche, e poi a Roma ha partecipato alle occupazioni del Teatro Valle e nel Cinema Palazzo, è arrivato al successo dopo anni di piccolissimi ruoli al cinema e in televisione e un film come regista, Asino vola (2015). È stato definito da Garrone un uomo dal "volto antico, il volto di un'Italia che sta scomparendo", o ancora meglio un novello Buster Keaton, grazie al suo aspetto buffo, minuto, indifeso - che sembra anticipare Pinocchio, prossimo progetto garroniano -, la sua naturale simpatia, la dolcezza, le tante gag che lo vedono protagonista e che stemperano il dramma narrato dal regista..
Il suo "amoòre" ripetuto a tutti i cani di cui si occupa con entusiasmo e con inconfondibile accento calabrese è già cult; la tenera comicità del suo volto mentre li lava e li asciuga, o lima le unghie di un gigantesco alano arlecchino e massaggia un bulldog che reagisce con guaiti buffissimi; e infine la magnifica gag in cui Marcello a casa, in relax, non riesce a mangiare da solo un piatto di pasta seduto sul divano, ma è costretto a dividerlo con il suo cane alternando una forchettata per sé e una per lui.
Strameritato, quindi, sempre a Cannes, anche il Palm Dog conferito al film di Garrone per il cast canino, che annovera tra gli altri anche un povero barboncino rinchiuso da un ladro in freezer e salvato da Marcello in versione supereroe.
Il protagonista ha uno splendido rapporto anche con sua figlia, la piccola Alida, che vive con la mamma separata dal marito e che, per tanti versi, appare più responsabile e razionale del padre. I due fanno gite in barca, si immergono al largo (le scene subacquee fanno ovviamente pensare al diretto precedente de Il racconto dei racconti), altro dettaglio fedele ai fatti di cronaca, dato che negli interrogatori del processo la donna parlava di padre e figlia che amavano fare sport in mare.
Marcello è un buono: è l'unico che tollera le intemperanze di Simoncino anche quando tutti gli altri non le tollerano più; è lui a rimanere in silenzio mentre i negozianti della zona non vedono altra soluzione se non l'omicidio; è lui ad accettare di andare in galera pur di non fare la spia contro quello che, nonostante tutto, reputa un suo amico.
Si rende conto di quanto sia incontrollabile la furia del pugile di quartiere che non passa mai dal dialogo prima di sferrare i suoi pugni a chi lo contraddice, eppure non può far nulla se non tentare lui stesso a convincerlo, senza alcun successo. Marcello lo salva in uno dei pochi momenti di difficoltà, avvertendolo del pericolo; lo porta a casa dalla madre quando viene ferito. Simone, però, non è in grado di contraccambiare la sincera amicizia che riceve da Marcello, se non offrendogli cocaina o procurandogli qualche effusione femminile in locali ambigui. Marcello andrà persino in prigione da innocente pur di non tradire il suo amico che però sarà puntualmente irriconoscente e, dopo aver scontato la pena, il protagonista dovrà subire anche le offese di tutti quelli che considerava amici fino all'anno prima.
Garrone dirige gli attori e usa la mdp con maestria e sempre al loro servizio, mai viceversa ("sono vent'anni che pedino gli attori"). Marcello Fonte e Edoardo Pesce interpretano i rispettivi ruoli perfettamente e, tra le tante sequenze che meritano di essere descritte, non può essere ignorata quella che fa un tutt'uno con la già citata scena con l'alano arlecchino: Marcello interrompe la sua attività attirato dai rumori esterni, si avvicina alla veneziana e guarda cosa accade. Il gran lavoro sul sonoro si associa alla soggettiva di Marcello che, scostando due lamelle della veneziana, osserva al loro interno, come farebbe un personaggio da western, tanto più che là fuori la giornata è assolata e il suolo è polveroso come in una città del vecchio west.
Il realismo rosselliniano, cui Garrone non manca mai di riferirsi, raggiunge vette massime con i personaggi di contorno: la madre di Simone, che prende a schiaffi il figlio quando si rende conto che assume ancora droga; i commercianti di zona e, soprattutto, i volti dei carcerati che chiudono la sequenza dell'ingresso in galera di Marcello, degni di un dipinto fiammingo per l'evidenziata crudezza dei loro dettagli somatici.
Il regista ha dichiarato di essersi totalmente immedesimato nel protagonista, con cui ha in comune l'amore per la figlia, la necessità di essere accettato dal gruppo, la paura di fronte ai prepotenti. Il coraggio della ribellione, invece, è ciò che Garrone invidia a Marcello, capace di dire davanti al suo funesto amico "so' cambiato io, nun so' quello de prima", e da quel momento non sarà più disposto ad accettare altri soprusi. E così tutti gli oggetti che fino ad allora permettevano a Marcello di prendersi cura dei suoi cani si trasformano improvvisamente in strumenti di tortura da usare contro Simone.
Il film, scritto da Garrone insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, è di grande qualità oltre che per regia, sceneggiatura e interpretazione, anche per l'ottima fotografia di Nicolaj Brüel, che contribuisce con immagini livide a contestualizzare ancora meglio la storia.
Dogman, che inizialmente doveva intitolarsi L'amico dell'uomo, è un film chiuso, claustrofobico, tra lo spazio angusto della periferia di Castel Volturno, il carcere e le gabbie dei cani, che diventano gabbie per l'uomo, quell'uomo che, portato sulle spalle di Marcello, assurge a croce di Cristo, fardello del Cristo più dolce e divertente del cinema degli ultimi decenni.

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