mercoledì 23 maggio 2018

Loro 1 e 2 (Sorrentino 2018)

La frase posta ad esergo di Loro, "Tutto documentato. Tutto arbitrario" (Giorgio Manganelli), riassume l'essenza del film di Paolo Sorrentino, che utilizza fatti di cronaca elaborandoli attraverso la sua consueta visione onirica e uno stile estetizzante riconoscibile fra mille che dà alla sfacciata volgarità della materia trattata una splendida forma (trailer 1 e 2).

Il soggetto scelto rende difficile parlare di questa pellicola con la giusta distanza ed esclusivamente dal punto di vista cinematografico, ma l'indubbio "merito" del regista de La grande bellezza, di cui Loro costituisce il naturale pendant, una sorta di spiegazione eziologica del contesto visto nel film precedente, è quello di essere riuscito ad infastidire sia gli antiberlusconiani, che leggono il film come un'apologia di Berlusconi, sia i berlusconiani, che invece lo considerano una continua esagerazione, ben poco fedele alla realtà che loro stessi hanno vissuto.

Che Sorrentino non sia un regista particolarmente interessato al realismo, però, non lo scopriamo certo oggi, mentre la sua fascinazione per il potere appare dettata dalla possibilità di sviluppare alcuni filoni drammaturgici come la solitudine di chi lo detiene, a meno che non lo si voglia far passare anche per andreottiano (Il divo) o per un anacronistico cesaropapista (The Young Pope).
Guardando il film, non si può evitare di pensare che, anche se il regista ha forse amplificato (?) la realtà, gran parte di quanto vediamo è davvero accaduto... nel dire questo, naturalmente, non si intendono i singoli dettagli, come invece si affannano a dimostrare o a smentire le molte interviste che si susseguono sui giornali, fatte a chi ha partecipato a vario titolo al mondo di Silvio Berlusconi, ma alla sostanza, a come, cioè, la volgare ostentazione del potere sia stata un modus operandi sistematico, messo costantemente in atto. E, infatti, il film di Sorrentino, come evidenzia il titolo, non è solo un film sul tycoon italiano per antonomasia, ma anche e soprattutto su tutto ciò che gli ruotava attorno, "loro sono quelli che contano, quelli che hanno il potere", dice il personaggio di Scamarcio ad una delle ragazze del suo giro. 
La divisione in due episodi, come nel caso di Novecento (Bertolucci 1976), è solo un espediente distributivo e di conseguenza il film va analizzato come un unico insieme organico, che deve tantissimo al cinema di Fellini.
Sono diversi i temi e i momenti in cui Sorrentino si avvicina al cinema del maestro romagnolo: se La grande bellezza (2013) era stato associato a La dolce vita (Fellini 1958), Loro sembra rimandare a più pellicole felliniane, e a due più delle altre, Satyricon (1969) e Roma (1972). Del primo il regista ripropone il clima conviviale nelle feste del Cavaliere, padrone di casa e Anfitrione; del secondo alcune scene che lo evocano: si pensi al terremoto de L'Aquila che per molti versi ricorda la sequenza dei ritrovamenti archeologici durante gli scavi per la metro del capolavoro felliniano; ma soprattutto la statua di Cristo (copia di quella della Pietà di Michelangelo) che una gru riesce a mettere in salvo estraendola dalle macerie di Santa Maria di Collemaggio, che rimanda inequivocabilmente all'inizio del film di Fellini sulla città eterna in cui un elicottero trasporta in cielo una statua di Cristo stante e a braccia aperte.
