È bellissimo il film di Wes Anderson che tutti i cinefili e cinofili aspettavano da tempo e che, nonostante la tecnica scelta, lo stop motion già utilizzato per Fantastic Mr. Fox (2009), non perde nulla dello stile del regista texano, caratterizzato da inquadrature centrate, simmetria e ordine, perfettamente adatto ad una storia ambientata in Giappone (trailer)!
In un futuro distopico, datato 2037, la citta di Megasaki è una metropoli governata da Kenji Kobayashi, sindaco appartenente ad una dinastia di amanti dei gatti, che mette in quarantena tutti i cani poiché possibili veicoli del "tartufo febbrile", epidemia che potrebbe colpire anche gli uomini.
Confinati nell'isola della spazzatura, lembo di terra utilizzato come discarica, molti cani si ritrovano, dopo anni di salotti, tolette, stufe, diete bilanciate (sic), a vivere in un terreno apparentemente ostile che da quel momento prende il nome di Isola dei cani, luogo dimenticato dall'umanità e caratterizzato da panorami desolati, fatti di macerie e rifiuti. Qui un randagio, Chief, dopo averli annichiliti con un perentorio "ho visto gatti che hanno più palle di voi", insegnerà a sopravvivere alle avversità ad un gruppo di ex cani domestici, Rex, King, Duke, Boss.
A fare da narratore un cane con un occhio cieco, novello Omero in versione canina, e il suo "assistente" Oracle, sorta di veggente, ma in realtà semplicemente in grado di comprendere la televisione, eziologia genialmente andersoniana racchiusa in uno scambio di battute: "lei prevede il futuro!" "no, lei capisce la tv".
Già da questi pochi elementi si può intuire l'ottima sceneggiatura del film, diviso in quattro capitoli, che iniziano con "Il bambino samurai", ribellatosi ad un primo sterminio di cani; proseguono con "Alla ricerca di Spots", il cane di casa Kobayashi che Atari, il nipote dodicenne del sindaco, rimasto orfano e cresciuto con lui, decide di andare a ritrovare sull'isola, dove arriva con uno sgangherato aeroplano, e il "Rendez-vous", incontro tra lo stesso Spots e Chief; e terminano con "La lanterna di Atari".
Tante le battute umanizzate dei protagonisti, realizzati in silicone e resina. Anche il vittimismo seduttivo di molti uomini viene trasposto in versione canina, con uno dei cani che si lamenta perché "quelle che mi piacciono non sono mai in calore". E così, anche altri particolari si adattano al contesto 'animal-antropizzato' del film, come nel caso del dialogo di Chief e di Nutmeg, la splendida cagnetta che fa girare il muso a tutti, nel quale il rigore del primo, "non credo nei padroni", fa il paio con il pessimismo riproduttivo della seconda, "non farei nascere dei cuccioli in questo mondo". Proprio il carattere duro e indipendente di Chief lo porta a instaurare con il piccolo Atari un rapporto di scontro, che pian piano si fa più accomodante, che inizia con un netto "io non riporto", quando il giovane umano prova a giocare con lui lanciando un bastone, e si smussa con una concessione che è segno di apertura nei suoi confronti, "lo faccio solo perché mi fai pena".
La presenza umana è piuttosto lontana e perlopiù ostile ai cani, una distanza voluta e confermata dalla scelta di far parlare gli uomini in giapponese e i cani in inglese. Dalla parte degli "esuli", oltre ovviamente ad Atari, che peraltro ha tutti i caratteri dell'umanoide robotizzato post-bellico tipico dei manga nipponici, esistono altri ribelli capitanati da una ragazzina bionda, Tracy Walker, la cui amplissima capigliatura stile afro rimanda subito all'idea di contestazione del nostro immaginario. Il loro sostegno alla causa canina è fondato sulla dimostrazione di un complotto ordito dal potere, poiché, in realtà, il vaccino del dottor Watanabe per curare il tartufo febbrile garantirebbe la sicurezza degli uomini anche se convivessero, come hanno sempre fatto, con i cani. Un mondo migliore, sembra dirci Wes Anderson, è possibile solo con le nuove generazioni, più sensibili alla questione, e con gli animali stessi.
Tutto il film è intriso di citazioni continue, letterarie, storico artistiche, cinematografiche...
Detto del parallelo letterario tra Jupiter e Omero, si considerino anche i diversi haiku pronunciati dai protagonisti, e soprattutto, grazie alla curata scenografia di Paul Harrod e Adam Stockhausen, gli straordinari rimandi storico-artistici, con stampe giapponesi a fare da sfondo alla cornice del narratore, reinterpretate in chiave canina, tra cui spicca la celebre Grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai popolata di barche con a bordo solo cani.
