mercoledì 25 aprile 2018

Tonya (Gillespie 2017)

"Io non ho una normale famiglia americana", risponde Tonya Harding al giudice che le dice di non saper stare al gioco, in quel grande carrozzone che è il pattinaggio su ghiaccio a livello professionistico.
Questa frase, che suona come una giustificazione per chi è entrato in quel mondo partendo da uno strato sociale basso e lontano dagli standard consueti, potrebbe essere considerata l'essenza del buon film di Craig Gillespie, storia di sport che racconta la sconfitta e il fallimento, e per questo drammaturgicamente più interessante. Letta secondo questa prospettiva, Tonya va inserita a buon diritto nello stesso genere di pellicole a cui appartengono capolavori come Toro scatenato (Scorsese 1980) e Million Dollar Baby (Eastwood 2004).

Come nel film su Jake La Motta, e a differenza di quello su Maggie Fitzgerald, creata dalla penna di F.X. Toole, la vicenda di Tonya Harding è accaduta realmente e, data l'eco mediatica che ebbe negli anni novanta a livello internazionale, è ancora oggi nella memoria di molti appassionati di sport e di giochi olimpici.
La protagonista è ottimamente interpretata da Margot Robbie, che si affranca con successo da ruoli in cui la principale motivazione della sua scelta era determinata da un'indiscutibile bellezza, come splendida consorte del malvivente (Wolf of wall street - Scorsese 2013) o persino come Jane di Tarzan (The Legend of Tarzan - Yates 2016). Questa volta, infatti, non solo la sua avvenenza passa decisamente in secondo piano, ma il suo personaggio è costantemente inquadrato e, come se non bastasse, è sua anche la voce off che narra in prima persona facendo da raccordo tra le sequenze e, in un modo che ormai non è più una novità, l'attrice australiana alcune volte guarda anche in camera, annullando la tradizionale distanza tra spettatori e schermo cinematografico. Il ruolo le è valso la candidatura come migliore attrice protagonista sia ai Golden Globe che agli Oscar, ma in entrambi i casi il premio è andato a Frances McDormand (Tre manifesti a Ebbing, Missouri).
Il film di Gillespie, al suo sesto lungometraggio di una carriera finora non indimenticabile, inizia con i toni del documentario biografico, in cui si alternano le interviste alle persone un tempo attorno alla protagonista. A questa cornice, si aggiunge la narrazione dei fatti, a partire dalla bambina Tonya che quarant'anni prima inizia a calcare le piste di pattinaggio nella sua città natale, Portland, capitale dell'Oregon, ma non per questo al di fuori della sconfinata provincia statunitense.
Tonya vive in una famiglia di stampo matriarcale, in cui la madre, Lavona (un'eccezionale Allison Janney, premio Oscar come migliore attrice non protagonista), interpreta il suo ruolo come il più duro dei padri reazionari, considerando l'educazione come una sequela di reprimende, spesso condite da violenza verbale e fisica, convinta che solo così potrà rendere abbastanza forte la figlia per affrontare un mondo così difficile.
L'inevitabile separazione dei genitori costringe Tonya a perdere anche la persona più dolce che ha in casa e, appena adolescente, trova in Jeff (Sebastian Stan) il fidanzato che rappresenta anche una via di fuga. Naturalmente Lavona uscirà con loro al primo appuntamento e sentenzierà che "in ogni rapporto c'è un fiore e un giardiniere", frase lapidaria che non ammette repliche e che dimostra tutta la rigidità della donna nell'interpretazione dei rapporti di coppia. La sua profezia si rivelerà azzeccata e così anche la relazione di Tonya e Jeff si trasformerà presto in una continua battaglia fatta di insulti, botte e persino armi da fuoco sempre pronte in un cassetto. Il giorno del matrimonio tra i due sarà "benedetto" ancora una volta da una frase di Lavona, che durante i festeggiamenti non troverà di meglio da dire alla figlia se non "gli idioti te li scopi, non devi sposarteli".
Margot Robbie e la vera Tonya Harding
