mercoledì 4 aprile 2018

Z - L'orgia del potere (Costa-Gravas 1969)

Uno dei film più politici di sempre, che però, a cinquant'anni di distanza, mostra tutti i segni del tempo e può essere apprezzato a pieno solo a patto di considerarlo nel suo contesto originario, per quanto alcuni meccanismi del potere e degli abusi di chi lo detiene restano universali e sempre validi (trailer). 
Costa-Gavras curò questo adattamento con lo scrittore spagnolo Jorge Semprún, partendo dall'omonimo romanzo di Vasilīs Vasilikos (1966), che racconta la storia di uno stato europeo a regime militare in cui l'opposizione prova a cambiare le cose, con tutte le difficoltà e le mortificazioni del caso.

La finta democrazia di uno stato in realtà totalitario rimanda alla Grecia degli anni sessanta, come ricorda la frase dei titoli di testa che rivela il suo intento programmatico: "Ogni somiglianza con avvenimenti reali, persone morte o vive non è casuale. È volontaria". Il titolo, peraltro, omaggia la scritta che campeggiava ovunque in Grecia dopo l'omicidio del deputato socialista Gregoris Lambrakis, ucciso nel 1963, e che fu l'inizio del processo storico che portò al colpo di Stato militare del 1967 e alla cosiddetta Dittatura dei colonnelli (1967-74): Z, infatti, in greco sta per "zei" ("lui vive"). E greco non è solo lo scrittore del romanzo ed il regista, ma lo è anche Mikis Theodorakis, il compositore autore della colonna sonora allora in esilio per motivi politici.
L'atmosfera autoritaria si respira sin dalla prima sequenza, in cui un militare in divisa sta tenendo un corso di agricoltura che mette in parallelo la malattia crittogamica della peronospera, che infetta i germogli delle nuove piante, con quella che definisce "infezione ideologica" contro Dio, patria e re che colpisce molti ragazzi. L'obiettivo, in entrambi i casi, è quello di "estirpare tutte le malattie: quelle delle vigne e quelle della società". La mdp indugia sui volti dei presenti evidenziandone i dettagli più realistici, con bocche che masticano, altre con stuzzicadenti, ecc., seguendo una logica in cui la volgarità di alcuni atteggiamenti è spia di una corruzione etica, secondo uno schema semantico-figurativo ben noto sin dalla pittura antica e di cui, in età moderna, fecero spesso uso artisti come George Grosz, e al cinema da tanti altri autori, si pensi a Buñuel, Pasolini e anche Sergio Leone.
A capo dell'opposizione a questo governo militare e poco incline alla libertà d'espressione ci sono il deputato, un dottore di fama nazionale (Yves Montand), l'avvocato Matt (Bernard Bresson) e il puntuto Manuel (Charles Denner), convinto che "bisogna sempre prendersela con gli americani, anche se abbiamo torto, in fondo abbiamo ragione".
Il comizio che doveva svolgersi al teatro Piccadilly viene ostacolato con il pretesto che la struttura è poco sicura, anche se lì si tengono normalmente spettacoli senza alcun problema. Di fronte alla palese ingiustizia il gruppo non si perde d'animo e sposta l'incontro in una sala più piccola montando altoparlanti sugli alberi all'esterno, durante il quale il deputato dell'opposizione si chiede perché un discorso di pace come il suo sia stato così osteggiato dal governo, chiamando in causa gli interessi dell'industria pesante e affermando con dispiacere "viviamo in un paese in cui anche la fantasia è sospetta" e in cui ognuno pensa a sé.
La violenza dei picchiatori sostenitori del governo non si limita allo scontro con la fazione opposta, poiché alcuni vanno a colpire il deputato all'uscita del comizio, oltre a bastonare anche un altro deputato, Georges Pirou (Jean Bouise), che viene confuso con lui. L'arresto di Vigo (Marcel Bozzuffi) e di Yago (Renato Salvatori), membri del C.R.O.C. (Combattenti Realisti dell'Occidente Cristiano), non risolve il caso, a cui lavora un attento e incorruttibile giudice istruttore (Jean-Louis Trintignant. Il suo personaggio è ispirato a Christos Sartzetakis). Un fotoreporter (Jacques Perrin) segue tutte le indagini e fotografa tutti i protagonisti della vicenda, compresa Hélène (Irene Papas), la moglie del deputato, accerchiata dai giornalisti che la seguono ovunque, un dettaglio che sarebbe pienamente adatto anche ai nostri tempi.