Ha qualcosa di felliniano anche il personaggio di Sergio Morra (Riccardo Scamarcio), a metà tra il Guido Anselmi-Mastroianni di 8 1/2 e il Gianpaolo Tarantini, imprenditore barese che procacciava escort per le feste del Cavaliere. È lui il protagonista della prima parte del film, uomo ambizioso, pronto a tutto per avvicinarsi a Berlusconi, obiettivo al quale "lavora" anche sua moglie Tamara (Euridice Axen), amante dell'onorevole Santino Recchia (Fabrizio Bentivoglio), così devoto di Silvio da salvare il suo numero di cellulare con Lui e da dedicargli delle poesie, proprio come faceva Sandro Bondi. Insieme a quest'ultimo, tra i fedelissimi ma non troppo, va annoverata anche Cupa Caiafa (Anna Bonaiuto), altro personaggio facilmente identificabile in Daniela Santanchè, mentre altrettanto riuscita è la figura di Paolo Spagnolo (Dario Cantarelli), sorta di maggiordomo tuttofare del Cavaliere, sempre vestito di bianco e con un costante atteggiamento austero, deus ex machina d'invenzione sorrentiniana. Solo un cameo, invee, per la segretaria reale di Berlusconi, Marinella Brambilla, interpretata da Michela Cescon.
Sergio, il vero protagonista della prima parte, ottiene tutto attraverso l'offerta di donne ("qui battono grandi cuori di troie"), e così è in grado di ottenere appalti sulle mense scolastiche, ma soprattutto mette insieme grandi quantità di ragazze disponibili con cui organizza feste in barca e in una villa affittata in Sardegna, con la sola e unica motivazione di farsi notare da Silvio. Nel suo arrivismo sfrenato è aiutato da Kira (Kasia Smutniak), amante d'origine albanese del Cavaliere, che tanto ricorda l'"ape regina" Sabina Began, pienamente consapevole della propria condizione ("è dura la vita quando non sai fare un cazzo"), mentre si avvicenda, nel momento di "fortuna" con Berlusconi, a Fabrizio Sala (Roberto De Francesco), palese riferimento a Lele Mora. Nello stesso business incentrato sulla prostituzione è coinvolto, anche se a lui sono dedicati pochi ciak, Riccardo Pasta (Ricky Memphis), probabile rimando a Walter Lavitola.
E ancora, tra i personaggi che alludono a persone reali, va citata Violetta Saba (Caroline Tillette), la bellissima ragazza che tutti citano con rispetto perché impazzita dopo una relazione con il Cavaliere e che è stata associata alla bella Virginia Sanjust di Teulada, figlia di Antonella Interlenghi e nipote di Franco Interlenghi e Antonella Lualdi, annunciatrice che in effetti ammise di aver frequentato l'ex premier.
Resta invece più ambiguo degli altri, il personaggio di "Dio", dedito a "massaggi" durante i quali resta a volto coperto e camuffa la voce per non farsi riconoscere, uomo potentissimo che controlla gli appalti del paese, e che per questi motivi è possibile associare a Guido Bertolaso, allora capo della Protezione Civile, coinvolto in uno scandalo erotico proprio all'interno di una spa. Non può mancare la televisione: programmi di bassa lega, televendite, veline con velleità attoriali, e naturalmente Mike Bongiorno (Ugo Pagliai), l'uomo che ha dato l'avvio al grande successo via etere di Berlusconi.
Tutto è sopra le righe, e questo è quantomai adatto alla poetica di Sorrentino, che non a caso sceglie di raccontare gli anni dal 2006 al 2010, quello degli scandali delle feste in Sardegna. Oltre alla consueta presenza di una serie di animali dalla valenza simbolica (ricordiamo una pecora, un cammello, una capretta, un rinoceronte, un ratto e un serpente), vediamo tatuaggi con il volto di Berlusconi sorridente sulla zona lombare di una delle escort; le iniziali SB tatuate sui piedi di Kira; spettacoli teatrali da camera, da ancient régime, in cui attori con le maschere di Stalin, Lenin, Mao Tse Tung e D'Alema mangiano bambini; Tamara e Sergio tirano cocaina sul libro I miei discorsi di Silvio Berlusconi; un camion della spazzatura precipita nei Fori Imperiali, nella stessa sera in cui Morra ha organizzato una cena sulla balconata dei fori repubblicani. La stessa Tamara, in apertura della seconda parte del film, si depila la zona pubica seduta all'angolo della piscina, in un'immagine perfettamente geometrica che è già un cult, con le gambe che seguono le linee della vasca ad angolo retto, mentre rimprovera il figlio Tancredi con parole che contrastano completamente con l'aria di classe e nobiltà cui  lei e Sergio aspirano.
