venerdì 11 maggio 2018

Molly's game (Sorkin 2018)

L'ex campionessa di sci acrobatico, Molly Bloom (Jessica Chastain), ha visto naufragare la sua carriera sportiva a causa di una rovinosa quanto sfortunata caduta; dodici anni dopo viene arrestata dall'FBI (trailer).
Il lasso di tempo che separa i due eventi, all'incirca dodici anni, è quello narrato dal film di Aaron Sorkin, importante sceneggiatore di Hollywood da ormai venticinque anni, qui alla sua prima regia, in cui, oltre a palesare un'inevitabile predilezione per la scrittura, dimostra di saper utilizzare il mezzo cinematografico in tutte le sue sfaccettature. Purtroppo, però, si lascia andare ad un'imperdonabile mezz'ora finale, didascalica, banale, che fa perdere gran parte dei pregi del film, girato bene e a buon ritmo per due terzi della sua durata e con una Jessica Chastain perfetta nel ruolo della donna pronta a tutto pur di arrivare, bellissima e calcolatrice.
La parte iniziale, che racconta la vita sportiva della protagonista, è molto buona, caratterizzata da un montaggio serrato, avvincente, e ben scritta: la voce off della stessa Molly non solo riassume gli avvenimenti, ma cerca il confronto diretto con lo spettatore, "la cosa peggiore per un atleta è arrivare quarto alle Olimpiadi? Vaffanculo".
La vera Molly Bloom e Jessica Chastain
Da qui prende le mosse il film vero e proprio, incentrato su una vicenda balzata agli onori delle cronache statunitensi nel 2014 fino ad arrivare, anche se con meno eco, persino alle nostre latitudini. Molly Bloom era, infatti, un'organizzatrice seriale di partite di poker di altissimo profilo, che coinvolgevano attori di Hollywood del calibro di Leonardo Di Caprio, Matt Damon, Tobey Maguire, Ben Affleck; giocatori di NBA, o quelli che allora erano giovani neofiti come Dan Bilzerian. Il gioco era diventato così grande da interessare persino la protezione della mafia russa, e di lì le indagini dell'FBI che hanno portato all'apertura del vaso di Pandora...
Molly, dopo aver abbandonato gli sci, lavora a Los Angeles come cameriera in un locale con clienti di prestigio, per poi diventare la segretaria personale di uno di questi, Dean (Jeremy Strong), grazie al quale viene catapultata nel mondo del poker come "attiraclienti" e supervisore delle serate, ma col tempo, creata una rete di relazioni diretta con i partecipanti, li dirotta altrove gestendo in proprio l'intero movimento.
Molly si trasforma così in una sorta di imprenditrice del gioco clandestino, di cui controlla ogni minimo aspetto: location, catering, carte da gioco personalizzate, ma soprattutto il lato psicologico dei suoi "clienti". Le partite sono così esclusive che sarà lo stesso passaparola tra vip a creare la fama nell'ambiente e una lunga lista d'attesa per nuovi giocatori. Tra questi un ruolo di rilievo spetta al più influente e calcolatore di tutti, il cosiddetto "giocatore x" (Michael Cera), nella realtà probabilmente Tobey Maguire. Proprio dopo uno scontro con lui, Molly è costretta a trasferirsi a New York e ricostruire lì tutto ciò che aveva costruito a Los Angeles. I risultati sono brillanti, ma droga, mafia russa, ecc. complicano le cose: Molly vede davanti a sé il disfacimento di molte persone, tanto da autoproclamarsi novella Circe, per la capacità di trasformare uomini in maiali. L'invischiamento con la malavita, invece, porterà delle conseguenze...
Il film di Sorkin dà ancora più dinamismo alla storia attraverso il montaggio, che alterna ai flashback sull'ascesa di Molly nella sua attività di sfruttamento del gioco d'azzardo, al presente, in cui, ormai nota come "Principessa del poker", si difende dalle accuse dopo aver scritto Game, un libro nel quale racconta la sua versione dei fatti e i cui introiti le permettono di ingaggiare un avvocato fascinoso e di prestigio come Charlie Jaffey (Idris Elba), capace di massime lapidarie in cui, ad esempio, le consiglia di "non infrangere la legge quando infrangi la legge". In realtà il libro è stato pubblicato solo dopo il processo della Bloom, nel 2014, e i suoi diritti vennero subito acquisiti dal produttore Mark Gordon, che poi ne affidò il soggetto a Sorkin.
A completare il profilo personale della protagonista, inoltre, contribuisce anche il rapporto con il padre (Kevin Costner), terapeuta e professore di psicologia, in parte responsabile delle difficoltà di Molly, vissuta all'ombra dei successi del fratello, ottimo sciatore e giocatore di football professionista nei Philadelphia Eagles, con l'adombrato sospetto da parte della sceneggiatura che quello fosse un contesto familiare in cui vincere era indispensabile, a prescindere dal modo.
Chiarificatrice, in tal senso, un'altra riflessione sportiva di Molly, che cita Matthew Robinson, il grande velocista che alle Olimpiadi di Berlino del 1936 batté il record del mondo, ma arrivò secondo a quattro decimi da Jesse Owen, un "dettaglio" che a suo avviso ne ha determinato la carriera successiva di bidello in una scuola di Pasadena.
Molly ne esce così con la simpatia del regista e, inevitabilmente, dello spettatore. Sempre sorridente, in grado di gestire tutto con grande capacità, e persino di ironizzare sulla sua ricchezza, come quando, priva di contanti, regala ad un noleggiatore di pattini per il ghiaccio un paio di guanti da 800 dollari rassicurandolo: "tengono le mani calde come quelli da 10 dollari".
D'altronde Sorkin, come morale del film, cita Winston Churchill: "il successo è la capacità di passare da un fallimento all'altro senza perdere entusiasmo".

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