La macchina del fango nei confronti dell'opposizione e soprattutto del suo deputato viene azionata immediatamente dai militari al governo e dalla stampa di regime. Proprio quest'ultima elogia l'intervento della polizia (immobile in realtà di fronte agli eventi) e colpevolizza l'uso degli altoparlanti per il comizio, mentre nell'opposizione, come sempre, è difficile trovare una linea comune tra chi vuole risolvere la questione senza rinunciare alla pace, chi è pronto a combattere con le armi, chi si ferma nella disperazione per la vita in pericolo del deputato.
La stessa polizia, completamente controllata dal potere, compie altre azioni punitive, effettuando cariche su altri manifestanti in protesta, persino tagliando i capelli ad alcuni di loro (nulla in quegli anni assurgeva a simbolo di ribellione come i capelli lunghi).
Il principale testimone dei fatti, Elia Kostas, un semplice pittore di case funebri, è pronto ad andare a rivelare al giudice ciò che ha visto, ma viene aggredito durante il tragitto e in ospedale riceve la visita del generale che prova ad imporgli il silenzio promettendo benefici futuri. Il suo disinteresse per tutto questo gli vale le critiche della moglie (Magali Noel) e della suocera, che gli chiedono di ignorare il suo dovere, e di pensare "a mangiare" e "alla famiglia". La corruzione morale è ormai incancrenita anche negli strati sociali più bassi.
La lucida sintesi di quello che sta accadendo è riservata ancora a Manuel, sempre il più schietto e diretto, in uno sfogo raccolto dal giudice istruttore, a cui ricorda che questo comportamento integerrimo lo porta a rischiare l'assassinio, precisandogli che la polizia non è il vero problema, poiché è solo uno strumento nelle mani di chi comanda davvero.
Il giudice, però, non fermerà le sue indagini, portandole alle estreme ed inevitabili conseguenze, un aggettivo che non piace al generale della gendarmeria (Pierre Dux), che gli risponde che "i soli eventi inevitabili sono quelli che provengono da Dio".
Il finale con la cronaca dei fatti successivi alle condanne, che vengono raccontati dal reporter attraverso le foto da lui scattate, ha un sapore amaro, sardonico e grottesco, acuito dall'elenco che fa da epilogo al film e che, per alcuni versi, sembra preannunciare la carica dissacrante dei Monty Pyhton, anche se di comico c'è ben poco:
«I militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trockij, scioperare, la libertà sindacale, Lurçat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, Socrate, l'ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l'enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostoevskij, Čechov, Gorkij e tutti i russi, il "chi è?", la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera "Ζ" che vuol dire "è vivo" in greco antico»
Su tutto il film aleggia una strana atmosfera di ambiguità e di dettagli taciuti: gran parte dei nomi dei personaggi non vengono mai pronunciati, e sono lì, appunto, come funzioni della vicenda, nulla di più; anche il luogo in cui è ambientata la storia è ignoto, e così lo è quello la capitale del paese, più volte evocata, ma senza ulteriori specificazioni.
A questa forte sensazione di indefinito contribuisce sia la mdp, che spesso ruota intorno ai personaggi, come a sondare la scena, a cercare particolari che sfuggono, sia la struttura del film, che fa ricorso a frequenti flashback improvvisi, di pochi secondi, in cui vengono proposti ricordi dei protagonisti avvenuti prima del tempo dell'azione. La stessa moglie del deputato ha frequenti immagini del passato della vita col marito e del loro rapporto in crisi.
Il personaggio di Irene Papas non parla quasi mai, il suo lavoro interpretativo è magistrale, e i suoi sentimenti sono comunicati solo grazie alle espressioni del volto. La sua disperazione, per esempio, è riassunta da un gesto semplice e che sfrutta il senso dell'olfatto come amplificatore della memoria: la vediamo entrare in bagno per annusare il dopobarba del marito che poi stringe a sé.
Nonostante i toni aspri e solenni del film, Costa-Gavras trova lo spazio per un omaggio cinematografico. Quando al Piccadilly arrivano i picchiatori che urlano ai sostenitori dell'opposizione "andatavene a riunirvi in Russia", uno di loro strappa un manifesto con il simbolo della pace, sotto al quale compare il poster di Le bon, la brute et le truand, edizione francese de Il buono, il brutto e il cattivo (Leone 1968).
Il film, che vinse Oscar come miglior film straniero e premio della giuria a Cannes, risulta indubbiamente datato, ma resta un caposaldo dell'immagine politica e sociale di quegli anni e una feroce critica alla depravazione del potere.

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