Sorrentino, inoltre, prende a piene mani anche dal più recente Scorsese, cosicché la festa in Sardegna a Villa Morena, è decisamente figlia di The Wolf of Wall Street: Scamarcio non è Di Caprio, ma la folla a bordo piscina e i fiumi di droga che gravitano lì attorno sono gli stessi. Geniale lo "stile documentario" con tanto di presentatore che parla di MDMA come "droga dell'abbraccio" e causa dello smandibolamento che prende chi l'assume.
L'inquadratura hopperiana di Sorrentino e Nighthawks (1942)
La villa di Berlusconi è un luogo surreale, con siti interni segnalati da cartelli, come in un parco giochi, e a "la serra" e "la giostra", nel tempo si aggiunge persino un tempio buddista per sua moglie. Anche il grande gazebo in cui il Cavaliere accoglie i senatori, da convincere per generare una crisi che lo rimetta al governo, è di fatto una piattaforma girevole, una grande macchina a effetto e strumento di persuasione. Tra le immagini più belle del film, quella notturna in cui la mdp "spia" la distanza tra Silvio e Veronica (Elena Sofia Ricci), ponendoli agli estremi dell'inquadratura e con la grande vetrata che dà sulla piscina in proscenio che rende la casa una sorta di acquario, con un taglio del tutto simile a Nighthawks di Edward Hopper
Sono diversi i momenti che rimarranno nell'immaginario cinematografico e, oltre quelli già citati, non può mancare il bel dialogo tra i due Servillo, pezzo di bravura dell'attore napoletano, che impersona sia Berlusconi che il suo sosia, Ennio, in una scena che parodia e certifica al tempo stesso l'assurda somiglianza tra il Cavaliere ed Ennio Doris, presidente della banca Mediolanum, che peraltro ricorda al suo gemello che "l'altruismo è il miglior modo per essere egoisti", frase che suona come manifesto programmatico di tutte le loro attività.
Lo stesso Ennio, inoltre, dà il la ad un'altra sequenza indimenticabile, quella della telefonata da piazzista, introdotta dalla sua affermazione  "un venditore è un uomo solo e un persuasore". Al telefono con un donna comune selezionata a caso dall'elenco (gli unici libri che vediamo nella villa di Silvio, fatta eccezione per quelli che legge Veronica Lario-Elena Sofia Ricci, sono elenchi telefonici di tutte le province d'Italia), Berluconi e Servillo, personaggio e attore, si alternano e si fondono fino a far cambiare l'accento brianzolo del personaggio in un napoletano verace. Durante questo monologo, Silvio diventa Augusto Pallotta, agente immobiliare che cerca di vendere appartamenti (riferimento a Milano 2 creata negli anni '70) con frasi altisonanti ed egocentriche come "io conosco il copione della vita", e che sulle prime riceve una dura risposta dalla signora, da considerare simbolicamente ben oltre una semplice reazione all'offerta dell'appartamento: "lei è molto invadente, io non mi fido, secondo me è proprio un imbroglione".
La sceneggiatura, scritta da Sorrentino insieme a Umberto Contarello, è dominata da singole frasi che suonano come aforismi, che spesso colpiscono nel segno. Oltre quelle citate merita una menzione quella pronunciata da uno dei senatori invitati da Berlusconi, che gli dice senza troppi giri di parole che "ha un gigantesco senso di inferiorità", ma Silvio non si scompone e replica con un disarmante "le relazioni sociali sono cose complesse, per gestirle ci vuole un asociale", ennesimo segno di egocentrisimo.