Com'è naturale che sia, Anderson prende molto anche dal cinema, cosicché appare evidente che il personaggio del maggiordomo di Kobayashi sia diretto discendente del Lurch della Famiglia Addams, di cui peraltro condivide il mestiere, e la trasformazione di Chief, cane nero e sporco in un esemplare dal pelo bianco con chiazze nere, identico a Spots, fa pensare a quella di Madeleine in Vertigo (Hitchcock 1958) con il giovane Atari chiamato a vestire il ruolo di Scottie-James Stewart, incredulo davanti all'impressionante somiglianza.
Anche il lavoro sulle ambientazioni è straordinario e così, soprattutto nella sezione road movie della ricerca di Spots, i personaggi si imbattono in paesaggi post-industriali e, direi, post-urbani, con un omaggio ai cerchi nel grano che inevitabilmente rimandano a Signs (Shyamalan 2002).
Nella versione italiana si perdono le voci degli attori coinvolti nel progetto, un vero e proprio overcasting del doppiaggio: Bryan Cranston (Chief), Bill Murray (Boss), Edward Norton (Rex), Jeff Goldblum (Duke), Bob Babalan (King), Scarlett Johansson (Nutmeg), Frances McDormand (interprete Nelson), Ken Watanabe (chirurgo), Harvey Keitel (Gondo), F. Murray Abraham (Jupiter), Tilda Swinton (Oracle), Liev Schreiber (Spots), cui si aggiungono guest star come Angelica Houston, nei panni di un cucciolo muto, la regista di Lady Bird, Greta Gerwig, in quelli di Tracy Walker, e persino Yoko Ono nei panni di "se stessa".
La colonna sonora di Alexandre Desplat, invece, è pienamente apprezzabile anche nell'edizione nostrana (ascolta): quello che il compositore ha definito un Fantastic Mr. Fox "sotto acidi", infatti, gli ha ispirato una musica in cui "la tradizione giapponese incontra i sassofoni".
Dopo aver vinto l'Oscar per La forma dell'acqua (Del Toro), Desplat crea un insieme organico che passa da citazioni cinefile, con Kikuchyo's Mambo (Kanbei & Katsushiro), direttamente dalla colonna sonora de I sette samurai (Kurosawa 1954), o Isle of dogs, che nel motivo dei flauti tanto ricorda The Braying Mule di Morricone per Django (Tarantino 2012); a brani solenni e tribali quali Shinto Shrine o Taiko drumming, ma anche sognanti come The Municipal Dome o Nutmeg, che contribuiscono all'atmosfera da fiaba; ad altri romantici e malinconici, come nel caso di Drunken Angel.
Tra questi ha un ruolo dominante la bella I Won't Hurt You dei West Coast Pop Art Experimental Band, gruppo psichedelico degli anni '60, che conferma il contesto cronologico dell'immaginario in cui Wes Anderson ha ambientato il suo ultimo lavoro, dedicato a cinema, animali e amicizia...
Confinati nell'isola della spazzatura, lembo di terra utilizzato come discarica, molti cani si ritrovano, dopo anni di salotti, tolette, stufe, diete bilanciate (sic), a vivere in un terreno apparentemente ostile che da quel momento prende il nome di Isola dei cani, luogo dimenticato dall'umanità e caratterizzato da panorami desolati, fatti di macerie e rifiuti. Qui un randagio, Chief, dopo averli annichiliti con un perentorio "ho visto gatti che hanno più palle di voi", insegnerà a sopravvivere alle avversità ad un gruppo di ex cani domestici, Rex, King, Duke, Boss.
Wes Anderson con il "cast" del film |
Già da questi pochi elementi si può intuire l'ottima sceneggiatura del film, diviso in quattro capitoli, che iniziano con "Il bambino samurai", ribellatosi ad un primo sterminio di cani; proseguono con "Alla ricerca di Spots", il cane di casa Kobayashi che Atari, il nipote dodicenne del sindaco, rimasto orfano e cresciuto con lui, decide di andare a ritrovare sull'isola, dove arriva con uno sgangherato aeroplano, e il "Rendez-vous", incontro tra lo stesso Spots e Chief; e terminano con "La lanterna di Atari".