In questo contesto si sviluppa la carriera sportiva di Tonya, il cui grande talento si associa alla volontà di dimostrare di valere molto di più dell'ambiente in cui è cresciuta e molto di più di quanto sua madre sembra considerarla.
Tonya, per natura e provenienza, non sembra affatto adatta al mondo formale e ovattato del pattinaggio su ghiaccio: le sue prove non si distinguono per portamento, né per l'abbigliamento, che per risparmiare cuce da sola non proprio con gusto, e rischiano di rimanere lettera morta tutti i consigli della sua allenatrice indirizzati in tal senso. È esemplare il caso in cui dopo una gara per cui ha scelto di pattinare al suono di un brano dei ZZ Top, ennesima soluzione fuori dagli schemi, risponde all'allenatrice senza mezzi termini "non mi vestirò mai come la fatina dei denti", e urla "succhiami il cazzo" alla giuria che le dà voti più bassi di quelli che merita, mentre la madre con lo stessa crudezza di linguaggio, la critica perché "hai pattinato come una lesbica incazzata".
La pellicola segue le gare di Tonya inframezzandole con la sua vita privata, passando per i campionati internazionali del 1991, quelli in cui a soli vent'anni fu la prima donna nella storia a riuscire nell'impresa di realizzare un triplo axel (vedi), le Olimpiadi di Albertville 1992, i campionati regionali del 1993, fino alle qualificazioni statunitensi per l'accesso alle Olimpiadi di Lillehammer del 1994, durante le quali Tonya venne squalificata dopo la scoperta del suo coinvolgimento nel ferimento della sua principale avversaria, Nancy Kerrigan.
Il film, per quanto possibile, si schiera dalla parte di Tonya, perdente di successo, e anche l'episodio dell'aggressione alla collega per eliminare la concorrente più valida, viene letto in maniera ambigua, in cui gran parte della responsabilità viene attribuita a Jeff e, soprattutto, al suo amico mitomane, Shawn Eckhardt (Paul Walter Hauser), sedicente guardia del corpo di Tonya, autore dell'assurdo gesto (vedi).
Paul Walter Hauser e il vero Shawn Eckhardt
Proprio la sequenza in cui Shawn diventa protagonista e si autoconvince di cosa sia meglio fare in quella complessa situazione, è una delle migliori del film: Gillespie si trasforma nei fratelli Coen e oltre all'azione gli mette in bocca una battuta - "se la mente è vuota non si percepiscono le vibrazioni" - che sarebbe stata perfetta per diversi personaggi dei cineasti di St. Louis Park.
Anche in tutto il resto del film, però, la regia è ben curata, con split screen, panoramiche di ogni tipo, soggettive, ecc., che non permettono allo spettatore di annoiarsi mai. Un risultato quest'ultimo, a cui contribuiscono in maniera determinante anche il montaggio di John Axelrad e Lee Haugen, nonché la bella colonna sonora con brani originali di Peter Nashel (es. Tonya suite) e gli altri scelti spaziando dai Dire Straits (Rome and Juliet), ai Supertramp (Goodbye Stranger), da Cliff Richards (Devil Woman) a Chris Stills (How can you mend a broken heart), dai Siouxsie and the Banshees (The Passenger) alla cover di Gloria di Umberto Tozzi cantata da Laura Branigan, fino ad un classico come Dream a little dream of me nella versione cantata da Doris Day (ascolta).
La parte biografico-documentaristica, invece, lascia alle parole di Tonya il compito di tirare le somme di tutto ciò che le è accaduto, dalla critica allo star system ("il pubblico vuole qualcuno da amare ma anche qualcuno a odiare e vogliono che sia facile da odiare"), alla consapevolezza che "non esiste una cosa chiamata verità: ognuno ha la sua verità". Non può mancare l'ennesima, ma sincera polemica, sulla formalità del pattinaggio e sulla descrizione della reazione di Nancy alla vittoria della medaglia di argento a Lillehammer: "sembrava che avesse pestato la cacca"...
Tonya entra di diritto tra i misfit della storia del cinema!

1 commento:

  1. Le tue recensioni sono sempre perfette. Nulla da aggiungere così come per gli altri film.

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