Basterebbe questo per indicare la posizione sorrentiniana in merito al personaggio Berlusconi, un muro di gomma sempre pronto alla risposta e ad un sorriso stampato sul volto ("io non mi offendo mai"), una maschera kabuki a cui Servillo presta la sua magnifica faccia trasformista. Se però si cercassero altre conferme, si presti attenzione al dialogo tra il Cavaliere e Stella (Alice Pagani), la ragazza meno sfacciata tra quelle ingaggiate da Morra e che, forse proprio per questo, intriga particolarmente Berlusconi. È lei, infatti, che dopo l'ennesima avance dell'ex premier, gli rivela di essere disturbata dal suo alito, identico a quello del nonno, "l'alito di un vecchio", chiosando con un eloquente "tutto è così patetico", che sembra il più diretto giudizio di Sorrentino sull'uomo Berlusconi, che inoltre viene fuori anche nel fondamentale dialogo tra lui e la moglie Veronica, decisa a chiedere il divorzio dopo il famoso episodio della partecipazione alla festa di diciott'anni della napoletana Noemi Letizia (Pasqualina Sanna), tra i pochissimi personaggi citati con il loro vero nome.
Il confronto tra Silvio e Veronica è un altro dei centri focali della seconda parte del film di Sorrentino, che ha in parte utilizzato come fonte il libro Tendenza Veronica, scritto da Maria Latella raccogliendo i racconti di Veronica Lario. A quest'ultima, che  accusa il marito di aver svenduto tutto, sogni, speranze, dandogli del malato, Silvio risponde mettendo sempre in primo piano se stesso e la sua infinita autostima che lo porta a definirsi genio, secondo un tipico meccanismo psicologico del potere che, privato del consenso a cui è abituato, si ritrova costretto a ripetere certe frasi per autoconvincersene.
La musica, infine, è ancora una volta fondamentale nel cinema di Sorrentino, svolgendo un ruolo determinante come sempre. I brani originali sono di Lele Marchitelli, già autore della colonna sonora de La grande bellezza, ma sono i pezzi do contorno che entrano maggiormente nella trama. Si va dai grandi classici napoletani, come Scetate di Sergio Bruni, che significativamente apre il film, o Malafemmena cantata da Servillo-Berlusconi al suono della chitarra di Mariano Apicella (Giovanni Esposito), fino a Domenica bestiale di Fabio Concato, la canzone dell'innamoramento dei coniugi Berlusconi. Anche la sequenza della canzone di Totò entra di diritto tra le migliori del film e, non a caso, è stata usata come trailer della prima parte, sorta di videoclip che passa in rassegna i volti dei personaggi principali, commossi davanti a quell'interpretazione da cantante di crociera.
E proprio un videoclip costituisce una delle tante parodie del film: l'inno politico "Meno male che Silvio c'è", già molto pacchiano nella versione originale (vedi), diventa ancora più risibile in quella ideata da Sorrentino con una coreografia di ragazze in bikini in abiti succinti da palestra.
Altrettanto esilarante è il finto trailer del film interpretato da Kira, volontaria in Africa in Congo Diana, in cui l'amante di Berlusconi assume un aspetto austero degno di Lady Diana o addirittura di Ingrid Bergman in Europa '51 (Rossellini 1951), creando un forte contrasto con la sua natura decisamente meno principesca.
La pellicola sorrentiniana è indubbiamente dispersiva, lo stile sempre più trabordante e ipertrofico del regista napoletano non può far pensare mai a qualcosa di asciutto, ma nel complesso la forma sempre impeccabile, una buona recitazione in cui praticamente tutti i personaggi (e sono davvero tanti) appaiono credibili, e una scrittura che, anche se per aforismi, funziona, rendono Loro un film riuscito, che probabilmente necessiterà di qualche anno per essere apprezzato più di ora, momento in cui i fatti narrati sono ancora troppo vicini alle nostra vite.

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