Tante le battute umanizzate dei protagonisti, realizzati in silicone e resina. Anche il vittimismo seduttivo di molti uomini viene trasposto in versione canina, con uno dei cani che si lamenta perché "quelle che mi piacciono non sono mai in calore". E così, anche altri particolari si adattano al contesto 'animal-antropizzato' del film, come nel caso del dialogo di Chief e di Nutmeg, la splendida cagnetta che fa girare il muso a tutti, nel quale il rigore del primo, "non credo nei padroni", fa il paio con il pessimismo riproduttivo della seconda, "non farei nascere dei cuccioli in questo mondo". Proprio il carattere duro e indipendente di Chief lo porta a instaurare con il piccolo Atari un rapporto di scontro, che pian piano si fa più accomodante, che inizia con un netto "io non riporto", quando il giovane umano prova a giocare con lui lanciando un bastone, e si smussa con una concessione che è segno di apertura nei suoi confronti, "lo faccio solo perché mi fai pena".
La presenza umana è piuttosto lontana e perlopiù ostile ai cani, una distanza voluta e confermata dalla scelta di far parlare gli uomini in giapponese e i cani in inglese. Dalla parte degli "esuli", oltre ovviamente ad Atari, che peraltro ha tutti i caratteri dell'umanoide robotizzato post-bellico tipico dei manga nipponici, esistono altri ribelli capitanati da una ragazzina bionda, Tracy Walker, la cui amplissima capigliatura stile afro rimanda subito all'idea di contestazione del nostro immaginario. Il loro sostegno alla causa canina è fondato sulla dimostrazione di un complotto ordito dal potere, poiché, in realtà, il vaccino del dottor Watanabe per curare il tartufo febbrile garantirebbe la sicurezza degli uomini anche se convivessero, come hanno sempre fatto, con i cani. Un mondo migliore, sembra dirci Wes Anderson, è possibile solo con le nuove generazioni, più sensibili alla questione, e con gli animali stessi.
Tutto il film è intriso di citazioni continue, letterarie, storico artistiche, cinematografiche...
Il fondale della Grande onda di Hokusai usato per il film |
Com'è naturale che sia, Anderson prende molto anche dal cinema, cosicché appare evidente che il personaggio del maggiordomo di Kobayashi sia diretto discendente del Lurch della Famiglia Addams, di cui peraltro condivide il mestiere, e la trasformazione di Chief, cane nero e sporco in un esemplare dal pelo bianco con chiazze nere, identico a Spots, fa pensare a quella di Madeleine in Vertigo (Hitchcock 1958) con il giovane Atari chiamato a vestire il ruolo di Scottie-James Stewart, incredulo davanti all'impressionante somiglianza.
Anche il lavoro sulle ambientazioni è straordinario e così, soprattutto nella sezione road movie della ricerca di Spots, i personaggi si imbattono in paesaggi post-industriali e, direi, post-urbani, con un omaggio ai cerchi nel grano che inevitabilmente rimandano a Signs (Shyamalan 2002).
Nella versione italiana si perdono le voci degli attori coinvolti nel progetto, un vero e proprio overcasting del doppiaggio: Bryan Cranston (Chief), Bill Murray (Boss), Edward Norton (Rex), Jeff Goldblum (Duke), Bob Babalan (King), Scarlett Johansson (Nutmeg), Frances McDormand (interprete Nelson), Ken Watanabe (chirurgo), Harvey Keitel (Gondo), F. Murray Abraham (Jupiter), Tilda Swinton (Oracle), Liev Schreiber (Spots), cui si aggiungono guest star come Angelica Houston, nei panni di un cucciolo muto, la regista di Lady Bird, Greta Gerwig, in quelli di Tracy Walker, e persino Yoko Ono nei panni di "se stessa".
Dopo aver vinto l'Oscar per La forma dell'acqua (Del Toro), Desplat crea un insieme organico che passa da citazioni cinefile, con Kikuchyo's Mambo (Kanbei & Katsushiro), direttamente dalla colonna sonora de I sette samurai (Kurosawa 1954), o Isle of dogs, che nel motivo dei flauti tanto ricorda The Braying Mule di Morricone per Django (Tarantino 2012); a brani solenni e tribali quali Shinto Shrine o Taiko drumming, ma anche sognanti come The Municipal Dome o Nutmeg, che contribuiscono all'atmosfera da fiaba; ad altri romantici e malinconici, come nel caso di Drunken Angel.
Tra questi ha un ruolo dominante la bella I Won't Hurt You dei West Coast Pop Art Experimental Band, gruppo psichedelico degli anni '60, che conferma il contesto cronologico dell'immaginario in cui Wes Anderson ha ambientato il suo ultimo lavoro, dedicato a cinema, animali e amicizia...
Vedere vedere vedere. Grazie Begood per l'ennesima ottima e interessantissima Review! ! Art RAF
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